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Argentina ’78 | Sangue, silenzio e pallone

Un pallone che rotola lento verso la porta è l’essenza del calcio. Un pallone che rotola lento verso la porta e si infrange sul palo è invece una storia da raccontare. Soprattutto se ciò accade a pochi istanti dal termine di una finale di Coppa del mondo con le squadre in parità, ancor di più se in mondo visione, dinanzi a un miliardo di telespettatori stimati, che per la prima volta guardano un mondiale a colori. Lo stadio in cui quel pallone rotola non è un impianto qualsiasi, ma il Monumental di Buenos Aires, quello del River Plate, colmo di ottantamila persone trepidanti, pronte a urlare e gioire. La partita contro l’Olanda è quella più importante della storia dell’Argentina. Non della storia della squadra di calcio argentina, ma dell’Argentina con la A maiuscola, del paese intero. Quella palla, dunque, rotola ma non entra. Quel palo avrebbe potuto cambiare parte della storia di quel paese, renderla diversa. Tuttavia, il pari non decide ancora e a stabilire l’esito senza appello saranno i tempi supplementari.

Prima di scoprire come, cerchiamo di capire perché, quella, più che una semplice una partita di calcio divenne, invece, “il più grande spettacolo di propaganda dalle Olimpiadi naziste di Berlino del 1936”. Va detto subito che in questa vicenda, il calcio, quello giocato, quello che appassiona milioni di persone, quel sentimento popolare narrato da mirabili scrittori, spesso sudamericani, non c’entra quasi niente. Dobbiamo collocare storicamente persone, luoghi e avvenimenti per continuare a squarciare un telo nero che, per troppo tempo, ha coperto uno dei momenti più bassi a cui una fetta di umanità è giunta. E continuare a farlo in Italia, dall’Italia, forse ha senso, perché di Italia ce n’è molta, sia in Argentina che in questi avvenimenti.

Da Peron a Videla

La storia argentina è piena di personaggi che sono diventati icone e simboli, ben oltre i loro confini, come Ernesto Che Guevara e Diego Armando Maradona. Ma un’altra figura forte, benché controversa, è senza dubbio quella di Juan Domingo Peron. Il suo populismo, che alla fine si è rivelato sempre un cattivo affare, negli anni ha raccolto consensi sia a destra che a sinistra. Improbabile riscostruire qui l’intera storia del peronismo; basti sapere, che una parte di questa vicenda comincia proprio con i suoi ultimi anni di vita e di potere. È alla guida del paese dal dopoguerra fino al 1955, quando è costretto all’esilio da un colpo di Stato (altra costante in Argentina), ed è accolto, per gran parte del tempo, dalla Spagna franchista. Rimette piede sul suolo argentino nel 1973, con un volo Alitalia, organizzato da Licio Gelli e Giancarlo Elia Valori. E queste non sono coincidenze. La presenza della massoneria, in particolare di quella “deviata” di Licio Gelli, della Loggia P2, è costante e determina gli eventi. Ricordiamo subito che la loggia del “venerabile” toscano, dopo l’Italia, ha proprio in Uruguay e Argentina una seconda casa, dove nasconde segreti e coltiva ombrose trame per decenni.

Peron ritorna perché c’è un tentativo di ripristinare la democrazia attraverso nuove elezioni. L’ambiguità e la trasversalità di Peron tra l’anima di destra e quella di sinistra, si risolve violentemente il 20 giugno all’aereoporto di Ezeiza, quando alcuni cecchini sparano sulla folla causando tredici morti e oltre duecento feriti tra i montoneros, nettamente schierati a sinistra. Peron abbraccia la destra nazionalista e conservatrice e combatte la sinistra tutta; quindi oltre ai montoneros anche le tante anime che avevano cercato di riportarlo in patria, inclusa la chiesa cattolica militante di base. A settembre vince le lezioni, si riprende il potere per la terza volta e nomina vicepresidente la sua ultima moglie, Isabel. Nonostante il consenso elettorale, il clima sociale non è per niente sereno e pacificato. La morte di Peron, nel 1974, e la repressione anticomunista, portata avanti dai militari sotto la reggenza di Isabel Peron, insieme a un crescente impoverimento, apre la strada al nuovo colpo di stato militare del marzo 1976, che andrà avanti fino al 1983, mette a capo del paese il generale Videla.

Il periodo precedente al colpo di stato fa intravedere già gli strumenti terribili che l’esercito metterà in campo contro gli oppositori, per la maggior parte giovani e giovanissimi, destinati a scomparire in migliaia, prelevati, spesso di notte, dalle tristemente famose Ford Falcon senza targa. Il generale Lopez Rega, altro affiliato alla massoneria di Gelli e consigliere di Isabelita Peron, sarà tra gli ispiratori e artefici della tremenda Tripla A (Alleanza Anticomunista Argentina). Con la presa del potere di Videla la repressione fa un salto di qualità, diventa sistematica, scientifica, organizzata, spietata e ha sempre più bisogno di luoghi, strumenti e “strategia”. Un piano e un modus operandi che nella forma si manifesta all’opposto di quello del vicino Cile di Pinochet. L’operato del dittatore cileno mostrava tutto: arresti, torture, esecuzioni e lo stadio veniva usato come punto di raccolta e tortura dei progionieri politici. In Argentina, invece, avviene tutto al calare della notte, col favore del buio hanno luogo sequestri, torture, restrellamenti, e negli stadi, al contrario di Santiago del Cile, si celebra la festa di popolo usando il calcio per tenere buona la gran parte della popolazione.

“L’Argentina si è trasformata in un mattatoio. Tecnica delle sparizioni: non ci sono prigionieri di cui qualcuno possa chiedere il rilascio, né martiri di cui doversi preoccupare. Tutti i giorni qualcuno viene ucciso senza processo o condanna.” Eduardo Galeano, su Lotta Continua, 16 maggio 1978

Esultanza Videla

Pallone e Potere

Il Mondiale viene assegnato all’Argentina nel 1964 a Tokyo, e confermato in assemblee successive. Per quanto nei mesi seguenti al golpe del 1976, qualche altro paese avanza la propria candidatura ad ospitare il torneo, viste le mutate condizioni politiche, la manifestazione non si muove da lì, anche perché ormai, il regime ha deciso di puntarci sopra, per una questione di immagine. Il mondiale diventa un obiettivo strategico di Videla e soci e, pertanto, agiscono di conseguenza con la creazione di strutture di potere appositamente dedicate. A capo della Junta militare, Jorge Rafael Videla è affiancato da Leopoldo Galtieri in rappresentanza dell’esercito, dal potente ammiraglio Emilio Eduardo Massera per la marina e dal generale Orlando Ramón Agosti per l’aviazione. Come in tutte le dittature ci fu una sospensione delle libertà, personali e collettive. Fu sospesa la Costituzione, sciolti Parlamento e partiti, dichiarati nemici tutti quelli che non manifestano pieno appoggio al potere. La giunta militare dichiarò di attenersi a un piano d’intervento messo a punto sotto il nome di Processo di Riorganizzazione Nazionale, all’interno del quale il Mondiale fu dichiarato “Obiettivo di interesse nazionale”, tanto da fondare una struttura ad hoc, l’Ente Autarchico Mundial (EAM), e da investire ingenti capitali nella ristrutturazione di stadi e infrastrutture e nel potenziamento di un canale televisivo nazionale, grazie al quale le partite furono viste per la prima volta a colori, ma solo nel resto del mondo, non ancora in Argentina.

“Negli anni Settanta, mentre il mondo cominciava ad accorgersi degli omicidi, i generali pianificarono ferocemente la Coppa del Mondo. Un fragoroso Mundial vinto dall’Argentina, rifletterono, avrebbe compensato l’occasionale omicidio casalingo. Era la loro occasione per riunificare la nazione. Si assicurarono che la Coppa del mondo non fallisse per mancanza di denaro. Dal nulla sorsero stadi in cemento che potevano accogliere più spettatori di quanti non ne potessero fornire le città in cui si trovavano. I generali costruirono nuove strade per collegare i siti del Mondiale, migliorarono le comunicazioni e introdussero in Argentina la tv a colori. L’Agentina non avava soldi da sperperare, così il denaro fu trovato altrove. Furono tagliati progetti di importanza vitale che non servivano alla Coppa del mondo.” Simon Kuper – Calcio e Potere

A capo dell’Eam fu nominato il generale Actis, vicino a Videla. che però poco dopo muore in uno strano incidente stradale e il suo posto lo prende l’ammiraglio Lacoste, spostando il potere maggiormente nelle mani della marina e di Massera, di cui Lacoste è uomo fidato. Un altro colpo a segno per Gelli e il piduista Massera.

“Lacoste maneggiò senza alcun controllo immense somme di denaro e a quanto pare si trattenne, per distrazione, una parte del resto. Il segretario alle Finanze della dittatura, Juan Alemann, ebbe da ridire su quello sperpero di denaro pubblico e formulò alcune domande sconvenienti. L’ammiraglio aveva l’abitudine di avvertire: «Poi non vi lamentate se vi mettono una bomba..». E una bomba esplose in casa di Alemann, nell’esatto momento in cui gli argentini gridavano per il quarto gol della partita contro il Perù. Alla fine del mondiale, come ricompensa per i suoi affanni, l’ammiraglio Lacoste fu nominato vicepresidente della FIFA.” Eduardo Galeano – Splendori e miserie del gioco del calcio

La Propaganda

La propaganda del regime usa i simboli dello sport più popolari e d’impatto in quel momento nell’immaginario collettivo, come il tennista Guillermo Vilas, numero uno del mondo tra il 1974 e il 1977, l’ex pilota e campione del mondo di Formula Uno, Manuel Fangio e il pugile Carlos Monzon, campione del mondo nei pesi medi dal 1970 al 1977, ma il cuore dell’operazione resta la Coppa del mondo, con lo slogan “25 milioni di argentini giocano il mondiale”. Ad agevolare questa immagine anche il cambio avvenuto ai vertici mondiali del calcio, con il brasiliano Joao Havelange a capo della Fifa, che non si fa nessun problema a collaborare con la Junta militare (pare in cambio della liberazione di alcuni giovani prigionieri politici brasiliani finiti nelle carceri di Videla), e che allo stesso tempo apre una nuova era per il marketing intorno al pallone, avvalendosi di sponsor planetari come Adidas prima e Coca-cola poi. Ma la propaganda ha bisogno anche di una narrazione adeguata che sappia magnificare alcune cose e tacerne delle altre, per questo i media, la stampa diventano centrali per la riuscita dei piani di regime. E qui torna molto utile il legame con la P2 (che ricordiamolo, non a caso, sta per Propaganda 2, e che da sempre ha posto al centro delle proprie ambizioni il controllo dei media, anche in Italia). In Argentina la presenza italiana è molto forte, non solo per il milione e mezzo di persone immigrate di prima e seconda generazione, ma anche per le banche e le industrie italiane che operano stabilmente nel paese sudamericano, che hanno quindi dei forti interessi da espandere o salvaguardare. La stampa italiana, tranne qualche significativa e coraggiosa eccezione, si adegua al racconto di regime, anzi, provvede a rimuovere qualche giornalista più intraprendente come Gian Giacomo Foà, inviato del Corriere della Sera, (del Gruppo Rizzoli), in quel momento principale quotidiano italiano e totalmente nelle mani della massoneria, diretto da piduisti, come l’amministratore Bruno Tassan Din e il direttore Franco Di Bella.

“A Buenos Aires, la sede della Rizzoli si trovava in avenida Cerrito, nello stesso palazzo che ospitava il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e gli uffici privati dell’ammiraglio Massera, iscritto come Calvi, Rizzoli e gli altri protagonisti di questa brutta storia alla P2 di Gelli. Per il Mondiale, Di Bella vietò la trasferta a Enzo Biagi, ritenuto poco addomesticabile, al suo posto furono scelti altri giornalisti, tra i quali Paolo Bugialli. La censura non si limitò ai giornali. Nel Parlamento italiano furono rarissimi in quegli anni i dibattiti sull’Argentina, malgrado un milione e 600mila connazionali di prima o seconda generazione coinvolti.” Matteo Marani

Coincidenze? La storia pare dire di no. E la studio della storia forse non si è interrogato abbastanza anche sul silenzio internazionale piombato su queste vicende, a partire da quella macroscopica della dittatura, prima ancora che su quella calcistica. Molte voci si levarono giustamente a sostegno dei diritti umani contro l’operato di Pinochet in Cile, dopo il colpo di stato ai danni del socialista Allende e del popolo cileno, molte meno invece contro i militari argentini. A livello internazionale le spiegazioni ci sono e sono anche chiare. In un mondo ancora diviso in due blocchi (almeno apparentemente), come conseguenza della spartizione di fine guerra, la linea di Mosca, del partito comunista sovietico, aveva un peso forte e il Pcus non voleva mettere in discussione i suoi scambi commerciali (cereali, grano, carne) col paese sudamericano, e questo rese ancor più rumoroso il silenzio planetario. A ciò si aggiunge anchel’interesse degli Usa a controllare l’America Latina, tramite il piano Condor, instaurando o controllando regimi anticomunisti, spesso militari, che potessero isolare l’influenza di Cuba e restare nell’orbita a stelle e strisce. Il progetto, molto vasto, includeva Cile, Argentina, Bolivia, Brasile, Perù, Paraguay e Uruguay. A dirigere questa operazione “nascosta”, il potente e melefico segretario di Stato americano Henry Kissinger, molto presente, anche fisicamente in questa storia.

“I governi, che avevano gli strumenti per sapere e per intervenire, non fecero niente. Tentarono anzi di trarre il maggior vantaggio possibile dalla loro collaborazione alla strategia di oscuramento e negazione, necessaria perché i militari potessero portare tranquillamente a termine i loro piani. Mi riferisco soprattutto alle grandi democrazie occidentali e in particolare all’Italia, (…) Al Vaticano, che già aveva taciuto ai tempi del nazismo. Alla stessa Unione Sovietica: paradossalmente, dato che tutto si giustificava in nome della lotta contro la sovversione comunista.” Enrico Calamai – Niente asilo politico

“il Partito comunista argentino, che preoccupato della propria sopravvivenza politica, (mai messa in discussione dai militari golpisti N.d.A.) ha moltiplicato i contatti con Mosca e con i partiti fratelli, compreso quello italiano, sostenendo che Videla è un moderato, il male minore nell’attuale situazione argentina.”E. Calamai

La stessa Cuba di Fidel Castro non si è fatta problemi ad accettare nel consesso internazionale l’Argentina di Videla, questione denunciata negli anni seguenti da Martin Guevara, figlio di Juan Martin, fratello minore del Che.

“Così Cuba non solo rimase zitta davanti ai crimini del governo Videla, ma diede appoggio diplomatico alla dittatura nei forum internazionali, evitando che l’Argentina fosse condannata per violazione dei diritti umani.” Gian Carlo Zanon

 

Il Panuelo Blanco

“Si desapareció
En mí aparecerá
Creyeron que murió
Pero renacerá
Llovió, paró, llovió
Y un chico adivinó
Oímos una voz
Y desde un tango, rumor de pañuelo blanco
No eran buenas esas épocas
Malos eran esos aires
Fue hace veinticinco años
Y vos existías”
Epoca – Gotan Project

Ma non tutti accettarono il silenzio. La Casa Rosada è il palazzo del potere di Buenos Aires, di fronte alla Plaza de Mayo. In quella piazza, dal 1977, puntualmente ogni giovedi a mezzogiorno gruppi di donne giravano in tondo con le foto in mano dei propri figli o nipoti scomparsi nel nulla. Chiedevano notizie dei loro cari, alzando le loro foto, ma venivano ignorate, umiliate e talvolta malmenate. La dittatura nascondeva quello che stava facendo e loro erano lì a ricordarlo, ogni giovedì, col fazzoletto bianco in testa, quel “panuelo blanco” che divenne il simbolo del coraggio delle mamme e delle nonne (abuelas) di Plaza de Mayo.

A volte la parola tortura liquida troppo velocemente la sofferenza che veniva inferta ai prigionieri. Il grado di disumanità dimostrato dal regime di Videla fu secondo probabilmente soltanto al regime nazista. Alcuni film come Garage Olimpo o La Notte delle Matite Spezzate, hanno mostrato quello che accadeva: pelle raschiata con lamette sotto la pianta del piede, ragazzi e ragazze ore e ore appesi a testa in giù, sacchetti di plastica intorno alla testa al limite del soffocamento, luci sparate in faccia, negli occhi, per costringerli a non dormire per svariati giorni, e poi la “picagna elettrica”. La picagna è il pungolo elettrico usato dai mandriani della Pampa per controllare e indirizzare il bestiame. Ai prigionieri venivano posti elettrodi sui genitali prima di sprigionare scosse elettriche, dopo averli stesi nudi su tavole di ferro, spesso bagnate, per aumentare la portata dell’elettricità.

E poi i voli. Si perché i prigionieri venivano caricati su aerei, ancora tramortiti, e buttati in acqua, nell’oceano o nel Rio de la Plata. In questo modo sono finiti circa trentamila desaparesidos, scomparsi, a tutti gli effetti, di cui poi grazie alla lotta di quelle donne si è ricostruita parzialmente la sorte, insieme al ritrovamento dei cadaveri devastati, che le correnti portavano sulle coste dell’Uruguay. La barbarie raggiunge livelli inimmaginabili in alcune delle spiegazioni date in seguito, rispetto alle morti atroci dei desaparecidos: una è che i corpi venivano lanciati dall’alto ancora tramortiti, in modo che fossero spezzati dall’impatto con l’acqua e quindi mangiati dagli squali (nel caso dell’oceano), l’altra è che essendo i vertici del regime cattolici, e quindi contrari all’uccisione, li buttassero giù ancora vivi, per non sporcarsi di un peccato grave, innalzando l’ipocrisia a vette mai raggiunte. Un altro film Hijos (Figli), racconta una ulteriore parte di questa vicenda incredibile, quella dei neonati, strappati alla nascita alle madri prigioniere incinte, e dati in adozione molto spesso a famiglie di militari o a loro vicine, cresciuti pertanto nelle famiglie responsabili o complici di queste atrocità.

“Si riuniscono in Plaza de Mayo per la prima volta il 30 aprile 1977. I primi giovedi, essendo pochissime, non marciano, ma si siedono sulle panchine; negli altri giorni della settimana vanno nei commissariati e nelle casermeper intercettare le altre madriche denunciano la scomparsa dei loro figli e le invitano ad andare in Plaza de Mayo il giovedi successivo. Quando diventano una sessantina la polizia le fa alzare a manganellatedalle panchine, intimando loro di andarsene, di camminare; loro si stringono l’una all’altra e iniziano a marciare intornoalla piramide al centro della piazza. Da allora non hanno mai smesso; perché non ci siano dubbi sulla loro identità decidono di farsi riconoscere indossando un fazzoletto bianco, che in principio non è altro che un pannolino, simbolo dell’infanzia dei loro scomparsi.” Alec Cordolcini – Pallone Desaparecido

Ma come era possibile non accorgersi di tutto questo? A differenza dell’ambasciatore italiano in Argentina, Enrico Carrara, molto amico dell’ammiraglio Massera, il console italiano a Buenos Aires, Enrico Calamai, fu un vero eroe di questa storia, contribuendo a salvare molte vite una volta resosi conto di quello che realmente stava succedendo: sarà lui stesso a dire che per un periodo ebbe l’impressione di vivere due realtà parallele, quella che vedeva di giorno, abbastanza regolare, seppur sempre sotto una dittatura e quella che prendeva forma di notte che gli veniva raccontata, fatta di rastrellamenti, esecuzioni, gente scomparsa e torture. La realtà era quella che non si vedeva. I militari usavano luoghi di raccolta segreti come garage e grosse caserme. La più terribilmente famosa è l’ESMA, a poca distanza dallo stadio Monumental, quello della palla che rotola sul palo…

“A meno di un paio di chilometri dal Monumental sorgeva la Escuola de mecanica de l’Armada, oggi museo della memoria, conosciuta nel mondo con il suo acronimo: Esma. Dei 364 centri di detenzione conteggiati alla fine del Proceso, alcuni nascosti nei garage e in comuni autorimesse, l’Esma resta il principale. Era una caserma della Marina dagli inizi del secolo, di stile neoclassico. Il Casino de Oficiales divenne il luogo delle torture per migliaia di giovani. Se ne conteranno almeno 5mila. A guidarla erano l’ammiraglio Ruben Jacinto Chamorro e una serie di marinai graduati: Jorge Acosta, detto il Tigre, Juan Carlos Rolon, Antonio Pernias, Adolfo Scilingo, Alfredo Astiz, giovane e crudele ufficiale, il biondino che si introdurrà tra le primissime madri di Plaza de Mayo per farle catturare. All’Esma, sulla quale comandava in ultimo Massera, l’ammiraglio Zero, si torturò ininterrottamente giorno e notte, solo per le partite della Nazionale di casa al Mondiale – come raccontò qualche detenuto – gli aguzzini si fermarono. La violenza fu inusitata.” – Matteo Marani – Sky Sport

 

Vincere il Mondiale, a ogni costo…

Per portare a termine il piano di regime però, il Mondiale non c’era solo da farlo, ma anche da vincerlo. Senza il rischio che ci fosse un Jessie Owens a rovinare i piani, come accadde a Berlino nel ‘36, sotto gli occhi del Fuhrer. E allora per capire a che punto si spinse l’interferenza anche nelle cosiddette “cose di campo”, basta immaginare il generale Videla, accompagnato dal potente segretario di Stato americano Henry Kissinger, negli spogliatoi del Perù, prima di una partita. Il regolamento dell’epoca prevedeva una fase a gironi che avrebbe decretato le finaliste, e l’Argentina necessitava di una vittoria con almeno quattro gol di scarto contro il Perù, notizia certa grazie al fatto che si decise di far giocare il Brasile in anticipo in modo da sapere esattamente quante reti occorrevano per passare il turno. Per non incorrere in inutili rischi, la nazionale albiceleste ne fece ben sei, in una delle partite più vergognose della storia di questo sport. Molto probabilmente Videla e Kissinger scesero nello spogliatoio solo per ricordare e ribadire un accordo fatto a livelli molto più alti del terreno di gioco, con una giunta “amica” come quella peruviana.

“L’Argentina doveva vincere il Mondiale e i generali peruviani erano a corto di soldi e felici di aiutare una junta amica. Lacoste si occupò degli accordi. L’argentina inviò gratis in Perù 35mila toinnellate di grano, e probabilmente anche delle armi, mentre la Banca centrale argentina scongelò cinquanta milioni di dollari in crediti per il Perù.” Simon Kuper – Calcio e Potere

È sempre difficile avere le prove di una partita falsata, ma alcuni indizi sono chiari: un difensore schierato in attacco, un portiere più pazzo del solito (El Loco Quiroga, argentino di nascita e naturalizzato peruviano), riserve improvvisamente titolari, e facili gol sbagliati. A questo si aggiungono anche episodi inquietanti ma chiari che riguardano i calciatori argentini stessi

“…sembra che su oridine della junta ai giocatori argentini furono iniettate droghe. Una fonte afferma che Mario Kempes e Alberto Tarantini erano ancora così “fuori” dopo la partita con il Perù, che dovettero continuare a correre un’altra ora prima di tornare con i piedi per terra, e che Ocampo, il ragazzo addetto all’acqua, fornì la maggior parte dei campioni di urina per il dopopartita (controllo antidoping ndr.), sebbene ci debbano essere stati anche altri fornitori, dato che dopo la finale, un campione rivelò che un giocatore era in dolce attesa…” Simon Kuper – Calcio e Potere

Partecipare o boicottare?

Già, i calciatori. Come hanno vissuto quel mondiale i calciatori? Che rapporto hanno avuto col regime? Qalcuno ha pensato di boicottarlo come accaduto più volte nelle grosse manifestazioni sportive in epoca di guerra fredda? Va ribadito con forza che le uniche voci nitide contro la dittatura in territorio argentino furono quelle delle Madri di Plaza de Mayo che ogni giovedi sfilavano in silenzio di fronte la Casa Rosada con le foto dei desaparecidos in vista. A loro si aggiunge, fuori dal paese, all’approssimarsi del torneo, la voce di Amnesty International e quella di un’associazione formata da esuli e immigrati argentini che chiede apertamente il boicottaggio, fornendo opuscoli e materiale informativo sui crimini dei generali, il Comité pour l’Organisation par le Boycott de l’Argentine de la Coupe du Monde (Coba). Molto attivo soprattutto in Francia, ottiene l’appoggio di cantanti, attori e intellettuali come Georges Moustaki, Yves Montand, Roland Barthes, Louis Aragon e Jean-Paul Sartre, oltre a quello del Partito Socialista Francdese di François Mitterand. Ci si aspetta prese di posizione soprattutto dal centro e nord Europa, dall’avanguardia rivoluzionaria del calcio, che in quel momento vede l’Olanda, meravigliare il mondo col suo calcio totale, capitanata da Joan Cruijff, finalista ai mondiali del 1974, sconfitta dai padroni di casa della Germania. Molto ci si aspetta anche da paesi come la Svezia, o anche un boicottaggio del blocco sovietico, dal momento che è risaputa la presenza Usa alle spalle di Videla, non a caso formatosi nella “Escuela de las Americas a Panama, un struttura finanziata dalla CIA per pianificare colpi di stato anticomunisti in America Latina”, in sostanza una delle basi strategiche del Piano Condor, gestito da Kissinger. La Russia non supera le qualificazioni sul campo, mentre Polonia e Ungheria non si fanno probelmi a partecipare. Anche la mancata partenza di Cruijff, è spiegata da lui stesso, tempo dopo, e non ha niente a che fare con l’opposizione al regime quanto invece con vicende personali che lo tengono vicino alla sua famiglia, a Barcellona, minacciata di rapimento, e in precedenza anche tenuta prigioniera in casa per qualche ora. Una voce chiara e forte però si leva dalla Germania campione del mondo in carica:

“… dalla Germania arriva la prima grande presa di posizione interna al mondo del calcio: Paul Breitner, una delle stelle della Nazionale detentrice del titolo iridato, annuncia che per protesta non prenderà parte alla Coppa del Mondo. Breitner è comunista, seguace di Mao Tse-tung, e a fare le passerelle davanti ai dittatori fascisti non ci sta. Certo, si potrebbe obiettare che sono almeno due anni che non gioca più in Nazionale, in contrasto col ct Helmut Schön; gli si potrebbe rinfacciare che, nel 1974, non si è fatto problemi ad andare a giocare nel Real Madrid del regime franchista…. Ma resta il fatto che Breitner ha preso una posizione non da poco.” Valerio Moggia – Pallonate in faccia

In Italia sono poche le eccezioni, come quella di giornalisti come Gianpaolo Ormezzano, inviato di Tuttosport, che provano ad andare oltre il terreno di gioco per raccontare altre vicende o quella del giornalista Rai, Italo Moretti che prende a cuore la sorte degli oppositori al regime e ogni giovedi si reca in Plaza De Mayo a riprendere la protesta delle madri.

E la nazionale argentina? Qui le cose si mettono a posto prima, ovviamente, per non avere probelmi durante. Il regime si pose subito un problema apparentemente insormontabile ma che alla fine fu risolto velocemente in nome dell’obiettivo finale. Cesar Menotti (El Flaco), oltre a essere l’allenatore della selezione albiceleste era anche comunista, teoricamente un oppositore e una preoccupazione in più per i generali.

Nella mappa delle tante squadre di Buenos Aires, l’Huracan era considerata la squadra della working class, molto diversa dal River Plate, fondata dagli “inglesi”, detta anche la squadra dei “millonairos”. Il River era considerata la squadra dei ricchi, della borghesia medio alta, e viveva il suo derby storico contro il popolare Boca Junior, mentre il San Lorenzo de Almagro, ritenuta la squadra vicina agli immigrati italiani, aveva il derby più sentito proprio con l’Huracan. Menotti, grazie al gioco espresso dal suo Huracan, era considerato da tutti in quel momento, il miglior allenatore del paese e quella panchina se l’era guadagnata con merito e consenso popolare.

I generali valutarono che di meglio non c’era, e poiché per provare a vincere il mondiale serviva il migliore, lo lasciarono al proprio posto, alla guida di una rosa di calciatori tutti militanti nel campionato nazionale; l’unica eccezione fu fatta per Mario Kempes, emigrato al Valencia, nel campionato spagnolo, ma irrinunciabile per lo stesso motivo. A completare il gruppo, giocatori abbastanza schierati e compatti nel progetto di Videla, dal capitano Daniel Passarella, ad Ardiles, Fillol, Luque, Bertoni, Gallego. I meno “allineati” sembravano essere proprio Kempes e il terzino Alberto Tarantini, oltre naturalmente al flaco. Ma due calciatori segnarono, seppur silenziosamente, i mesi precedenti al mondiale: uno stava già cominciando a spostare i limiti del gioco del pallone più avanti, all’epoca aveva solo 17 anni e fece brillantemente tutta la fase pre mondiale per poi essere lasciato a casa (pare per volere dei senatori della rosa), ma che poi si riprenderà tutto, incluso il podio più alto nella storia di questo gioco, vale a dire Diego Armando Maradona, l’altro invece è meno noto, un nome quasi sconosciuto ai più, Jorge Carrascosa, proveniente dall’Huracan (come Menotti), che sebbene fosse il capitano della nazionale, si tirò indietro alcuni mesi prima, non appena capì il progetto dei dittatori e la funzione che il calcio, quindi anche lui, avrebbe dovuto avere in quello scellerato piano. Non voleva correre il rischio di ritirare la coppa, in quanto capitano, dalle mani insanguinate di Videla.

“Fisicamente e dal punto di vista tecnico stavo benissimo: ma è dentro di te, che devi essere in forma. E quello che stava accadendo mi faceva stare male. Non avrei potuto giocare e divertirmi, non sarebbe stato coerente.” Jorge Carrascosa

“Del golpe dico solo questo: credo che ognuno di noi possa fare qualcosa per rendere questo mondo migliore. E io, il mio granello di sabbia l’ho messo.” Jorge Carrascosa

A distanza di anni, molti calciatori proveranno a spiegare quei momenti vissuti, altri semplicemente resteranno in silenzio, ancora una volta. L’attaccante Luque per esempio ritorna su quei giorni dicendo:

“Gli argentini non ci perdoneranno mai di aver vinto quel mondiale. Nessuno nega di non aver avuto la percezione di essere sotto il maglio di un regime militare, però le torture e tutti gli altri crimini, vennero alla luce molto dopo. Del resto la stampa era silenziata, e noi giocatori eravamo come in tunnel, concentrati su un unico obiettivo: la coppa. Io leggevo degli arresti, ma non immaginavo il seguito. …..Non sono mai stato un manichino di Videla.” Alec Cordolcini – Pallone Desaparecido

Palla al centro

Dettagli non irrilevanti prima di battere la prima palla al centro a inizio giugno furono il pallone e il logo. Fu creato un pallone ad hoc, il Tango, che avrà grosso successo anche qui, fino a competere per un periodo col Super Santos, ideato a sua volta in Italia, a inizio anni Sessanta, per celebrare le vittorie mondiali di Pelè col suo Santos e in nazionale verdeoro. Oltre al pallone di cuoio ufficiale ne viene immesso sul mercato anche un altro, una sorta di gadget, che nella grafica richiama quello di cuoio ma è fatto di gomma dura, adatto a diverse superfici, dalle spiagge, all’asfalto, fino all’erba, alla terra e alla polvere. Il logo invece presentava qualche problema in più, nei tratti infatti ricordava il solito modo di Peron di sollevare le mani sulla testa alla fine dei suoi discorsi che arringavano le folle. Ma intanto la macchina del marketing era partita, (lanciando anche il “gauchito”, la mascotte), e tutto restò invariato. La Tunisia vince le qualificazioni e si ritrova a essere l’unica squadra africana in cartellone, mentre la Germania partecipa da campione del mondo in carica. Le aspettative maggiori tuttavia erano per l’Olanda, vice campione del mondo, ma ambasciatrice di un calcio moderno, detto totale, che con le squadre di club, Ajax in testa, dominava le coppe europee. E non importa se il suo alfiere Joan Cruijff non partecipava alla spedizione oltre oceano. L’Italia di Bearzot espresse probabilmente il miglior calcio di quel torneo, con un gruppo di calciatori solido che, non a caso, quattro anni dopo vincerà il Mondiale in Spagna. Gli azzurri sono l’unica squadra a battere i padroni di casa, con un gol di Bettega, ricordato così dallo scrittore di Montevideo Eduardo Galeano “la giocata del goal italiano disegnò sul campo un triangolo perfetto, dentro il quale la difesa argentina rimase persa più di un cieco in mezzo ad una sparatoria. Anche se nessuno lo sapeva, la squadra italiana aveva già cominciato a vincere il Mondiale di quattro anni dopo.”

Quasi come da pronostico, non necessariamente solo sportivo, in finale arrivarono l’Olanda, (alla sua seconda finale consecutiva in questa competizione) e l’Argentina. La prima superando l’Italia per due a uno nella sfida decisiva del girone. Partita, trasmessa in Italia a tarda ora, tanto che il contrasto del buio della notte con i colori accesi delle maglie delle due squadre (arancione e azzurro), oltre al verde del campo, unito alla disabitudine a guardare la tv a colori, provocò qualche piccolo disagio alla vista a molte persone, che, il giorno dopo, si recarono in farmacia a chiedere delle gocce per rilassare gli occhi. Il fatto che a farsi controllare fossero quasi tutti uomini fece propendere per l’ipotesi delle conseguenze della visione della partita. I padroni di casa dell’Argentina invece, in finale, ci arrivarono certamente per la buona squadra messa in campo, ma anche grazie alle macchinazioni della “marmellata peruviana” ai danni del Brasile. La partita conclusiva tra le due squadre, con tutto il contesto intorno e la cerimonia finale, non è altro che il degno sigillo, a chiusura di un mese di vergogna e ipocrisia, cominciato dai discorsi di inaugurazione da parte della Junta al completo e delle istituzioni calcistiche nazionali e internazionali, e finanche con la benedizione del Papa, portata per bocca del vescovo di Buenos Aires, Juan Carlos Aramburu, spalla a spalla con i generali.

Menotti

La finale

È inverno a Buenos Aires il 25 giugno del 1978 quando si consuma l’atto finale del torneo, anche se l’adrenalina che circola nell’aria riscalda, e di molto, l’atmosfera. A guardare quel pallone rotolare sul palo, ci sono anche gli occhi di Licio Gelli, il maestro venerabile, aveva lasciato la residenza aretina di Villa Wanda, e l’Italia, per sedersi al fianco di Jorge Videla sulle tribune del Monumental. La cosa insolita non è tanto trovarlo a fianco (anche se spesso nell’ombra) di molti dittatori e militari, quanto di vederlo presenziare a una partita di calcio, per la prima volta nella sua vita, come ribadito di suo pugno al giornalista Matteo Marani, che in questi ultimi anni con una splendida e pregevole ricerca sta riannodando i fili di quei giorni.

“Mi trovavo a Buenos Aires il giorno della finale di calcio tra Argentina e Olanda. Arrivai allo stadio Monumental in ritardo, partecipando solo agli ultimi minuti della partita. Era una festa totale, sembrava che il Paese avesse vinto una guerra. Una volta terminata la parftita, mi recai all’aperitivo che festeggiava l’Argentina, accompagnato da altre persone. Ricordo le tantissime persone infesta per le strade. Roiscimmo a raggiungere l’Hotel Plaza grazie a un auto di Stato che mi era stata messa a disposizione in qualità di ministro.” Licio Gelli

A mandare quella palla sul palo, a pochi secondi dal fischio finale, fu l’olandese Rob Rensenbrink, che in un solo colpo avrebbe consegnato il titolo di campione del mondo alla squadra dei tulipani, a sé stesso il titolo di capocannoniere della competizione, staccando proprio l’argentino Kempes andato a segno nel primo tempo e probabilmente inferto un colpo durissimo alla dittura militare che avrebbe visto svanire, proprio col traguardo in vista, il piano di aggiudicarsi la Coppa davanti agli occhi del mondo. Poco prima dell’ingresso in campo delle squadre, pare che Menotti avesse le idee chiare su cosa chiedere ai suoi calciatori: “Ci avevano ordinato, quando saremmo entrati in campo, di guardare le tribune. Lo facemmo, ma non guardammo il palco delle autorità…Dissi ai giocatori di guardare sugli spalti, verso tutta quella gente tra la quale stavano seduti i loro padri, perché lì avrebbero incrociato lo sguardo degli operai, dei panettieri, dei tassisti.” Non solo, corre voce che al chiuso degli spogliatoi “el flaco” Menotti fosse stato ancora più chiaro con i suoi, prima di scendere in campo, rompendo il silenzio sui generali “non vinciamo per quei figli di puttana, vinciamo per alleviare il dolore del popolo.”

 

Kempes, gol all’Olanda

Siamo alla partita e i “papelitos”, i minuscoli quadratini di carta, lanciati dagli spalti come coriandoli, sono pronti a imbiancare il verde del campo, pertanto si potrebbe a questo punto parlare solo di calcio per un momento, e invece le ombre sono tante anche sul rettangolo di gioco, e ce n’è un’altra in particolare, che nonostante gli anni, non riesce a schiarirsi per niente, anzi rimanda ancora una volta al legame tra l’Italia, l’Agentina e le trame massoniche. E riguarda addirittura l’arbitro:

“L’oscuro intreccio tra Italia ed Argentina si palesò tuttavia anche in finale: infatti Artemio Franchi, ex presidente FIGC e neovicepresidente FIFA con la tessera della P2 in tasca, designò l’italiano Sergio Gonella. Il suo arbitraggio fu ritenuto scandaloso dagli olandesi, tanto che a fine partita si rifiutarono di partecipare alla premiazione.” Massimiliano Vino

La partita fu molto dura, l’arbitro italiano fu accusato di aver lasciato picchiare troppo, soprattutto gli argentini. La partita diventava sempre più cattiva. Il vantaggio di Mario Kempes fece illudere per molti tratti i tifosi sugli spalti, già pronti a continuare la festa per strade di Beunos Aires. Ma a pochi minuti dalla fine, sul Monumental cade il gelo, con il pareggio dell’Olanda da parte di Nanninga. Sul risultato di uno a uno, negli istanti finali, è prorio quel pallone sul palo a salvare l’albiceleste in campo e i piani di Videla sugli spalti. La palla non entra e i supplementari con un altro gol di Kempes e il sigillo di Daniel Bertoni, chiuderanno la gara sul 3 a 1, con la vittoria dell’Argentina, così come doveva essere sin dall’inizio. Gli olandesi in protesta con l’arbitraggio ritenuto fazioso e scandaloso, non prenderanno parte alla premiazione. In questo modo il proscenio è lasciato al regime in mondo visione, con Videla che si sostituisce ad Havelange per consegnare, davanti a tutto il mondo, la coppa nelle mani del capitano Daniel Passarella. Sfruttando la vicinaza al generale Videla, ci fu un gesto di coraggio da parte del terzino Alberto Tarantini, uno dei non allineati, che avrebbe chiesto notizie di alcuni suoi amici “scomparsi”. È certo invece che Mario Kempes, il migliore in campo, che con quei gol diventa anche il miglior marcatore del Mondiale, abbia preferito non prendere parte ai festeggiamenti che si sono svolti dopo la gara al lussuoso Hotel Plaza, con la giunta militare al completo, incluso l’ospite italiano Licio Gelli.

La partita era finita e le urla potevano riprendere e continuare, sia quelle di gioia dei festeggiamenti che quelle di dolore dei prigionieri che venivano torturati, all’Esma come negli altri luoghi di detenzione.
Nel delirio della festa, che in pochi attimi, al fischio finale di Gonella, si era riversata per le strade, succedevano cose inimmaginabili, come quella di non distinguere dalle grida di gioia, quelle di dolore provenienti dall’interno di un’automobile, mischiata tra le altre.

“Graciela Daleo, una delle sopravissute della Scuola Navale, rammenta il grido belluino ‘abbiamo vinto!’ che il capo della Intelligence, Acosta, detto El Tigre, esplose al momento del fischio finale di Gonella. Quindi, in preda ad un’euforia incontenibile, il Tgre, acchiappò alcuni di loro e li infilò in una Peogeut 504. Guidò come un folle per le strade piene di gente.” Marco Impiglia – Aneddoti dei Mondiali di calcio.”

Fine dei giochi

Il regime vinse quel mondiale e forse per un po’ rafforzò il suo potere, ma non avrebbe avuto vita lunga. Cadde sulla riconquista delle isole Falkland/Malvinas, e anche per una disastrosa situazione economica che aveva contribuito a creare, anche con le folli spese del mondiale. Ma alla lunga vinsero anche le Madri di Plaza de Mayo, capaci di portare alla sbarra, in tribunale, alcuni di quei carnefici. Negli anni vennero alla luce anche altre trame sotterranee, come il legame diretto con i nazisti. L’Argentina fu il paese che ospitò il maggior numero di nazisti in fuga ricercati per crimini contro l’umanità. Anzi pare proprio che all’interno dell’ESMA, ci fosse addirittura un ufficio che si occupava di creare documenti falsi proprio per nasconderli meglio, abitudine, questa di coprire i nazisti, pare avviata già durante il “regno” di Peron.

Un’appendice di questa storia infatti prende forma nel 1987, dopo la profanazione della tomba di Peron, quando vengono tagliate e trafugate le mani dell’ex presidente. Tra le ipotesi più accerditate quella portata avanti dallo stesso magistrato incaricato dell’inchiesta che a più riprese indica la tesi secondo cui le impronte digitali di Peron potevano servire alla P2 per entrare in presunti conti segreti, contenenti tra l’altro parte degli ingenti pagamenti messi in atto dai nazisti in fuga all’Argentina in cambio di nuovi passaporti. La presenza della P2 in america latina come detto non deve meravigliare più di tanto, Argentina e Uruguay sono una seconda casa per Gelli, tanto che altri scottanti documenti, dossier e le liste contenenti i nomi completi di tutti gli affiliati alla loggia P2, sfuggiti alle perquisizioni nella sua residenza toscana, pare siano nascosti a Montevideo, in Uruguay, paese in cui il “venerabile maestro” aveva enormi possedimenti immobiliari, oltre che naturalmente, una giunta militare amica. In Uruguay, tra l’altro, nel 1980, si provò a ripetere, anche se in piccolo, l’operazione del Mondiale, con un torneo sostenuto e sponsorizzato dal regime, sotto il nome di Mundialito, non certo però con gli stessi risultati del suo “fratello maggiore” del ‘78.

In Argentina intanto, passata la sbornia dei festeggiamenti, che regala probabilmente ai militari qualche anno in più di potere, il regime entra in crisi nel 1981, tanto che Videla è costretto a passare la mano al tenente generale dell’esercito Roberto Viola, che a sua volta, fino alla fine del regime, sarà sostituito anche da Lacoste, Galtieri, Saint-Jean e Brignone. La sconfitta contro l’Inghileterra per le isole Falkland/Malvinas, come detto segna anche formalmente la fine della Junta militare, e le elezioni del dicembre 1983 portano alla Casa Rosada Raul Alfonsin. La fine di quella dittatura però non pacifica nulla, poiché proprio in quel momento si cominciano a scoprire più chiaramente le violenze che parte della popolazione ha subito. Le richieste di verità e di giustizia diventano incessanti e cercano di portare alla luce i crimini e alla sbarra i responsabili. Più meno nello stesso perio do in Italia la Loggia massonica P2 di Licio Gelli viene sciolta definitivamente nel 1982 e dichiarata organizzazione criminale ed eversiva. Ma intanto, in quegli anni bui, stava anche crescendo un’altra storia di calcio, che si mostrerà in tutta la sua dirompenza di lì a qualche anno, regalando un incredibile riscatto, almeno sul piano sportivo.

La Coppa di Diego

C’è calciatore passato fin qui in sordina che invece si caricherà addosso almeno il riscatto sportivo di un popolo. Diego Armando Maradona è ancora in ritiro pre-mondiale con la nazionale di Menotti, non ha ancora 18 anni ma è un fenomeno, e quando viene diramata la lista dei convocati, non trovandosi nei 22 la prende male, e lascia il gruppo con un plateale quanto certo arrivederci a quella maglia.

“L’ultimissimo giorno, Menotti diede i nomi degli esclusi e Maradona era tra quelli. Maradona non la prese bene. Disputò la successiva partitella col Chacarita come se fosse la finale del Mondiale. Segnò tre gol e l’ultimo lasciò stupefatti: dribblò quattro avversari, compreso il portiere, quindi si bloccò sulla linea di porta, guardò tutti con aria sprezzante e, con tocchetto indifferente quanto lieve, depositò la palla nella rete.” Marco Impiglia – Anerddoti dei Mondiali di calcio

Molti argentini, che avevano festeggiato il mondiale senza essersi resi conto del contesto di sangue in cui stava avvenendo, col tempo hanno preso le distanze da quella vittoria, rinnegandola e talvolta rimproverando i giocatori che ne avevano preso parte, rendendosi, ai loro occhi, complici, anche se in grado diverso, di quel massacro. Per molti il primo mondiale vinto dalla loro nazionale non è quello sporco di sangue del 1978, ma quello conquistato da Maradona in Messico, otto anni dopo, nel 1986. Diego, con quella coppa del mondo sollevata tra le sue mani, entra nella storia dell’Argentina, dalla porta principale, con un popolo intero al suo seguito. Stavolta anche chi nel ’78 ha sofferto, può festeggiare e urlare, non di dolore, ma di gioia.

“….La parte peggiore fu la fine,
senza dignità e coperti di fango,
quei cadaveri che tornavano
ai letti dei fiumi,
alle fosse comuni,
scuotendo la testa,
e cantando la canzone dell’oblìo,
e noi siamo qui,
con questi tamburi,
con queste folli bandiere sudate,
….con il mondo sottosopra”
Tratto dalla poesia Mundial di “Carlos Ferreira”


Nota bibliografica
Il Mondiale Deasparecido – Matteo Marani – documentario Sky Sport
Pallone Desaparecido – Alec Cordolcini – Bradipo Libri – 2011
Calcio e Potere – Simon Kuper – Isbn Edizioni – 2008
I figli di Plaza de Mayo – Italo Moretti – Sperling & Kupfer – 2002
L’Argentina non vuole più piangere. Da Perón a Kirchner: gli anni della dittatura, la crisi economica, i segni del cambiamento di un paese inquieto – Italo Moretti – Sperling & Kupfer – 2006
Calcio e dittature. Una storia sudanericana – Sergio Giuntini – Sedizioni – 2014
Il calcio come ideologia. Sport e alienazione nel mondo capitalista – Gerhard Vinnai – Guaraldi Editore – 1970
Aneddoti dei Mondiali di calcio – Marco Impiglia – Mauro Pagliai Editore – 2014
Garage Olimpo film del 1999 di Marco Bechis
Figli/Hijos film del 2001 di Maco Bechis
La Notte delle Matite Spezzate film del 1986 di Hector Olivera
Epoca è una canzone dei Gotan Prject del disco La Revancha del Tango del 2001