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Il complotto punk di Pordenone

“Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone” – Italo Calvino

Il 6 novembre del 1975 il cimitero di Casarsa della Delizia è invaso da una folla commossa e incredula. Ci sono facce note di attori, attrici, registi e scrittori, ma soprattutto tanta, tantissima gente. Tutti accalcati intorno a una lapide semplice, spartana, poggiata su una macchia d’erba, sulla sinistra del cancello, poco dopo l’ingresso. Qualche giorno prima a Roma, nella notte, Pasolini fu massacrato, ucciso e lasciato a terra. Dopo i funerali romani, del giorno prima, ci furono quelli friulani, a Casarsa, terra della mamma del poeta. Fabio Zigante, aveva diciotto anni e trovò il modo di colmare la ventina di chilometri che separavano Pordenone dal funerale, per assistere alla sepoltura, arrampicato sul muro di quel campo santo. Pasolini aveva smosso qualcosa in lui anche se ancora non sapeva bene cosa, ma sapeva di dover esserci.

Saliamo sulla macchina del tempo e spostiamoci a Londra, qualche anno dopo, precisamente sotto il ponte Aklam, nei pressi di Portobello Road. Dei gruppi punk suonano la loro musica. Niente di nuovo direte, siamo pur sempre a Londra, che nel 1979 del punk ne è la capitale. Guardando meglio quello che succede scorgiamo che gli strumenti sono di cartone, e non è lunica provocazione, l’altra quella più forte è nel nome stesso delle due band: Tampax l’una e Hitlerss l’altra. Vengono arrestati dalla polizia inglese e identificati. Sono tutti italiani, friulani, di Pordenone per l’esattezza, e uno di loro è Fabio Zigante, che sceso da quel muro di cinta ha cominciato a fare della ribellione e della provocazione la sua missione, sulle ali del punk, che intanto anche in Italia cominciava a mettere radici.

I Tampax di Ado Scaini e gli Hitlerss di Fabio Zigante, che nel frattempo ha preso come nome d’arte Miss Xox, avevano registrato uno split, una demo che conteneva pezzi di entrambe le band, uno delle prime vere autoproduzioni italiane di fine anni Settanta. Si erano messi in viaggio alla volta di Londra, tessendo anche rapporti e contatti con i già mitici Crass e la loro etichetta. In Italia Bologna e Milano stavano lanciando le prime scene punk, mentre quella new wave di Firenze era ancora in incubazione. Ma cosa stava succedendo esattamente a Pordenone?

The Great Complotto

Pordenone era in preda al Great Complotto, un fenomeno di cui si comincia a parlare anche oltre la cittadina del nord est. Il collante alla base di tutto era il punk, quella musica che azzerava ogni cosa: il passato, la tecnica, l’esigenza di affidarsi a grosse etichette discografiche. Si cominciava a esprimersi liberamente, a urlare la propria insoddisfazione e rabbia in ogni garage, dal sottosuolo delle metropoli fino ai casolari di periferia. La nuova via dell’autoproduzione, del Do It Yourself, parola chiave della rivolta punk, cominciava ad affermarsi in ambito musicale, ma l’originale onda di ribellione pordenonese andava ben oltre la creazione musicale, rispolverando tratti dell’ideologia situazionista, invadendo la città con dei blitz in cui si inscenavano rapimenti. Non era raro vedere ragazzi vestiti da supereroi camminare sui tetti o sbucare dai tombini. Pordenone per i protagonisti del Great Complotto era la capitale dello stato di Naon (antico nome di Pordenone), una città fumettistica, del futuro, dove ogni cosa diventava possibile per “una stirpe di supereroi dai connotati leggendari”.

“Parodia e critica di un provincialismo insostenibile, Naon aveva la sua bandiera, consistente in un tricolore rosso, verde e blu, possedeva una propria moneta, leggi che la tutelavano e la regolamentavano, un calendario, una nazionale di calcio e un’industria dello spettacolo interna, rappresentata appunto dal Great Complotto.” Piermario Ciani

In una vecchia palazzina diroccata, al numero 44 di Corso Vittorio Emanuele, in uno dei piani alti, a cui si arrivava attraversando corridoi, scale e strettoie, proprio come l’accesso a un mondo parallelo, c’era la “Tequila”, il cuore dello stato di Naon: una sala prove, una sede, un ritrovo, uno sgabuzzino colmo di idee da spandere in tutto il mondo, senza paura di nulla, neanche di andare controcorrente su questioni importanti per quel periodo. I punk naoniani rifiutavano decisamente le droghe, in una città come Pordenone che in rapporto agli abitanti, in quanto a tossici, era seconda solo a Milano. Anche il loro inno, composto dai Musique Mecanique, va in direzione opposta, quando tutti sono contro le centrali nucleari, loro cantano “Atoms for energy”.

Rispetto alle altre scene punk o new wave nostrane, quella di Pordenone è stata particolarmente sfacciata, surreale, provocatoria quasi sognatrice, rappresentando certamente un unicum. Basandosi sulla ferrea convinzione punk “della distruzione di ogni cultura pregressa e del passato in generale” e che “il futuro è i prossimi cinque minuti”, “le spinte ideologiche che avevano mosso le contestazioni giovanili negli anni immediatamente precedenti, nella speranza di un cambiamento sociale positivo, ma futuro, non hanno più ragione di esistere”. Nello stato di Naon cambia la percezione del tempo, non c’è distinzione tra tempo libero e impegnato, l’uno non esclude l’altro, proprio perché il presente è l’unico tempo possibile, pertanto non bisogna problematizzarlo, ma viverlo nel modo più divertente possibile. Proprio per questo “la Guida ufficiale dello Stato di Naon vieta l’uso dell’orologio, simbolo della cultura dominante che regola gli impegni della società adulta: Naon era estranea alle alienate schematizzazioni temporali della società e degli adulti, per cui il tempo era una ricchezza da impiegare per la propria realizzazione, per esprimere la propria soggettività attraverso iniziative divertenti e creative fini a se stesse, in cui fare equivale ad esistere”.

“La nostra fantasia è arrivata addirittura a farci andare in giro vestiti da supereroi con il mantello. Andavamo sopra i tetti delle case a fare delle foto dei video facendo finta di volare”David Kirby
“Andavamo anche in giro nei sotterranei e nelle cantine delle varie abitazioni: sbucavamo addirittura fuori dai tombini” Dee Dee Jukebox.

In campo musicale, se possibile, estremizzano ancor di più l’idea del punk, annullando le capacità tecniche o le conoscenze musicali. Mettere su una band significava dire “io ci sono”, sopra ogni cosa. Miss Xox e Plastic Girl degli HitlerSS lo urlano a tutti: “Continuate a credere in quello che credete…Continuate a prendere a calci lattine per le strade e a battere sui bidoni; create i vostri suoni; difendete il vostro pensiero; mandate affanculo i vostri idoli, compresi gli HitlerSS e parlate e cantate il vostro pensiero”. Le band aumentano a dismisura per una piccola città alla periferia dell’impero; nomi fantasiosi e performance dal sapore dadaista invadono ogni cosa. Le sonorità, con sfumature differenti si muovono a partire dal punk più scarno, fino al post punk e a tentativi new wave con i primi approcci all’elettronica. Per quanto lontano dal centro del mondo, Pordenone un’arma da sfruttare ce l’aveva: la vicinanza con la base aerea di Aviano, dell’aereonautica americana, che ha favorito la circolazione di certa musica più velocemente, un po’ come accaduto nell’immediato dopo guerra nelle città portuali europee come Liverpool, Napoli o Amburgo che hanno sfruttato la presenza dei militari americani per avere in tempi più rapidi i dischi rock’nroll, jazz o rithm’n’blues, fatto che ha stimolato, in quelle città, la nascita di importanti scene cittadine, per certi versi ancor prima che nelle rispettive capitali.

Il Great Complotto si prende Pordenone, lo dicono anche i numeri, dal momento che parliamo di una novantina di band e poco meno di un migliaio di giovani coinvolti, in una città che si attestava a poco più di cinquantamila abitanti, ma che vantava il primato di under venticinque tra i capoluoghi della regione. Come fenomeno musicale il punk è stato un potente fuoco d’artificio che si è acceso, bruciato e consumato in pochissimi anni, tre o quattro in America e in Inghilterra, e poco più nei luoghi dove le sue scintille hanno dato vita a ulteriori focolai. In Italia nella seconda metà degli anni Settanta certamente Bologna fu capace di tenere accesa quella fiamma e alimentarla, mettendo su una scena cittadina variegata, in cui non soltanto le band come Gaznevada, Skiantos o Confusional Quartet ne diventarono riferimento, ma prese l’avvio anche il vasto mondo delle autoproduzioni come l’etichetta Harpo’s Bazaar, poi divenuta Italian Records, di Oderso Rubini. Fu proprio Bologna a riconoscere prima di tutti la forza del Great Complotto.

Sexy Angels “[…]Molti ragazzi marginalizzati, con problemi, si avvicinavano con fiducia al mondo di Naon. Non c’era una ideologia politica a sostenere il Great Complotto se non la volontà di fare, da giovani, cose per i giovani. Non c’era solo musica. C’era grafica, fotografia, tecnologia audio, moda”.

Pordenone può essere Londra ma Londra non può essere Pordenone

A legare le due città ci pensano un giornalista e quel famoso concerto sotto il ponte di Londra. Vediamo dunque come due scene musicali italiane trovano questo aggancio sul Tamigi.

I principali agitatori e fondatori del Great Complotto sono Ado Scaini, Willy Gibson, Miss Xox e Plastic Girl, che si dividono nelle due band Tampax e Hitlerss. Convinti che “Pordenone può essere Londra ma Londra non può essere Pordenone“, decidono, dopo aver registrato il disco in comune, di andare a dar man forte ai fratellini punk inglesi. Ci provano la prima volta a maggio del ’79, ma vengono fermati alla frontiera e i dischi sequestrati per vilipendio alla corona a causa del verso “Queen Elizabeth I wanna fuck you“. Si salva soltanto qualche copia ricercatissima tuttora nel mercato dei collezionisti. Ci riprovano ad agosto, e non trovando di meglio improvvisano un concerto con chitarre di cartone, cavi di spago e aste di legno, sulle rive del fiume, passato alla storia col nome di London Cartoon Concert. Ad assistere a quella spericolata performance, arresto incluso, c’è Red Ronnie, che impressionato da quanto accaduto, si adopera per mettere in contatto i giovani friulani con quel cuore punk di Bologna che cominciava a battere grazie alle band e alle etichette, su tutte quella di Oderso Rubini, la Harpo’s Bazaar che si trasformava in Italian Records, per raccogliere il meglio del nascente underground nazionale. Tampax e Hitlerss erano senz’altro le band più rappresentative di quel collettivo, tanto che un conoscitore del punk come Federico Guglielmi annovera quel primo split tra le migliori tracce reali nostrane di quel genere: “Entrambi difettavano, per fortuna, di classe, ma le poche canzoni del periodo giunte fino a noi evidenziano un approccio esasperato e senza compromessi, ben sviluppato, in composizioni taglienti e caotiche per gli HitlerSS e sempre feroci ma più quadrate e sanguigne per i Tampax”. All’etichetta bolognese viene proposta l’idea di una compilation, così da dare spazio a tutta la scena di Pordenone. E così che nella tracklist finiscono Mess, Sexy Angels, Fhedolts, Andy Warhol Banana Technicolor, Mind Invaders, Cancer, Musique Mecanique, Tampax, Hitler SS, W.K.W., Little Chemists e Waalt Diisneey Production. E la città di Pordenone, con uno dei suoi monumenti simbolo, il Campanile di San Giorgio, finisce sulla copertina di quella raccolta ormai storica che vedrà la luce nel 1981 sotto il nome di “Pordenone/ The Great Complotto”.

La compilation suscita ancor di più un interesse per il Great Complotto, che non passa più tanto inosservato, tanto da sbarcare in tv, sui canali nazionali, nella trasmissione di approfondimento musicale Mr Fantasy di Carlo Massarini, che manda in Friuli, come inviato, un giovane Roberto D’Agostino per documentarne l’esistenza. Anche Gianni Minoli col suo programma di cultura generale Mixer si incuriosisce della vicenda e concede ulteriore spazio. Nella scena più strettamente musicale, la consacrazione arriverà proprio dai bolognesi Gaznevada, gruppo di punta della scena nazionale, che dedicherà al Great Complotto il brano Pordenone Ufo attack. Tra le performance leggendarie di questo originale collettivo restano nella memoria il concerto a Reggio Emilia alle sette del mattino, quello al Palasport di Pordenone a spaccare sassi a 2000watt, e al “Bandiera Gialla”, d’estate, in loden, per sbeffeggiare i “fighetti”, fino al “concerto delle bestemmie” dei Tampax al Parco Galvani di Pordenone.

Provocazioni Punk

L’aspetto della provocazione, mutuato dalla scena londinese, è stato spesso frainteso, soprattutto per l’utilizzo delle svastiche. In particolare gli HitlerSS non erano visti di buon occhio, soprattutto quando si presentavano a suonare in contesti legati alle feste dell’Unità, spesso rischiando di venire alle mani con gli organizzatori. È lo stesso Miss Xox a spiegare la scelta del nome “HitlerSS… tutto attaccato… corrisponde al plurale di Hitler, un insieme di persone stupide, ancora più stupide raddoppiando le S. Un nome filtro per chi non aveva ironia o capacità di pensiero più profondo (la mia cultura è profondamente opposta alle ideologie di destra). Eravamo specialisti nel fare incazzare tutti”. È un punto, questo della presunta estetica nazista legata al punk, che merita un piccolo approfondimento, poiché ha toccato più o meno tutti i gruppi storici dai Sex Pistols in poi.

Fraintendimenti del genere erano toccati finanche ai Joy Division di Ian Curtis con la copertina di An Ideal for Living, raffigurante un giovane hitleriano con il classico tamburo della gioventù nazista, sotto la scritta Joy Division in caratteri gotici, oltre al fatto che il titolo poteva essere interpretato in senso reazionario. Ma non solo, già il primo nome della band, Warsaw, annunciava che tipo di “guerriglia estetico-culturale avrebbe ingaggiato la loro musica contro l’ordine simbolico della società britannica”.

Con le parole di Miguel Mellino dipaniamo il nodo che attanaglia l’iniziale diffidenza verso la band di Manchester, sospettata, per la scelta dei nomi, di simpatie naziste, sebbene a smentire basterebbe già solo la partecipoazione a iniziative legate a Rock Against Racism.

“Il rinvio del loro primo nome al nazismo e alla Seconda guerra mondiale, così come anche di buona parte dei brani e dell’immaginario estetico di Curtis e compagni, non deve essere inteso quindi come un richiamo ideologico a quel regime, bensì come un’interrogazione-provocazione di fronte alle pulsioni neofasciste che emergevano nella società britannica in quegli anni di decomposizione del modo di produzione fordista.”

E sempre con le parole di Mellino approfondiamo ancor di più:

“la scelta provocatoria ultima riguardante proprio il nome Joy Division, preso dall’argomento centrale del romanzo La casa delle bambole di Karol Cetinsky, superstite di Auschwitz. Il romanzo racconta l’esperienza di vita di una ragazza polacca, Daniella Preleshnik, all’interno di ciò che veniva denominato dai nazisti come la divisione gioia dei campi di sterminio, ovvero quel reparto dove le deportate più giovani erano costrette a prostituirsi con gli ufficiali nazisti. La scelta di Joy Division come nome sembra voler ricordare la permanenza come traccia (nel presente) della catastrofe razziale nazista di cui è stata capace quell’umanità europea dei genitori delle nuove generazioni, e da cui era nata – non senza complicità e miserabili autoassoluzioni – la società del dopoguerra.”

D’altra parte i componenti del Great Complotto, proprio per la natura del loro progetto, non si sprecavano certo in spiegazioni e rassicurazioni, fedeli anche al loro assunto, coniato da Miss Xox: “L’importante era dire cose assurde al momento sbagliato”.

È stato bello finché è durato

Una delle caratteristiche del punk resta la velocità, così che mentre se ne cominciava a parlare anche ben oltre il Campanile di San Giorgio, la scena cittadina cominciava a trasformarsi, prendere altre vie e sfaldarsi. Si formavano nuovi gruppi sulle ceneri dei vecchi o si mettevano in piedi formazioni parallele per sperimentare le nuove sonorità in arrivo, soprattutto elettroniche. Si cercava anche la strada internazionale con nuove etichette che cominciavano a dedicarsi quasi esclusivamente a lidi centro europei. Chiuse anche il centro di Naon, la sala prove Tequila, e questo disperse ancora di più la scena. Non senza lasciare altre tracce sparse in tutto il decennio degli Ottanta e per certi versi anche oltre, ma non più con quella forza e compattezza dei primi anni.

C’è ancora una curiosità da togliersi e un altro pezzetto di questa storia da raccontare prima di congedarci.
Cosa hanno a che fare due band come i Tre Allegri Ragazzi Morti e i Prozac+ con il Great Complotto, se non la provenienza geografica? La risposta è da cercare in una band dal nome Futuritmi. La band prende vita sommando esperienze precedenti dei suoi componenti e nel 1983 si rifonda col nuovo nome per sperimentare l’onda sonora di quegli anni in tutte le loro sfumature, finanche quelle più pop, rimanendo sempre all’interno di quel collettivo musicale così stravagante. In questa stessa formazione si troveranno insieme Davide Toffolo, in seguito anima e voce dei Tre Allegri Ragazzi Morti e Gian Maria Accusani, che non ha ancora messo su i Prozac+. Continuano a passare i decenni ma tracce del Great Complotto continuano a essere ancora tra noi.