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Perché i motivi per i quali oggi si dà addosso a Saviano sono inconsistenti

Comments (3)
  1. Eugenio Maddalena ha detto:

    Sono d’accordo su molte delle critiche che mi sono rivolte. I toni sferzanti che vengono usati in riferimento al mio articolo mi piacciono, inoltre lo scendere nel dettaglio e nel merito di ciò che ha scritto Saviano è una buona cosa.

    Da quando ho letto Gomorra, ai tempi del botto cioè 3-4 anni dopo la sua prima uscita se non erro, c’era molto entusiasmo per aver riportato l’attenzione dei media sulla questione camorra, sulla questione criminalità organizzata e sulle connivenze con i rami deviati dell’imprenditorialità. Onore al merito.

    Ciò che mi preoccupa però è ben altro. Ciò che mi preoccupa di Saviano sono i suoi pesantissimi silenzi. Quando guardiamo la luna indicata dal dito dello scrittore “capotiano” abbiamo una buona scusa per dimenticare il resto del sistema solare. Esempio velocissimo e sbrigativo: basta pensare alla frase che “la camorra assicura i bisogni agli abitanti dei propri quartieri dove lo stato è assente” che è spesso in bocca agli opinionisti di ogni sorta. Saviano ha il non-merito di evitare il discorso. Questo tipo di retorica garantista – di Travaglio e di Saviano – è lontana da ciò che credo valido e ritengo che non scavi a fondo su cosa vuol dire “devianza” e come si forma la manovalanza. Insomma non si interroga sulla profondità politica del “marcio” in cui indaga cacciando dal cilindro cose che scomodano quanto meno gente possibile.

    Quella di Saviano la trovo “retorica” nel momento in cui sconfina dalla validità di Gomorra in quanto romanzo. Nel momento in cui si esula allora mi preoccupo. Quella di Bomprezzi invece non mi sembra retorica dato che dà valore reale alle parole e prova ad analizzare il ruolo di personaggio televisivo che si è simpaticamente ritagliato Saviano.

    Inoltre, per usare parole di Fabio M., la questione israelo-palestinese presentata qui “è stata talmente pretestuosa da non meritare analisi” dato che si sviluppa su parole come “ebreo”. L’ebreo è una categoria di nazionalità inventata. Al massimo l’ebreo è un credente in una religione monoteistica. Semmai Israeliano. E neanche perché comunque si parlerebbe di alcune politiche del governo israeliano che Saviano presenta come democratiche ed occidentalizzanti (mi interrogherei ancora sul significato di queste due parole ma potrei essere tacciato di demagogia spicciola). Sono di nuovo d’accordo con Bomprezzi quando vuole ribadire l’uso corretto di certi termini.

    P.S.: Ad un certo punto nell’articolo vi è scritto: “Saviano costruisce gran parte del suo lavoro in una resa più immediata e romanzata (nel senso di non fiction di capotiana memoria) degli atti della magistratura che spesso per motivi che ben conosciamo non riesce ad arrivare ai referenti politici”. Rivolgo a questo punto due domande per sopperire a due mie ignoranze: quali sono i motivi che ben conosciamo? Inoltre Saviano ha mai detto di non aver scritto di referenti politici perché non erano presenti negli atti? E se si dove?

  2. Fabio M. ha detto:

    Sarò breve. Anche perché credo che se commento debba esserci è giusto che sia anche di terzi rispetto a noi due.

    Su l’articolo di Bomprezzi abbiamo opinioni discordi. L’articolo è in rete ognuno potrà farsene un’idea.

    Sulla questione israelo palestinese sono costretto però a fare alcune precisazioni.

    La prima è squisitamente linguistica. Pretestuoso significa “Che è addotto come pretesto per giustificare qualche cosa, o che costituisce un pretesto per nascondere le proprie vere intenzioni e raggiungere uno scopo.” Treccani.it, così non abbandono la tastiera…]. In riferimento al mio: “Quello che è certo è che in realtà è parte di un problema molto più ampio che è quello del conflitto ebreo/arabo e la parola conflitto muta, inevitabilmente, gli scenari” non ha motivo di essere usato. Può risultare scorretto, può non piacere, ma certamente non vi è uso per raggiungere lo scopo né per giustificare qualcosa. È solo il tentativo di collocare correttamente (a mio parere) nel contesto storico geografico un conflitto. (Bomprezzi che usa parole quali “caro” e “simpatia”, che servono solo a celare un attacco, lo fa eccome).

    La seconda molto più seria è la questione “ebreo”. E su questa non posso soprassedere.
    Scrivere “L’ebreo è una categoria di nazionalità inventata. Al massimo l’ebreo è un credente in una religione monoteistica” è ignorare completamente la storia ebraica.
    Significa ignorare completamente le ragioni e le basi su cui lo stato di Israele stesso è stato costruito. Significa ancora ignorare che se gli ebrei sono riusciti ad attraversare secoli mantenendo incorrotta la propria identità è per il loro sentirsi “popolo eletto”.
    È scritto “Se darete attentamente ascolto alla mia voce e osserverete il mio Patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare, poiché tutta la terra è mia. Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa. Queste sono le parole che dirai ai figli d’Israele” (Esodo 19:5-6).
    Gli ebrei hanno errato per secoli in attesa di una “terra promessa”, senza tale base la nazione Israele mai sarebbe stata concepita.
    L’uso del termine “ebreo” non solo è corretto, ma è doveroso.

    Ps. Scriveva Pier Paolo Pasolini [Corriere della Sera, 14 novembre 1974] “Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
    Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
    Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
    Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio “progetto di romanzo”, sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il ’68 non è poi così difficile.
    Tale verità – lo si sente con assoluta precisione – sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all’editoriale del “Corriere della Sera”, del 1° novembre 1974.
    Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
    Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
    A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
    Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
    Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi – proprio per il modo in cui è fatto – dalla possibilità di avere prove ed indizi.
    Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
    Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
    Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.”

    E credo che questa sia una risposta alle tue domande e insieme un omaggio a poche ore dal 37° anniversario della sua scomparsa.

  3. eveyh ha detto:

    Saviano è di destra? E da quando? Certo non la destra berlusconiana o quella fascista… ma siccome in Italia c’è solo questo, vorrei capire di quale destra si parla. 🙂

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