Dal 28 al 30 Agosto si inaugura il Todays Festival di Torino, che ospiterà band attese e affermate come Interpol, Tv On The Radio e Verdena. Potete trovare il programma intero e tutte le informazioni utili sul festival qui, intanto per facilitarvi e raccontarvi come è nato il Todays abbiamo raggiunto il direttore creativo Gianluca Gozzi che ci ha raccontato di più sull’idea alla base del festival e su cosa si aspetta da questa prima edizione.
Nel 2004 nasceva il Traffic Festival, una kermesse che dal Parco della Pellerina si è poi spostata alla Reggia di Venaria fino ad arrivare in Piazza San Carlo e alle Officine Grandi Riparazioni. I nostalgici lo ricordano ancora soprattutto per i grandi nomi delle prime edizioni, da Iggy and the Stooges ad Aphex Twin fino a Lou Reed, Daft Punk e Nick Cave, ma i tempi d’oro sono passati e anno dopo anno le incertezze sulle sorti della rassegna sono aumentate fino all’ultima edizione del 2014. La chiusura di questo festival rappresenta anche la fine di un’era per Torino? E quale nuovo percorso in termini di iniziative musicali si trova ad affrontare la città?
Ho personalmente collaborato alle prime edizioni del TRAFFIC curando la programmazione di artisti che si esibirono a sPAZIO211 come Chk Chk Chk, Bright Eyes, Jaga Jazzist e karate tra i tanti.
Traffic nacque in un momento storico assai particolare rappresentando un caso quasi unico in Italia, ed ha funzionato in quella modalità ad ingresso gratuito, ma in questi ultimi 10 anni è cambiato sensibilmente il ruolo e soprattutto il potere economico delle Istituzioni pubbliche che sovvenzionavano le attività culturali estive e non solo.
Quando le risorse economiche pubbliche sono state inevitabilmente ridotte per mantenere a quel livello una kermesse di tali dimensioni sarebbe stato necessario imporre un biglietto, di per sé la cosa non è un dramma, ma per invogliare il grande pubblico ad andare a un festival tale e far sì che una persona sia disposta a pagare un biglietto significativo, i servizi devono essere di ottimo livello, servono spazi belli, dove si vede e si ascolta bene, dove si possano vivere esperienze uniche come nei grandi festival europei. Purtroppo in Italia non c’è questa cultura e soprattutto il mercato è piccolo, gli operatori musicali (nazionali e locali) non hanno denaro a sufficienza per fare da soli investimenti pesanti, da milioni di euro, per acquistare strutture, organizzare grandi cartelloni e chi arriva a capire questo non ha i soldi necessari o non ha le capacità/possibilità/fortuna per trovare investitori (parlo dei milionari veri, quelli che hanno le industrie) che mettano i soldi per costruire progetti seri, fatti come dio comanda.
Oltre a ciò per mantenere grandi numeri molti festival italiani storici hanno dovuto piegarsi a dinamiche commerciali, poichè rispetto ad altri paesi europei l’Italia ha un alto numero di artisti nazionali sui quali è concentrato l’interesse della maggior parte del pubblico italiano e che detengono la maggior quota di mercato sia live che discografica (per quel che rimane di quest’ultima).
Questo ha costretto i grandi festival a dover puntualmente inserire in cartellone artisti nazionali come il Vasco Rossi di turno, che non sono accostabili in alcun modo e forma con artisti del resto del mondo, e quindi diventa anche difficile attrarre in Italia pubblico straniero come accade in altri festival in Europa dove il 40% del pubblico arriva da altri paesi. Insomma è il cane che si morde la coda…
Per questo in estate nel nostro Paese è più facile assistere a rassegne anziché Festival, che in realtà sono singoli concerti di band in tour, la maggior parte vanno male e probabilmente con quei soldi persi si potrebbe organizzare un vero festival capace di andare oltre la sola musica.
Io credo che in questo momento storico sia necessario progettare eventi più a “misura d’uomo” e farlo in una visione europea, uscendo dallo status di “terzo mondo”. Ci sono luoghi molto belli, persone capaci e sufficientemente visionarie, quel che serve è non aver paura del presente e attivare modalità differenti come consorziare varie realtà italiane – agenzie, promoter competenti, club, service, cercando sia il supporto delle Istituzioni (magari anche di diverse regioni), e necessariamente di sponsor privati; cercando location spendibili ed uniche che altrove in Europa non esistono, luoghi che abbiano dei vantaggi e non dei limiti, pensare a un festival come un’opportunità e non un problema.
Forse è un utopia..ma solo così credo sia possibile tenere in piedi e vivo al meglio delle possibilità un circuito cittadino (e non solo) che offre scelta, intensità, qualità, e inserirlo in un campo di forze in grado di rafforzarne la rappresentatività.
Tra le sorprese di quest’estate ci sono due festival appena nati, da una parte il Flowers Festival che ha avuto luogo a Collegno durante il mese di luglio e dall’altra il Todays Festival che dal 28 al 30 agosto prenderà vita in diversi punti della città come lo Spazio 211, la Scuola Holden o i Docks Dora. Se il Flowers è diretto discendente del Pellerossa e del Colonia Sonora, voi potete considerarvi eredi del Traffic? Quali sono le differenze e le analogie che considerate più rilevanti con il festival che l’anno scorso ha avuto il suo epilogo?
Quando abbiamo immaginato come costruire il festival abbiamo cercato di non imitare schemi pre-esistenti creando un surrogato delle realtà passate, così, anziché fare l’errore di replicare in maniera inevitabilmente più sbiadita ciò che è stato e non è più, o tentare al contrario di anticipare il futuro che verrà, abbiamo scelto di realizzare la nostra fotografia schietta, sincera e vera del presente, cercando altro che non fosse l’ovvietà. TODAYS non nasce perciò in analogia o sostituzione di qualcosa che c’era e forse ora non c’è più.
A volte è proprio questa mancanza di coraggio nell’investire sul cambiamento ciò che limita il rinnovamento, ma credo che l’unico luogo dove il futuro può essere cambiato è questo istante, perciò anziché “campare” di rendita, abbiamo cercato di costruire qualcosa di diverso e personale che altrimenti non avrebbe avuto diritto di cittadinanza.
La scena artistica e musicale soffre spesso di nostalgia del passato, perché il passato ha dalla sua parte l’essere qualcosa di avvenuto e quindi già consolidato e più rassicurante, ed è sicuramente più facile rimanersi appagati da ciò che è stato continuando a vivere il presente come un qualcosa che in realtà non è altro che una coda del passato, anziché cercare di capire cosa manca e avere il coraggio di farlo, osando modalità nuove ed eludendo ciò che è convenzione per crearne di nuove ed attuali.
Anzichè creare un clone ci siamo lasciati ispirare dal’eredità delle esperienze artistiche contemporanee, dai club e le splendide location della periferia torinese (geografica, ma non culturale), dalle etichette musicali autoctone, dai collettivi artistici, dai cartelli di dj e musicisti locali, dai grafici visionari, dalle competenze tecniche che hanno fatto della nostra città un punto di riferimento nazionale in grado di dialogare e competere con realtà internazionali, in un contesto differente dagli altri ambiti cittadini preesistenti.
Insomma qualcosa di più analogo a ciò che accade in altre città il mondo in cui l’arte e la cultura non divengono un brand, ma una reale ricerca di novità, di altro, di identità e differenze talmente contrastanti da omologarsi in un flusso unico di condivisione, divertimento e crescita collettiva.
Gli Interpol, i Tv on the Radio e i Verdena saranno gli headliner delle tre serate, ma sebbene due formazioni su tre siano straniere, sfogliando il programma del Todays si possono leggere tanti altri nomi di band e cantautori italiani, soprattutto piemontesi. Come siete riusciti a far incontrare nostrano e internazionale? E qual è il pubblico a cui vi rivolgete?
Abbiamo cercato di rappresentare la musica che ci piace, costruendo un senso che andasse oltre la semplice line up, ma soprattutto cercando di portare nuova musica ad un pubblico il più trasversale possibile, spesso non abituato a fare ricerca in tal senso.
Per noi un festival è qualcosa in cui far scoprire alla gente cosa c’è fuori, robe nuove, strane, forti, non necessariamente rassicuranti, ma roba che fa bene, e farlo proponendo una varietà di attitudini e musiche diverse che difficilmente si possono vedere tutte insieme nel quotidiano…dai Verdena a Murcof, da Clap!Clap! a Interpol, non musica alla moda, ma neppure per reduci o snob, dai suoni inauditi di Blanck Mass (Fuck Buttons) a quelli indigesti di Ikeda, dal linguaggio non retrogrado dei Tv On The Radio alle musiche amiche di Levante e Bianco, insomma dal rock’n’roll alla sperimentazione elettronica, dalla melodia alle cavalcate post apocalittiche abbiamo voluto che ce ne fosse per ogni gusto, ed abbiamo voluto mescolarli per rappresentare quello che c’è per come esso è, senza ostinarsi ad inseguire quel che sarà o rimpiangere ciò che è stato.
Oggi, nella realtà musicale attuale nel mondo, non ha più molto senso fare distinzioni nette di generi e di pubblici: chi ascolta gli Interpol è probabile che contemporaneamente segua anche le uscite su Warp e Ninja Tune. così come un fan di Levante non può che rimanere affascinato dal melting pot stilistico e originale dei Tv On The Radio. Per fortuna non ci sono più limiti tra chi ascolta elettronica, chi ascolta chitarre, chi ascolta computer music, l’unico “confine” dovrebbe essere tra buona musica e cattiva musica.
Il criterio che abbiamo impiegato è stato quello di offrire spazio alla musica italiana e straniera di qualità, emergente ed originale, con una attenzione alle scene musicali attuali sia locali che internazionali, e in questo senso TODAYS è un festival “europeo” dove qualità e novità si fondono senza chiudere fuori nessun “genere” musicale e scommettendo sul fatto che la gente abbia curiosità e apertura mentale maggiore di quello che a volte noi pensiamo.
Infine TODAYS non è un festival monotematico e non si rivolge solo ad un pubblico settario o “alternativo”.
La stessa parola “alternativo” che per anni, e tutt’ora continuo a sentire, che cosa vuol dire? Cos’è un pubblico o un genere alternativo? E poi alternativo a cosa? Il nostro obiettivo è creare qualcosa di pop-olare nel senso di diffuso ed esteso possibile, per cui non siamo interessati che partecipi solo il fan dell’artista indie inglese inserito nella top 2015 di qualche rivista patinata, ma piuttosto il ragazzo comune che la sera prima è andato in discoteca e il giorno dopo magari andrà in cremeria con la ragazza baccagliata ascoltando i Verdena.
Ritengo molto più utile e stimolante un festival in grado di radunare giovani al di là dei “generi” e “stili”, dove il pubblico è partecipe e protagonista, anzichè un semplice consumatore di un evento preconfezionato.
Anche la scelta di dislocare le attività e i concerti è particolare, soprattutto perché si tratta di luoghi significativi tra il Balôn e Barriera di Milano. In queste zone spesso macchiate dal degrado urbano ci sono però alcuni spazi di rigenerazione sociale, modelli da seguire per innescare processi di valorizzazione atti a riplasmare il volto della città come il Museo Ettore Fico o il Cimitero di San Pietro in Vincoli. Come mai avete pensato proprio di collocare il Todays in questi punti della città? E come immaginereste in un futuro non troppo lontano l’evoluzione di questi quartieri grazie a rassegne musicali e culturali?
Questa idea è alla base del festival: fare di una parte della città, la sua periferia Nord, lo scenario unico del festival, un palcoscenico urbano fatto di spazi riconvertiti e costruire attorno l`evento che diviene epicentro valorizzato e valorizzante.
La periferia della città è animata da una passione pura che, seppur caotica, rappresenta l’underground della Torino da sempre, ed anche nelle altre metropoli europee succede la stessa cosa: spesso il degrado di luoghi abbandonati e dismessi crea il terreno fertile per una rappresentazione di quella tensione creativa che unisce e fa sentire a casa, una casa dove dove avanguardia, sperimentazione e rock’n’roll si sostituiscono alle miserie dei tanti che dalle case popolari periferiche intorno vorrebbero forse fuggire e fare emergere così la forza necessaria per esprimere rabbia, gioia, cultura, incontro: questa è l’anima popolare di Torino.
Per questo abbiamo immaginato un festival dove l’arte nelle sue infinite declinazioni si dispiega sulle pareti delle case e sulle facciate di ex edifici industriali offrendo visibilità a spazi urbani già presenti e che si possono modulare a seconda delle esigenze: da spazio concerti a galleria d’arte, passando attraverso performance, installazioni, concerti, incontri e socializzazione.
Soprattutto suggerendo che tale forma possa divenire permanente sul territorio e non solo durante il festival, contribuendo così alla rivitalizzazione del tessuto culturale del territorio Barriera di Milano e alle necessità dei suoi abitanti.
Mi piace l’idea di un festival a “misura d’uomo” che entra in luoghi non per un’operazione di revival, bensì per alimentare quel fermento creativo tutto da scoprire nel presente.
Valorizzando la diversità, il melting pot, l’unione di idee e le diverse forse di comunicazione e linguaggio senza abbandonarsi alla corrente, in spazi liberi fuori dai canonici luoghi commerciali, che verranno resuscitati dando nuovo ossigeno all’asfissia artistica-culturale.
San Pietro in Vincoli ad esempio fu il primo cimitero della città sabauda oramai in disuso. Per lungo tempo fu oggetto di vandalismo e profanazioni, fin quando negli anni ottanta venne radicalmente ristrutturato. Attualmente la cappella è “viva” ed adibita a luogo di eventi culturali, quasi a dimostrare che la “resurrezione” è possibile.. la notte del sabato si svolgerà una sorta di rito sacrale musicale celebrato dal pupillo italiano di Aphex Twin, Lory D e dalla musica evocativa e celestiale dei britannici Portico.
Così come l’architettura industriale dei vecchi magazzini Docks Dora sarà lo scenario di un set cinematografco a cielo aperto amplificatore di nuovi linguaggi artistici contemporanei, un intervento tra arte e tecnologia volto a trasformare l’intera location in una wonderland post-industriale fatta di luci, suoni, e video mapping architetturale.
Il Museo Fico è un “non museo” frutto di un attento progetto di riconversione dell’ex fabbrica Incet degli anni 50, un esempio della trasformazione di Barriera di Milano. Qui due tra I più importanti artisti mondiali della computer music come Murcof e Ryoji Ikeda fonderanno la loro musica minimalista con composizioni video astratte e con l’arte austera in progetti esclusivi e site specific capaci di attraversare i confini fra le diverse discipline. In questo modo attraverso i luoghi, le storie e gli artisti proviamo a raccontare le città del mondo a Torino e Torino, a sua volta, al mondo intero.
Nonostante gli alti e bassi, Torino non si è mai fatta mancare grandi appuntamenti legati alla musica con la M maiuscola soprattutto in estate, ma anche in autunno con il Club to Club. Adesso ci troviamo in un momento negativo, di transizione o propizio per inaugurare un festival? Come organizzatori di eventi di questo tipo quali credete che siano le differenze tra Torino e le altre città italiane?
Torino è una città che dopo aver vissuto per tanti anni una quotidianità sempre identica a se stessa tanto nell’aspetto lavorativo quanto in quello culturale, sta lentamente risvegliando la sua parte più creativa valorizzando quello spirito troppe volte soffocato dal canone dell’ufficialità polverosa, ma che da sempre ha costituito il vero legame con le tendenze culturali che turbinano nell’underground torinese.
E’ questa una città che ha in sé una potenzialità molto più elevata rispetto ad altre città similari, ma contemporaneamente è ancora una città ostica, dove è più faticoso che altrove riconoscere ed affermare un fenomeno nel momento in cui esso si sta sviluppando, così spesso le potenzialità rimangono inespresse, perdendosi nell’oblio prima che le cose abbiano il tempo e il modo di imporsi.
Negli ultimi anni l’offerta supera di molto la domanda, pur senza soddisfarla. E’ più facile incontrare un torinese che ti dica di essere un artista piuttosto che un impiegato o un operaio grazie all’alibi di quel ritornello per cui tutti hanno diritto di esprimersi e tutti hanno talento, malgrado ciò ci sono tante esperienze individuali e collettive che potrebbero fare il salto di qualità e avere un riconoscimento locale e non solo, ma è un po’ come nella boxe: puoi diventare il migliore della categoria pesi medi in cui giochi ma non è possibile passare nei pesi massimi.
Quando abbiamo pensato al festival ci siam detti tutti vogliono andare sul sicuro, anche nell’ambito della cultura e fare cose che garantiscano un successo certo, ma puntualmente queste vanno male, quindi probabilmente la chiave per riuscire è quella di osare facendo cose non troppo scontate e diverse dal “vincere facile” stile gratta e vinci. Così abbiamo accettato la scommessa e in un momento storico come questo in cui la musica non riesce più ad arrivare alle persone come dovrebbe, credo che la missione di chi organizza eventi culturali sia anche quella di contribuire allo sviluppo di una coscienza critica collettiva, e che lo si possa fare divertendosi ma non necessariamente solo ridendo, ascoltando musica ma non solo quella che già conosciamo da tempo, discutendo ma non per forza essendo tutti d’accordo.
Qual è il messaggio che volete lanciare con il Todays e cosa vi aspettate da questi tre intensi giorni di musica?
Innanzitutto ci aspettiamo che sia un festival divertente. In estate tanti giovani italiani partecipano a festival stranieri, e lo fanno soprattutto perché si divertono, immergendosi in un’atmosfera unica, non solo musicale, dove incontrarsi ed incontrare altre persone, fuori dai giri normalmente battuti.
Ecco, mi piacerebbe che tutti quelli che evidentemente sentono la mancanza di questo tipo di attitudine nel panorama dei concerti estivi in Italia e che perciò si lamentano, anche con ragione, recriminando su ciò che non c’è e su come vanno le cose e come invece dovrebbero andare, scegliessero di venire e vivere a pieno il festival divertendosi, e non solo come una sequenza di 3 concerti grandi, ignorando tutto il resto…
Il messaggio è quello di immergersi nel festival e vivere tre intere giornate di tante cose, musicali ma anche non musicali, all’insegna dell’arte e del divertimento, così che tornando a casa non pensiate solamente “sono andato a vedere il concerto degli Interpol piuttosto che i Verdena o Tv On The Radio”.
Questa è solo la prima edizione, ma ci aspettiamo che venga colto questo il del partecipare non solo ad una sequenza di concerti, ma ad un “vero” festival, qualcosa di non omologato, dove scambiarsi esperienze, dove respirare aria nuova, dove non ci sia la sensazione di essere in un luogo chiuso ad ascoltare gruppi chiusi che si alternano su un palco secondo lo schema artista-cambio palco-altro artista, bensì un’intera area della città tutta da scoprire che diviene un’unico palcoscenico in trasformazione, qualcosa di diverso dal quotidiano al quale siamo abituati.
Per tutti esiste la possibilità di scegliere affinché la musica in questa città sia diversa, in meglio, da com’è, colpa nostra se la lasceremo ad altri…aspettiamoci di vedere robe nuove, strane, non necessariamente rassicuranti, ma roba che fa bene e partendo dalle piccole cose inizieremo a capire le grandi cose.