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Victor Jara | Yo No Canto Por Cantar

L’ultima ombra nera del vecchio regime di Pinochet che ancora si allungava sulle teste e le vite dei cileni, è stata definitivamente spazzata via proprio in questi giorni, con un referendum che cancella definitivamente la costituzione introdotta dal dittatore anni addietro. I cileni, l’ultima lotta a carattere popolare, l’hanno portata avanti in questo anno nonostante restrizioni e pandemia, per rivendicare libertà e diritti che proprio quel documento ancora in parte negava. Non solo il sì con il 78% a una nuova costituzione dunque, ma anche a una fase costituente per una nuova Carta, che taglia fuori gli attuali parlamentari dalla sua formulazione.

Chi conosce anche soltanto un poco la storia del Cile e del suo popolo, non si meraviglia affatto di tanta forza e tanta determinazione. Per raccontare un pezzetto di quella storia partiamo dalla musica di una persona speciale, che quella vicenda l’ha segnata ben oltre gli anni che ha vissuto, visto che ancora oggi nella piazza di Santiago periodicamente si ritrovano mille chitarre per intonare le sue canzoni di libertà. Ma non solo, perché per Victor Jara continuano gli omaggi emozionati di Bruce Springsteen o Bono Vox nel bel mezzo dei loro concerti. Per molti è un cantautore simbolo. Per il Cile è molto più: è un pezzo non barattabile della propria storia. Victor Jara da vivo era tante cose insieme, un musicista, un poeta, un combattente per la libertà, un essere umano impegnato a migliorare l’esistenza propria e degli altri. Questa sua interezza, questa sua coerenza, l’ha pagata col prezzo più alto. È morto ammazzato, dopo atroci torture, per mano del regime di Pinochet, uno dei più sanguinari che la storia ricordi.

All’inizio degli anni Settanta in Cile si giocava una partita storica e politica dai risvolti planetari, e per questo le parti in campo erano molte più di quelle ufficiali. Ma prima riavvolgiamo il nastro e occupiamoci del piccolo Victor. Cresce in una famiglia molto povera, tanto da lavarsi al mattino nelle pozze d’acqua e fango. Era la condizione di tanti cileni. Victor impara a suonare la chitarra vedendo farlo alla mamma, ai matrimoni e alle feste, in quelle poche occasioni di svago concesse a chi ha ben altri pensieri quotidiani. Comincia col rifare le canzoni tradizionali, finchè non compone le sue. Al centro dei suoi primi brani c’è l’amore, come soluzione alle sofferenze e alla durezza della vita. Questo tema col tempo si trasforma, lascia più spazio al racconto della realtà. Sfrutta ogni occasione per parlare con la gente, guarda come le persone vivono la fatica nei campi e nelle fabbriche, e trasforma quei racconti in canzoni. Questo immedesimarsi nella realtà per raccontarla, diventa un’incredibile arma di lotta politica e culturale, facendo così propria, forse senza saperlo fino in fondo, la lezione di Woodie Guthrie. Sarà lui stesso a dire:

Eravamo stanchi della musica che non diceva niente, che ci faceva divertire per un momento, ma ci lasciava vuoti. Iniziammo a creare un nuovo tipo di canzone. Era musica nata dalla necessità.”

In foto: Inti-Illimani con Jara, Violeta Parra

Questa necessità, questa urgenza espressiva sta alla base della nascita del movimento della Nuova Canzone Cilena a metà degli anni Sessanta, che comprende anche gli Inti-Illimani, i Quilapayún, quella meravigliosa Violeta Parra che si è prematuramente tolta la vita nel 1967 appena dopo averci lasciato una canzone come Gracias a la Vida, e appunto Victor Jara, forse quello musicalmente più innovativo. In quegli anni il Cile comincia a dividersi tra destra e sinistra, prima nelle urne per la contesa elettorale, poi anche per le strade. I poveri, che sono tanti, vedono per la prima volta una speranza concreta di riscatto in Salvador Allende, candidato a guidare il paese. A preoccuparsi della possibile vittoria di Allende non è soltanto la sua parte avversa, ma anche l’America del Presidente Nixon e del segretario di stato nonché “consigliere per la sicurezza” Henry Kissinger. Se Allende avesse vinto sarebbe stata la prima volta di un marxista eletto democraticamente: questo preoccupava più di ogni altra cosa, da Santiago alla Casa Bianca. Rischiava di esserci un “contagio” comunista a catena in tutta l’America Latina. Non ci potevano essere altre Cuba. La Cia e tutto l’armamentario repressivo era in allerta. Prende forma, a partire dal Cile, il Piano Condor, una operazione di politica estera a stelle e strisce, che ha come scopo il sostegno alle dittaure in chiave anti-comunista, incluso uccidere e far scomparire nel nulla (desaparecidos) ogni oppositore interno, di cui si vedranno altri esempi in Argentina qualche anno dopo, e ancora in Bolivia, Brasile, Perù, Paraguay e Uruguay.

Nella campagna elettorale Victor Jara è la colonna sonora di Allende, lo accompagna nei comizi ed è in prima fila nei cortei. Allende stesso avrà come slogan “Non c’è rivoluzione senza canzoni”. Settembre pare un mese decisivo nelle vicende cilene. Il 4 di Settembre del 1970 Salvator Allende è eletto Presidente. La destra perde potere e terreno e comincia a organizzarsi anche attraverso formazioni paramilitari foraggiate dagli Stati Uniti. Tre anni dopo, nel 1973, l’11 Settembre (data prediletta per le tragedie evidentemente) l’esercito si dirige verso il palazzo del potere, La Moneda, che viene bombardato con il Presidente all’interno che decide di non scappare. Morirà in quelle stanze, in cui si insedierà con la forza il generale Augusto Pinochet. Tuttavia le violenze sono solo all’inizio.

Nelle ore successive gli oppositori, gli attivisti, gli operai e grosse fette di popolazione ritenuta “sospetta”, saranno vittime del nuovo regime. Per la notte c’è il coprifuoco, Victor Jara è all’università al suo posto di lavoro come dipendente. Al mattino i militari entrano mitragliando e portano tutti i prigionieri allo Stadio Cile, dove sono ammassate già migliaia di persone. Victor Jara, sebbene in fila con gli altri, non è uno qualunque, è famoso, e quando i soldati lo riconoscono cominciano le torture, probabilmente più feroci che ad altri. Un ufficiale fa cadere una sigaretta a terra e chiede al musicista di raccoglierla, Victor dice di non fumare, ma arriva di nuovo l’ordine provocatorio e nel momento in cui allunga la mano gli viene spezzato prima un polso e poi l’altro. “ Provaci ora a suonare la chitarra, stronzo”, sono le parole che precedono le indicibili torture che anticipano la sua morte. In quella settimana toccherà a migliaia di persone la stessa sorte.

Ufficialmente Jara è morto il 16 Settembre, ma la moglie Joan riconosce il corpo solo il 18 tra cumuli di altri cadaveri. La vicenda giudiziaria portata avanti dall’infaticabile compagna dura da decenni. Le dittature alla sbarra vengono portate sempre con grossa fatica anche quando hanno commesso palesi crimini contro l’umanità. Ma Victor ha vinto. Quello stadio, teatro del massacro in cui ha perso la vita, ha cambiato nome da Stadio Cile a Stadio Victor Jara. A ricordarlo ci sono le mille chitarre e le centinaia di sue canzoni. “Conosci Victor Jara?” è il titolo di un disco di Daniele Sepe che negli anni Novanta gli ha reso un bellissimo tributo, interpretando parte del suo repertorio. Tante furono le vittime, oltre i morti, e tanti i detenuti, tra cui lo scrittore Luis Sepulveda e chi fu costretto all’esilio. Gli Inti-Illimani, in quel Settembre del 1973 si trovavano per la prima volta in tournè in Europa. Non faranno ritorno in Cile per moltissimi anni, ottengono il diritto di asilo politico in Italia in cui restano per molto tempo. In quegli anni il Cile era una tessera importante ma non l’unica di un mosaico ben più ampio, che come detto coinvolgeva gran parte del sud America.

Le piaghe lasciate aperte in America Latina da alcune delle più feroci dittaure mai viste sulla faccia della terra, restano come cicatrici sui corpi di chi le ha combattute e vissute, così come nella memoria collettiva di chi le anche solo sfiorate. La lotta del “panuelo blanco”, delle mamme e delle nonne dei giovani argentini scomparsi, dei desaparecidos, che ancora continua ogni giovedi nella Plaza de Mayo, davanti al palazzo del potere di Buoenos Aires, (la Casa Rosada), è forse uno dei simboli più forti per tenacia e determinazione. Anche l’arte, la musica, ha fatto la sua parte sin da subito, per rivendicare la propria esistenza, la propria libertà, e dunque al contempo quella di tutti. Lo ha fatto in Brasile il movimento culturale del Tropicalismo, guidato da artisti del calibro di Caetano Veloso, Gilberto Gil e Gal Costa, tra gli altri. E lo ha fatto, fino alle estreme conseguenze, anche la Nuova Canzone Cilena, animata soprattutto dall’anima libertaria e militante di Victor Jara, per il Cile molto più che un cantautore.

Imposible entender a los chilenos
los que se quedaron aquí
no piensan en otra cosa que en irse
“este país no sirve para nada”
los que se fueron sueñan con volver
inútilmente porque no se puede
madre mía que estás en el cielo
santificado sea tu nombre
déjalos regresar a la patria
no permitas que mueran en el destierro.
— Nicanor Parra