Fino a poco fa, solo un elitario ensemble di amatori e frequentatori di DJ sets di un certo calibro conosceva il nome – e il beat – di Alex Banks, grazie soprattutto ad eccellenti remix di Bonobo, Husky Rescue, Andreya Tiana e così via. Ma da qualche parte bisogna pur cominciare e se l’inizio è rapido ed efficace come questo, c’è da aspettarsi molto di buono.
Su di lui si trovano pochissime notizie: i suoi dati anagrafici sono avvolti da una (sospetto voluta) coltre di discrezione che rende la sua figura ancora più affascinante. Fuori dubbio sono l’inaspettata verde età, poco più di vent’anni, e la rispettabile formazione tecnica tra la Brunel University di Twickenham e la Westminster di Londra. Eppure, così come dovrebbe essere, ciò che sbalordisce di questo giovane musicista non è tanto il lodevole elenco di esperienze e titoli di studio, quanto la già distinguibile cifra stilistica, imprevisto e graditissimo apice dell’ormai complesso background dell’elettronica di concetto.
Dimenticando prepotenza o pretese incontentabili, Alex Banks presenta il suo album di debutto, Illuminate, nei primi di giugno 2014 e lascia tutti senza parole. Due anni di lavoro, attenta ricezione, instancabile ed oculato studio di un sound nuovo, ma figlio riconoscibile di una progenie a cui non ha nulla da invidiare, portano ad un risultato sconvolgente.
Accolto e deliziato dalla voce della guest artist Elizabeth Bernholz (aka Gazelle Twin) nel pezzo di apertura ‘Silent Embrace’, l’ascoltatore entra presto nella particolarissima dimensione a cui appartiene con coerenza l’intero progetto. Nel presentarlo, Banks ha detto di aver pensato a qualcosa che fosse creato con le più ricercate tecniche di composizione ed incorporasse tutti gli stili di musica che lo influenzano, senza dimenticare di nutrirlo con quella sorta di emotività composita e stratificata che da James Blake in poi è diventata nucleo della produzione del genere. Perfettamente riuscito nel suo intento, ecco che serve al pubblico un prodotto articolato, multiforme e multiuso.
Seguendo un discorso eterogeneo, ma coeso, le dieci tracce di Illuminate scorrono fluidamente una dopo l’altra, alternando breakbeat esplosivi a melodie suadenti e memori dell’iniziazione di Banks alla musica, quando ancora bambino si dedicava allo studio di partiture di gruppi, quali Metallica, Megadeth, Guns’n’Roses et similia, che parrebbero tuttavia lontanissimi dal suo stile personale. Elementi che si ritrovano particolarmente nella quarta traccia, ‘Initiate’, tramite l’inserimento di archi e tonalità cupe che intessono un’atmosfera quasi nostalgica e malinconica.
Dopo l’intensità ed esplosività di ‘Solar’, tra i più rappresentativi della firma Banks, è in brani come ‘Phosphorus’ e ‘Sheya’ che si avverte maggiormente la vicinanza al timbro della casa berlinese che lo ha prodotto, la Monkeytown Records, alla quale si associano nomi quali Modeselektor, Moderat, Otto von Schirach e Siriusmo. Forse non è un caso che a chiudere sia ‘Unknown’, pezzo dai toni riflessivi, che ricorda, seppur lontanamente, i Koan Sound di Funk Blaster e il cui titolo fa pensare alla natura stessa di quanto si è appena finito di ascoltare.
Una tale versatilità permette a Illuminate di essere allo stesso tempo un’interessante creazione artistica con il potenziale di lavori decennali e la linea ideale per dancefloors assetati di novità assolute. Dopotutto se la stessa Monkeytown, con cui ha subito firmato un contratto per tre album, ammette la rarità di un simile evento, c’è da pensare che l’estro di Alex Banks abbia davvero dell’eccezionale. Tanto da meritarsi, almeno fino al prossimo release, tutta la curiosità e l’attenzione che ha iniziato a destare solo nell’arco di pochi giorni.