Quando una nuova generazione chiede diritto di parola e dissenso, anche la musica diventa un messaggio. Nei primi giorni della protesta di Hong Kong uno degli slogan più ripetuti della rivolta al governo cinese è stato un verso di Imagine di John Lennon: “You may say I’m a dreamer, but I’m not the only one”. Ma il linguaggio usato dai manifestati molto spesso ha trovato una colonna sonora globale, che in qualche modo potesse anche intendere un distacco culturale dalla Cina. La Rivolta degli Ombrelli ha insomma una vera e propria selezione musicale come soundtrack del dissenso. Del resto questo dissenso parte soprattutto dai più giovani, dagli studenti: il leader della rivolta è Joshua Wong di anni 17 (cosa che ci farebbe poter riflettere sull’età media dei leader delle manifestazioni-scampagnate italiane). Probabilmente il pezzo che va per la maggiore è Under a Vast Sky di Beyond: ”Forgive me for loving freedom all my life” (non esattamente un canto globale).
Veri e proprie intonazioni di gruppi di canti sono state sentite nelle piazze: è il caso di Do You Hear the People Sing? (dal musical Les Misérables). La canzone è stata usata in diverse manifestazioni, ma solo per quelle di Hong Kong è stata cantata sia in inglese che in cantonese. Il cantonese è la vera lingua della protesta: uno dei principali gruppi di dialetti della lingua cinese, lingua ufficiale di Hong Kong. La traduzione di questa canzone popolare in cantonese l’ha presto trasformata in vero e proprio inno generazionale.
La storia di Hong Kong è una storia di laceranti divisioni e aspirazioni di libertà: dal 1997 la sua sovranità è stata trasferita dal Regno Unito alla Cina, ma quella che sembrava un’occasione di libertà si è trasformata ben presto in una disintegrazione di autonomia per i cittadini. Il 31 Agosto la Cina ha annunciato la possibilità per i cittadini di Hong Kong di votare solo per candidati pre-approvati da Pechino. Una delle ragioni scatenanti la protesta. Una protesta che attira le simpatie anche delle altre regioni autonome che vorrebbero sottrarsi alla protezione cinese, come Tibet, Xinjiang e Mongolia. Una protesta che canta, e in quel canto ricerca libertà.
foto di copertina: James Nachtwey for Time