Alla fine degli anni ’80, Jane Smiley, scrittrice già consolidata e nel pieno dell’incarico presso la Iowa State University come docente di inglese e di scrittura creativa, è in viaggio di ritorno da una cena a Minneapolis. Attraversa in auto il territorio fra Minnesota e Iowa, nel cuore del Midwest statunitense, e si accende un’idea: è in questo panorama piatto e sconfinato che può ambientare l’idea di romanzo che le gira in testa da anni, una riscrittura del Re Lear di Shakespeare in chiave femminile. Da allora inizia il lavoro su “A thousand acres”, in italiano Erediterai la terra nella traduzione di Raffaella Vitangeli per La nuova frontiera, romanzo pubblicato nel 1991 che la porta alla vittoria del Premio Pulitzer nel 1992.
L’obiettivo è rimanere fedele alla vicenda shakespeariana, spostando il punto di vista per dare voce alle figlie maggiori del monarca, Goneril e Reagan, che nel romanzo diventano Ginny, la primogenita di 36 anni e voce narrante, e Rose, 34, la figlia di mezzo, entrambe devote alla cura del padre e tradite da lui con violenza al primo segno di dissenso. Caroline, la più piccola, 28 anni, invece, si distinguerà per la sua assenza fino a quando le pretese dell’anziano padre non la chiameranno in causa. Siamo nella contea fittizia di Zebulon, in Iowa, dove l’idea di un regno da suddividere tra tre figlie può solo essere rappresentata da una tenuta, i mille acri del titolo originale, un appezzamento di terra estremamente rilevante all’epoca dei fatti narrati, la fine degli anni Settanta a cavallo con gli Ottanta.
Apre il romanzo un incipit descrittivo che fotografa la contea con gli occhi di Ginny.
Nessun mappamondo, nessuna mappa erano mai riusciti a convincermi fino in fondo che la contea di Zebulon non fosse il centro dell’universo. Indubbiamente la contea di Zebulon, dove la terra era piatta, era un luogo in cui un oggetto sferico […] non poteva che raggiungere l’immobilità assoluta e, una volta fermo, affondare le sue radici fino a tre metri sotto il suolo.
In questo terreno fertile e piatto nasce la fortuna della famiglia Cook: Larry, il capostipite, le tre figlie, Ty, il marito di Ginny, e quello di Rose, Pete, tutti legati alla terra con radici talmente profonde che solo uno strappo traumatico potrebbe separarli. Caroline, la figlia più piccola, cresce senza madre e protetta dalle sorelle più grandi; sarà lei l’unica a cui verrà offerta un’opportunità di vita alternativa al lavoro nella tenuta, e sarà questa indipendenza a indispettire suo padre nel momento della divisione a sorpresa del territorio. Saranno Ginny, Rose e i rispettivi mariti, infatti, a beneficiare del ritiro di Larry, annunciato a sorpresa durante una festa coi vicini Clark. Le figlie sono titubanti, la decisione sembra sospetta, ma Ginny e Rose si ritrovano ad accettare l’offerta nel clima di concordia generale. Da quel momento inizia il declino psicologico del padre che renderà loro impossibile la vita nella tenuta.
Forse esiste una distanza ottimale per guardare al proprio padre, una distanza che va oltre il lato opposto di un tavolo da pranzo o di una stanza e che si colloca né troppo lontano né troppo vicino: da lì ci sembra piccolissimo rispetto agli alberi o a un’alta collina, ma i suoi lineamenti sono ancora visibili, il suo linguaggio corporeo è ancora distinto. Ebbene, questa distanza io non l’ho mai trovata.
Il rapporto di Ginny e Rose con questo padre inflessibile e sprezzante è evidentemente complesso, ma, per la sorella maggiore, l’autrice confeziona una voce conciliante il cui unico obiettivo è appianare le divergenze da lui create. Ginny passa tre quarti del romanzo a cercare di rabbonirlo e comprenderlo, fino a quando i traumi del passato non spazzano via ogni buona intenzione; tuttavia il suo rimuginare, altalenante e controllato ma con picchi di irragionevolezza memorabili, non riuscirà mai a discostarsi dal padre e dalla terra che l’ha generata, centro del mondo, come la definisce, ma al tempo stesso sabbie mobili che la inghiottono un po’ di più a ogni movimento. Rose, dal canto suo, ha già guai di cui prendersi cura: è convalescente dopo un cancro, ha un rapporto altalenante con il marito violento che tiene a bada con le minacce, e una rabbia atavica nei confronti della famiglia e di Zebulon tutta. La sua è la perfetta voce antagonista della sorella Ginny e con lei coltiva un dialogo incessante che dona alle due protagoniste spessore letterario e complessità umana. Smiley mostra la stessa cura nei confronti di tutti i personaggi, compreso l’altro elemento che crea scompiglio nell’apparenza placida della contea: Jess Clark, figlio del miglior amico di Larry, tornato a Zebulon dopo tredici anni in Canada da fuggitivo per la sua posizione pacifista nei confronti della guerra in Vietnam. Jess compare nelle prime pagine di “Erediterai la terra” e si rivela subito il portatore di un punto di vista inedito che affascina Ginny. Per lei è un vero e proprio catalizzatore di eventi.
È sempre Jess a introdurre un secondo tema fondante del romanzo, che nasce come tragedia shakespeariana, ma che rivendica il punto di vista femminile di Ginny e Rose collocandolo in una terra avvelenata. Smiley ha, infatti, dichiarato che la componente ambientale dello sfruttamento agricolo, l’uso dei pesticidi e l’avvelenamento delle falde acquifere, temi a cui Ginny viene introdotta da Jess, è stata attivata dalla lettura di “The closing Circle” di Barry Commoner, saggio del 1971 che spiegava per la prima volta i danni sull’ambiente del sistema economico nel cuore agricolo degli Stati Uniti, anticipando così, la crisi ambientale ed energetica della zona. I problemi di quella che fu chiamata la farming crisis degli anni ‘80 sottendono l’intera trama di “Erediterai la terra” e lo rendono un romanzo ancora più stratificato, fotografia impeccabile di un preciso momento storico che ancora riverbera sul presente.
Se i guai di salute di Ginny e Rose sembrano connettersi con i veleni della terra che abitano, è altrettanto avvelenata la memoria della sorella maggiore. Il tema della memoria si incastra, allora, con quello del trauma generazionale in un susseguirsi di abusi fisici a di potere a cui pochi personaggi sfuggiranno. L’introduzione di Jess nella narrazione serve proprio a questo: a mostrare che c’è una possibilità oltre Zebulon e a questa possibilità Ginny aspira con tutto il rancore di cui sarà capace.
L’impianto del Re Lear rimane intatto, ma nella sua struttura Jane Smiley dà rilievo all’ambientazione, sia in termini di paesaggio che di coro di personaggi secondari, una comunità rurale giudicante e devota alle apparenze, vittima delle rivalità fra proprietari terrieri. L’autrice aggiunge un tocco personale ulteriore scrivendo personaggi a seconda dei momenti, ugualmente esasperati, sconfitti ma anche illuminati e pieni di speranza. In questo contesto non poteva essere che Ginny la voce narrante più affidabile: meno vittima delle emozioni, almeno in prima battuta, e più conciliante tra i vari personaggi; è lei il tramite migliore per filtrare gli avvenimenti, ma c’è un dettaglio ancora più interessante. Smiley non dona a Ginny l’onniscienza, ma lascia che sia lei stessa sorpresa dallo sviluppo della storia, creando un parallelo ancora più intenso con chi legge. A proposito di Rose, invece, Smiley conferma che è stato il personaggio più difficile da scrivere: istintiva, determinata, poco incline al compromesso, perciò la più simile a Larry, una realizzazione che subentra solo a fine lettura.
Nelle parole di Rose:
«Non posso proprio accettare che questa sia la mia vita, la mia unica possibilità. […] Semplicemente non posso. Credevo che sarebbe durata più a lungo, abbastanza per sistemare tutto. Credevo che […] si sarebbe preso metà della mia vita, ma che l’altra metà sarebbe rimasta a me. Ora invece sono pronta a scommettere che sarà lui a seppellirmi. È come se stesse per soffocarmi, per sotterrarmi, come se fossi sempre stata sua e mai mia…»
“Erediterai la terra” è un romanzo epico nella struttura e nelle ambizioni, che racconta gli Stati Uniti di cinquant’anni fa, eppure non così lontani dal presente perché è in quel sistema economico e patriarcale che si fonda la contemporaneità che stiamo vivendo. Quello di Smiley è un romanzo oscuro, claustrofobico, in cui le donne provano a liberarsi dalle catene della terra e degli uomini. Un profondo senso di ingiustizia, anche questo dal riverbero contemporaneo, pervade l’esistenza delle donne Cook, ma non c’è rimedio in questo Re Lear femminista, nelle parole dell’autrice, se non la conquista tardiva del proprio posto del mondo pur pagandone il prezzo più alto.