Sistemo canotte e tute nella parte di armadio destinata a Nonno e mi rendo conto che sto pregando. Lascialo qui. Lascialo qui. Lascialo qui. Lascialo qui.
C’è un leitmotiv in L’estate che ho ucciso mio nonno, romanzo di Giulia Lombezzi edito da Bollati Boringhieri, che fa: abbiamo potere sulla realtà. È Cane, un adolescente amico stretto di Alice, che glielo ripete a intervalli regolari. Abbiamo potere sulla realtà. Ed è proprio quello a cui la sedicenne Alice aspira nella sua vita da quasi adulta. Avere potere sulla realtà, per cambiarla. In meglio? Si spera. Almeno quel po’ che serve per evitarsi un po’ di dolore.
In classe guardo i compagni e vorrei sniffarli uno a uno, portarmi via le loro giovinezze e crearmi addosso un filtro che renda invisibile il padre di mia madre.
L’estate dei sedici anni di Alice è legata a suo nonno, ostinato e dispotico più che ottantenne di origine ligure, il Mastroianni di Berceto, il signor Macellaio di Cogoleto, e alla convalescenza di quest’ultimo per un intervento che lo tiene a letto, passata con la nipote, appunto, e con mamma Marta, l’unica figlia del vecchio. Al padre, Marta si sente legata a doppio filo da sentimenti-da-figlia-non-ingrata e, contemporaneamente, giorno dopo giorno viene schiacciata dal presente e dal passato, ricomincia a fumare e smette di mangiare. Comincia, in poche parole, a vivere per suo padre, tra un turno al bagno e la ricerca, perseguita un po’ sotto forma di elenco un po’ sotto forma di aneddoto, di una badante che vada bene al Nonno (come: «Non mi piace molto Oksana» mi rivela mamma mentre gira il caffè. «Mi pare bravissima» ribatto io. Troppo piccata, ho sbagliato tutto, potevo impararla un po’ di diplomazia, potevo stare attenta quando spiegavano Machiavelli).
Così come Alice, a suo modo, reagisce alla situazione. Si impunta, inizia anche lei a fumare e a bere (La nicotina e la birra sono un rimborso. Il rimborso di questi giorni che fanno male. Ne voglio un’altra. Cane me la dà e mentre l’accendo capisco perché gli adulti fumano. Principalmente, per evitare di piangere), comincia a covare un vero e proprio odio per quel signore bisognoso di attenzioni e cure che è suo nonno. È come se sentisse sotto pelle che c’è qualcosa di più – Di più pesante, di più passato, di più grave. Allora Alice inizia a scavare, non si sente di chiedere direttamente a sua madre, ma agisce come può, osserva e scopre cose (Sappiatelo: i figli ascoltano, tutto. Siamo il vostro KGB. Non ci sfuggite. E lo sappiamo se mentite, sempre), ascolta storie passate da una cugina, fa tutto e il contrario di tutto. Indaga e soffre, mettendosi spesso contro la sua stessa mamma.
Forse fu quella, la prima volta in cui cercai di mettermi al riparo dalle emozioni della mia famiglia. L’amore altrui è una fatica bestiale.
L’estate che ho ucciso mio nonno è un romanzo verissimo, è sincero. Leggendolo, ho pensato che è questo (o qualcosa del genere che comunque gli si avvicina molto) il modo per raccontare le famiglie di oggi qui e ora, quelle famiglie per-niente-del-Mulino-Bianco della contemporaneità, con tutti i loro . L’adolescenza, sconosciuta a molti, tra le parole e i meccanismi narrativi di Lombezzi, già drammaturga e sceneggiatrice (e si sente), appare per quella che è. La vecchiaia, conosciuta da pochi così in profondità, si impone sulla scena e si mostra per quella che è. Non è mai un idillio, per nessuna delle due età. In mezzo a tutto questo, si scorge quel trauma generazionale matrilineare (Io non voglio sentirmi abitata dalle mie antenate ogni volta che provo dolore. Voglio il mio dolore, non il vostro. Non lei. Io voglio essere disabitata. È possibile?) che grava sulle teste di Teresa, la Nonna morta anni prima, di mamma Marta e di Alice stessa che, però, non ci sta. Vuole interrompere questa catena di dolore, vuole salvare sua mamma coprendola, inglobandola, abbracciandola. Vuole il suo dolore, non uno per interposta persona.
«Vista la vita che mi fate fare, se crepo è meglio per tutti». Ecco, su questo sono d’accordo.
L’estate che ho ucciso mio nonno è un romanzo da leggere se si è figli e se si è nipoti e, in potenza, Lombezzi questa figura del nonno-padrone, alla fine, la annienta davvero, quindi per fortuna quel potere sulla realtà di cui parlavamo all’inizio per Alice un po’ esiste.