“Evohé” rappresenta il richiamo e l’esclamazione di giubilo, in questo caso, per la poesia. Una rubrica a cura di Tania Pleitez Vela e Rocío Bolaños, alla ricerca di poeti, versi. Qui i numeri precedenti.
Massimiliano Bardotti è nato e vive a Castelfiorentino. È presidente dell’associazione culturale Sguardo e Sogno, fondata da Paola Lucarini. Cura la collana Fuori Stagione di Firenze Libri assieme a Serse Cardellini e a Gregorio Iacopini. Dal 2018 conduce “L’infinito, la poesia come sguardo. Ciclo di incontri con poeti contemporanei” a San Leonardo al Palco a Prato. Ha pubblicato diversi libri di poesia tra cui Il Dio che ho incontrato (Edizioni Nerbini, 2017), Diario segreto di un uomo qualunque (Tau edizioni, 2019) , La terra e la radice (puntoacapo, 2021), La disciplina della nebbia (PeQuod, 2022), A noi basti la gioia di cantare (PeQuod, 2025).
La prima cosa che mi viene in mente pensando non solo alla poesia di Massimiliano Bardotti, ma anche all’uomo, è che è un poeta in dialogo sia perché si nutre dei poeti che lo hanno preceduto e di quelli con cui la vita gli ha concesso di condividere il suo tratto di strada terreno sia perché incessante è il suo dialogo con il divino. La sua scrittura nasce da un profondo ascolto di sé stesso e del mondo che lo circonda in un unico movimento interiore che lo porta ad indagare le profondità dello spirito umano con una tensione verso il trascendente che si incarna in uno sguardo in cui la dimensione verticale e quella orizzontale si compenetrano. E la poesia è così la lucerna che non si mette sotto il moggio, ma bene in vista in modo che possa fare luce a tutti, compreso il poeta stesso perché egli sa di essere in cammino e che non solo la fede, ma la vita stessa richiede il nostro assenso giorno per giorno.
La poesia di Massimiliano Bardotti è una poesia benedicente attraverso la quale egli dice il bene, l’amore che vive e sente attorno a sé e dentro di sé, pur consapevole che il male c’è e porta disordine, dolore, devastazione. “Intendo poeta chi sente il mistero che siamo, che è in ogni cosa. Chi è capace di stupore e meraviglia”, così scrive in una delle profonde prose del “Diario segreto di un uomo qualunque” ed è in queste parole il cuore della sua scrittura poetica che è come il pane quotidiano, un alimento semplice che richiede tuttavia lavoro e dedizione.
“Fai del tuo cuore un luogo accogliente/dove molte persone possano abitare” recitano i versi di una sua poesia e un luogo accogliente sono le poesie di Massimiliano Bardotti, un luogo dove abitare e prendere luce.
articolo di Lucianna Argentino, traduzioni di Rocío Bolaños
C’è un taglio di luce preciso
che mi sorprende ogni inverno
quando febbraio conosce il suo esito.
Lo vedo nascere all’orizzonte, straniero.
Poi, come una musica, si allarga e si espande.
Viene a prendermi dove sono, mi riconosce.
E mi parla.
Mi dice dell’ora in cui mio nonno
con la febbre alta,
mi chiese di scendere fuori a giocare
perché quel giorno non trovavo amici.
Mi dice di quando un amico sincero
non voleva aiutarmi
a scendere da un alto muretto,
per insegnarmi a saltare fuori
dalle mie paure.
Mi dice del tempo trascorso a guardare il mare.
Mi dice del primo treno che ho preso da solo.
Si sospende così il tempo
come non ci fossero più cose accadute
e cose sperate, solo un presente
in cui tutto è avvenuto per sempre.
E per sempre canta: “ora”.
***
Chi guarda la spina e vede la rosa,
chi nella luna nera vede la piena.
Chi non si affretta, sa aspettare
il tempo del frutto quando è il tempo,
ma non disperde il seme dell’attesa, lo coltiva
con la lentezza che è richiesta alla premura
sorgente sempreverde della cura.
Chi lì dove si trova, trova la sua casa.
Chi l’eterno indovina nell’età.
Chi nell’ultimo giorno vede l’origine di tutte le cose.
Chi sa la nascita, primogenita della morte.
Costei, costui, non ha più terra
perché appartiene a ogni terra
non ha più tempo poiché è il tempo
non spera più il paradiso, giacché l’ha già abitato:
con occhi che nessun umano conosce
contempla già il volto
di Colui che non ha volto.
***
Mi hai dato un bacio
e ho sentito del bacio la fine
e come ogni bacio
è la fine di qualcosa.
Mi hai detto l’amore
e ne ho avuto nostalgia.
Hai detto: domani andiamo nel bosco,
ho bisogno di respirare
di guardare le cortecce
come sanno resistere.
E io ho dubitato,
perché non lo riesco a vedere,
domani.
***
Ora sei qui,
e la nostra gattina fa le fusa.
Lei è felice di questo poco che c’è,
è felice del bene che le vogliamo.
Non la carezziamo neanche ma lei fa le fusa.
Io credo si debba imparare da lei
amore mio, che dentro la fine del mondo
si gode l’essere amata
e non fa progetti.
Vuole mangiare quando ha fame
e dormire in mezzo a noi.
E vuole l’amore e fa le fusa
senza che nessuno la tocchi,
perché la felicità è qualcosa
che ha deciso di praticare.
Siamo fortunati
ad avere maestri tanto ostinati.
***
Appartengo a tutto ciò che è sacro
il ginocchio che si piega
per eguagliare la statura della viola,
la fessura dell’occhio
sempre aperto alla pianura.
Appartengo a mio padre
al lavoro che per cinquant’anni ha fatto
al treno delle sei di mattina
alla sveglia che suonava un’ora prima.
Appartengo ai silenzi di mia madre
quelli più rari, dedicati a pochi eletti.
Appartengo alle mani di mia moglie
alla sua voce, rifugio sempre aperto.
A quella pausa silenziosa e allegra
quando mi chiede se le voglio bene.
Appartengo alle fusa di Etty
al suo cercare di notte le mie gambe.
A chi mi ha insegnato a stare seduto
a gambe incrociate e occhi chiusi.
Chi del silenzio ha fatto devozione
e del respiro un canto.
Appartengo alla forte tramontana
canto di questa terra sacra
dove sono nato e vivo.
Appartengo a chi un po’ di bene mi ha voluto
a chi mi ha detestato.
Appartengo a quell’ultimo respiro
dal quale sono nato.
***
Chi canta in me quando canto?
Di chi è la voce che conforta?
Di chi quella che salva?
Quando il santo la mano posa sulla piaga
cosa la risana?
Di chi ti innamori davvero
quando ti innamori?
Chi muove il vento verso l’orizzonte?
Chi ha velato di mistero il firmamento?
Chi ha rivelato i nomi delle cose?
Da dove viene la luce dell’inverno?
Chi ne ha stimato la durata?
Dove posa lo sguardo la rondine
quando inizia la migrazione?
Il cuore che ci batte dentro al petto
chi lo muove?
Il respiro da che tempo è modulato?
Chi ha sognato per la prima volta?
Chi per primo ha pianto?
Dove sono ora quelle lacrime?
Chi le ha conservate?
Hay una raja de luz exacta
que me sorprende cada invierno
cuando febrero conoce su destino.
Lo veo nacer en el horizonte, extraño.
Luego, cual música, se amplía y se expande.
Viene a buscarme donde estoy, me reconoce.
Y me habla.
Me cuenta la hora en que mi abuelo
con fiebre alta,
me pidió que bajara a jugar
porque ese día no encontraba amigos.
Me habla de cuando un amigo sincero
no quiso ayudarme
a bajar de un muro alto,
para enseñarme a saltar
por encima de mis miedos.
Me habla del tiempo que pasé mirando el mar.
Me habla del primer tren que tomé solo.
Así se suspende el tiempo
como ya sin cosas vividas
y sin cosas que esperar, solo un presente
en el que todo pasa para siempre.
Y para siempre canta: «ahora».
Quien mira la espina y ve la rosa,
quien en la luna negra ve la luna llena.
Quien no se apresura, sabe esperar
el momento del fruto cuando es el momento,
más no dispersa la semilla de la espera, la cultiva
con la lentitud que exige la prisa
manantial siempre verde del cuidado.
Quien ahí donde se encuentra, encuentra su hogar.
Quien adivina lo eterno en la edad.
Quien en el último día ve el origen de todas las cosas.
Quien conoce el nacimiento, primogénito de la muerte.
Ella, él, ya no tiene tierra
porque pertenece a todas las tierras
ya no tiene tiempo porque es el tiempo
ya no espera el paraíso, porque ya lo ha habitado:
con ojos que ningún humano conoce
contempla ya el rostro
de Aquel que no tiene rostro.
Me diste un beso
y del beso sentí el final
y como cada beso
es el final de algo.
Mencionaste el amor
y sentí nostalgia.
Dijiste: Mañana vamos al bosque,
necesito respirar
ver la corteza de los árboles
mirar cómo resisten.
Y yo dudé,
porque no logro ver,
el mañana.
Ahora estás aquí,
y nuestra gatita ronronea.
Está feliz con lo poco que hay,
es feliz con el amor que le damos.
Ni siquiera la acariciamos, pero ella ronronea.
Creo que se debería aprender de ella,
amor mío, que en el fin del mundo
disfruta del ser amada
y sin hacer planes.
Quiere comer cuando tiene hambre
y dormir entre nosotros.
Y quiere amor y ronronea
sin que nadie la toque,
porque la felicidad es algo
que ha decidido practicar.
Somos afortunados
de tener maestros tan obstinados.
Pertenezco a todo lo sagrado
a la rodilla que se dobla
para igualar la altura de la violeta
a la rendija del ojo
siempre abierta a la llanura.
Pertenezco a mi padre
al trabajo que hizo durante cincuenta años
al tren de las seis de la mañana
al despertador que sonaba una hora antes.
Pertenezco a los silencios de mi madre
los raros, dedicados a unos pocos elegidos.
Pertenezco a las manos de mi esposa
a su voz, siempre un refugio abierto.
A esa pausa silenciosa y alegre
cuando me pregunta si la quiero.
Pertenezco al ronroneo de Etty
a su búsqueda nocturna de mis piernas.
A quien me enseñó a sentarme
con las piernas cruzadas y los ojos cerrados.
A quien del silencio hizo devoción
y del aliento un canto.
Pertenezco al fuerte viento del norte
canción de esta tierra sagrada
donde nací y vivo.
Pertenezco a quienes me han querido
a los que me han odiado.
Pertenezco a ese último aliento
del que nací.
¿Quién canta en mí cuando canto?
¿De quién es la voz que consuela?
¿De quién es la que salva?
Cuando el santo pone la mano sobre la llaga
¿qué la sana?
¿De quién te enamoras realmente
cuando te enamoras?
¿Quién mueve el viento hacia el horizonte?
¿Quién ha velado de misterio el firmamento?
¿Quién ha revelado los nombres de las cosas?
¿De dónde viene la luz del invierno?
¿Quién ha estimado su duración?
¿Dónde posa la mirada la golondrina
cuando comienza la migración?
El corazón que late dentro de nuestro pecho
¿quién lo mueve?
¿Qué tiempo regula la respiración?
¿Quién soñó por primera vez?
¿Quién lloró por primera vez?
¿Dónde están ahora esas lágrimas?
¿Quién las ha conservado?