Il loto torna a volare più alto che mai. Stavolta in cima a una collina dove arde una fiamma eterna. Flamagra.
Dopo 5 anni dall’ultimo album, torna con un disco epico (anche per la quantità di tracce che lo compongono) Flying Lotus. Flamagra è una sorta di summa del pensiero ardito del pronipotino dei Coltrane. Se lo stile del producer è sempre stato difficile da incasellare in categorie predeterminate, sappiate che nell’ultimo lavoro le moltitudini contenute da Lotus esplodono come una granata a frammentazione.
Se siete un po’ come me, l’aspetto di FlyLo che più vi manda fuori di testa è la sua attitudine allo sviluppo e alla ricerca del suono. In un mondo musicale che permette (a volte troppo) di sdraiarsi sugli allori del successo dopo aver trovato una sorta di quadratura musicale valida, Steven Ellison (così si chiama in realtà Flying Lotus) non ha mai smesso di lanciare il suono oltre l’ostacolo. Tutto passa per le sue mani: il rap, i Radiohead, il jazz, il pop. Tutto passa e tutto si trasforma. Un aspetto tutt’altro che scontato per un producer e dj (probabilmente solo Aphex Twin conserva uno spirito così inquieto).
In Flamagra si ritrova tutto ciò che costituisce la firma del loto ma miscelata in cinematiche e imprevedibili evoluzioni musicali. I fan dell’uptempo, del “meccanico”, del rude, dell’estremo FlyLo saranno felici di ritrovare tutto questo anche nel suo nuovo disco. Dovranno però scavare tra la vena profondamente e spiccatamente jazz dell’album, tra la caratura artigianale e melodica dei brani per trovarli. Non più dei fiori in bella vista ma dei diamanti da scovare in lucentissime grotte questa è un po’ la sensazione che si ha ascoltando Flamagra.
Probabilmente il disco susciterà emozioni contrastanti da parte di chi ammonirà il ragazzone di essersi ammorbidito, di aver sacrificato il suo essere spudorato in virtù di un suono più orecchiabile. Probabilmente lo diranno i folli o i poveri di spirito perché il suono di Flamagra è ben più spudorato di quanto non lo fosse quello di Cosmogramma. Come definire altrimenti la decisione di un dj di musica elettronica/hip-hop di sacrificare se stesso per l’armonia e per il jazz inteso nel suo senso più alto, non tanto come stile quanto come modo di sentire e fare musica?
Basta ascoltare pezzi come Land Of Honey (in featuring con la sempre superba Solange) o Thank U Malcolm (brano dedicato, assieme a Find Your Way Home, all’amico Mac Miller) per accorgersi del piglio totalmente nuovo della musica di FlyLo. Una musica che gioca sugli archi, sulle armonie, sui gorgheggi di voci incantate. E vi vedo già pronti a sbattere i pugni sul tavolo dicendo che non è più il FlyLo di un tempo. E infatti non lo è ma se vi manca potete ascoltare Yellow Belly con Tierra Whack per ritrovarlo in tutto il suo splendore.
Pilgrim Side Eye è probabilmente il pezzo in cui provocatoriamente convivono meglio le due anime elettroniche e jazz del producer. Un brano che sembra un ingranaggio che si muove all’infinito con incursioni e attese che sono in tutto e per tutto figlie degli standard; basta ascoltare il modo in cui incedono le tastiere per accorgervene.
Come avrete notato, l’album è decisamente un album corale, oltre agli artisti già citati, in Flamagra troviamo anche Anderson Paak nel singolo More che ha anticipato l’uscita dell’album, un grandissimo George Clinton in una dei pezzi più interessanti, Little Dragon, Thundercat che sembra essere ogni volta più a suo agio con il suo basso a sei corde e Toro Y Moy. C’è anche un pezzo (di nuovo un singolo anticipante l’album) con David Lynch e ne esiste anche un video. Io lo aggiungo qui giù ma vi assicuro che è evitabile se avete mai visto qualcosa di Lynch.
Se l’album, come ha detto lo stesso Flying Lotus, è una sorta di rifugio dal dolore per la morte di Miller, è al tempo stesso un modo di “aiutare le persone nei momenti difficili, ispirarle a essere creative”. E sembra essere questa la chiave per capire il lavoro di FlyLo, in generale, e in particolare di questo suo ultimo lavoro che, altrimenti, sembrerebbe composto da schegge impazzite lanciate a caso. Troppe incursioni nei generi, troppo duro, troppo dolce, troppo tutto. Ma forse è la creatività che non conosce il troppo e che, anzi, quando può vuole esplorarlo fino in fondo.