Nelle scorse giornate mi è capitato di rivedere la prima stagione di House of Cards: ovvero l’inizio della saga dell’Odissea di Frank Underwood e della sua scalata al potere alla Casa Bianca. House of Cards non è ovviamente solo un political drama, c’è il giornalismo da cui ci si aspetta che sia uno dei cani da guardia del potere – e invece rivela le sue deviazioni quando si mescola al potere per ottenere vantaggi. C’è il conflitto tra potere e denaro, un conflitto che si fa scelta di vita nelle parole di Frank: “I soldi sono come ville di lusso che iniziano a cadere a pezzi dopo pochi anni; il potere è la solida costruzione in pietra che dura per secoli“. C’è il logorio di questo potere, che ci trasforma, ci marchia, e c’è infine una sottile riflessione che si agita sullo sfondo del serial: quanto conta l’uomo – io, tu, noi – in queste infinite diramazioni e trame del potere? – esistono delle reali possibilità di azione o è tutto solamente illusorio?
A fare da contraltare a Frank Underwood c’è l’unica persona esclusa dalle manovre del suo grande gioco politico, la moglie Claire Underwood. Parliamo di una vera e propria alleanza di coppia – diremo alleanza e non amore, perché puntata dopo puntata la relazione tra i due si scopre sempre più pragmatica e votata a uno scopo ultimo: il potere per il potere.
You know what Francis said to me when he proposed? I remember his exact words. He said, ‘Claire, if all you want is happiness, say no. I’m not gonna give you a couple of kids and count the days until retirement. I promise you freedom from that. I promise you’ll never be bored.’ – Claire Underwood
È chiaro che veri protagonisti siano loro due, e stagione dopo stagione diventerà ancora più evidente come gli equilibri di questa alleanza possano mutare, ma senza mortificare la natura della sete e della brama che agita entrambi. Tutti gli altri sono figure sullo sfondo: la giornalista in carriera Zoe Barnes, il politico Peter Russo, la prostituta Rachel, e persino il Presidente degli Stati Uniti, vengono tirati in ballo a turno a uso e consumo del grande disegno Underwood. Così il serial diventa una grande epopea contemporanea, che fa i conti con le solite vecchie tragedie shakespeariane. Ma il problema dei serial – rispetto alle pièce teatrali – è che si confrontano con il pubblico in fieri, stagione dopo stagione. È un po’ quello che ci ha “insegnato” anche House of Cards: lì fuori c’è sempre il pubblico americano a cui rispondere, che un giorno può farti Re e il giorno dopo buttarti a tappeto. E Frank lo sa bene, tanto che riesce a usare e manovrare anche quel pubblico.
Macbeth di Shakespeare ha scampato il giudizio popolare, è arrivata in scena senza alcuna modifica rispetto alle intenzioni dell’autore. Uno sceneggiatore contemporaneo di serial tv deve fare i conti con audience, preferenze del pubblico rispetto a personaggi, situazioni e trame, ed eventualmente modificare in corsa quello che aveva in mente per andare incontro al pubblico o alla mano invisibile che guida il mercato della serialità. Talvolta le leggi selvagge dell’audience riescono a chiudere intere serie tv solo perché al pubblico non piacciono più – salvo poi dopo qualche anno renderli cult magari, come è successo a Twin Peaks.
Dopo gli scandali che hanno travolto Kevin Spacey, Netflix ha deciso di andare avanti con un’ultima stagione di 8 episodi di House of Cards che vedrà protagonista solo Robin Wright, ovvero Claire Underwood. Per tutte le stagioni Netflix ha giocato molto con l’omosessualità di Spacey traslandola nel personaggio di Frank Underwood. Il serial ammiccava, e il personaggio di Frank diventava sempre più stratificato, misterioso, interessante, lasciando intendere che ci fossero domande irrisolte nel suo passato: che genere di scelta lo aveva portato a sposare Claire? perché non avevano figli? per il pubblico politico americano l’omossesualità di un aspirante contendente alla Casa Bianca poteva costituire un problema? Frank Underwood aveva scelto razionalmente di legarsi a una donna bella, forte e di classe come Claire Underwood per assecondare solo il grande disegno della loro epopea? Queste domande si agitavano nelle sotto-trame del serial persino mentre Frank era impegnato a regalare amplessi al carrierismo di Zoe Barnes.
Ma l’epopea di Frank non si fermava a questo aspetto intimo: in nome del pragmatismo politico era capace di tutto, e sua moglie risultava una complice perfetta. Naturalmente mettere in scena in televisione tutto questo rendeva estremamente attraente il risultato. Gli Underwood potevano fare tutto, persino ammazzare qualcuno se dovevano, il pubblico li avrebbe perdonati e assolti. Perché quello che contava era seguire la rincorsa folle alla Casa Bianca di questa coppia, i sottili equilibri tra di loro, dove a turno si scambiavano il ruolo di dominante e dominato. Ma se il pubblico e Netflix perdonavano e assolvevano il personaggio di fiction Frank Underwood nella sua scalata al potere – qualunque cosa facesse, la stessa cosa non è successa a Kevin Spacey.
Nelle scorse settimane, usciti allo scoperto i vari scandali che hanno coinvolto il mondo incantanto della macchina dei sogni, ci siamo tutti chiesti quanto il sistema fosse consapevole e dunque coinvolto nel problema. Per esempio: Netflix (ne parliamo qui come entità, con la consapevolezza che sia fatta di persone) sapeva quello che accadeva sul set di House of Cards? – ovvero delle molestie di uno dei produttori della serie ai danni di persone che hanno lavorato o lavorano sul set. Probabilmente la risposta non ha importanza, perché quello che si sta suggerendo ora è semplicemente ripulire a posteriori il sistema.
E qui emerge drammaticamente una delle lezioni che abbiamo tratto da House of Cards: finché il potere si costruisce attraverso trame sotterranee, che non vengono allo scoperto, il sistema si regge su una serie di coperture incrociate. Ma quando queste trame oscure vengono fuori, la palla passa direttamente all’audience, al pubblico, e il sistema dei media sarà il grande connettore. Il glorioso cane da guardia del potere troppo spesso rinforza questo potere, salvo poi provare a scardinarne una fetta parziale. Sullo sfondo tuttavia resta la sensazione di questa “solida costruzione in pietra che dura per secoli”. Il serial continua, ma senza Kevin Spacey.