Alcuni dicono che si invecchia realmente quando non si capiscono più i fenomeni attuali. Ci sono caterve di articoli pseudo romantici in cui ci viene spiegato che non smettiamo per tutta la vita di ascoltare la musica che ascoltavamo a vent’anni. Ecco perché quando, oggi si parla di Trap discorsi vetero conservatori come questi tornano sempre a galla. Autotune descritto come il diavolo che infesta le sacre stanze del talento vocale, musica in preda a programmatori asettici che assemblano sequenze lontano dal cuore pulsante della composizione musicale. Armi esibite nei video, lusso sfrenato inseguito nei testi sempre più superficiali, misoginia e chi più ne ha più ne metta. Il discorso sulla musica trap, sulla drill, e tutte le derivazioni del genere, sono un condensato di rigidità mentale. Il tutto perché molti di quelli che scrivono di musica semplicemente non appartengono alla generazione che questo tipo di linguaggio musicale ha contribuito a forgiare.

Maxi-rissa. I Diari della Trap – libro volume che mescola indagine e interviste ad opera di Alberto Piccinini e Giovanni Robertini, edito da Nottetempo – non è un libro che vuole spiegarci cosa sia questo fenomeno musicale ma qualcosa di più. Dopo averlo letto l’ho interpretato come una sorta di lonely planet che guida il lettore all’interno dei luoghi e dei protagonisti di questa wave musicale. Come la guida per viaggiatori più famosa al mondo questo libro non tenta di svelare alcun segreto, ma in modo mai giudicante ci porta nelle strade dove questo tipo di musica si fonde con lo stile di vita e con le radici di chi ne ha gettato le basi e di chi ha contribuito a riscriverne i paradigmi.
Riscriverne, perché la trap dal 2018 ad oggi ha cambiato pelle innumerevoli volte e questo è avvenuto mentre gran parte dell’intellighenzia si arroccava su vecchi bastioni melodici e compositivi. In questa sorta di scontro di civiltà si giocava una partita molto più importante di quella soltanto musicale. La musica, infatti, non è mai soltanto suono che serve a riempire le giornate di chi va a fare la spesa o di chi sta in coda al semaforo e fa zapping radiofonico. Mentre noi passiamo distratti le canzoni ci raccontano il mondo che ci circonda. Qualcuno, parafrasando il vecchio adagio del saggio che indica la luna, direbbe che mentre tutti indicano le collane d’oro quel genere di musica ci sta indicando la luna della società che cambia sotto i nostri occhi. Questo paese, paradossalmente, viene fotografato con molta più efficacia dagli album di Sfera o Baby Gang che da molti cantautori.
Uno dei passaggi più intensi e interessanti di questo libro/intervista è tra le pagine dedicate a Mowgli giovane trapper italiano di seconda generazione. Si ha modo di parlare di questione palestinese e di tematiche sociali con una franchezza che molta politica ha dimenticato. Si sta per girare il video di Haram Freestyle 2 e prima che si accendano le telecamere lo scambio tra gli intervistatori e il musicista ci restituisce una fotografia completamente capovolta dell’immaginario legato a questa scena musicale. Non è un caso che molti degli artisti trap siano italiani di seconda generazione, questo genere fonde le radici culturali diverse e scrive una narrativa nuova che questo paese ingessato su posizioni conservative vorrebbe non venisse mai a galla. Come un mulino bianco occupato da una famiglia multietnica che farebbe drizzare i capelli a molte persone incapaci di andare a prendere il caffè in un bar fuori dalle rassicuranti mura dei centri storici gentrificati.
Nei giorni in cui leggevo il libro mi è capitato una sera di sentire la figlia di un’amica dire che era una “vera baddie” frase caduta un po’ nel vuoto in una comitiva che per lo più ignorava da dove venisse quel tipo di definizione. In questo ho riconosciuto la forza di un libro che riusciva a fotografare una realtà che si muove alla velocità della luce. Anna Pepe è appunto uno degli esempi di come anche le figure femminili, in un palcoscenico raccontato come il crogiuolo della misoginia, sanno imporsi in ogni ambito da quello compositivo a quello di produzione. Vera Baddie è uno degli album che spiega di come si possa rompere il monopolio maschile e appropriarsi di un linguaggio diverso per cambiarlo da dentro.
Nottetempo, con la sua collana di libri dedicati alla musica, sta in questi anni riscrivendo le regole della narrazione musicale. Saggi come quello di Robertini e Piccinini seguono la scia di libri come quello di Massimo Palma o Ferdinando Rennis portando a un nuovo livello la scrittura relativa alla musica, terreno scivoloso e impervio per antonomasia. Si ha l’impressione, leggendo questo tipo di pubblicazioni, di attraversare la realtà che ci circonda con occhi nuovi trovando nelle canzoni un modo di raccontarci le cose che altrimenti non sapremmo come interpretare.