– dall’atrocità di un conflitto perenne nasce una storia di convivenza e contaminazione
Raccontare una storia che si svolge in quella parte di mondo che inevitabilmente si associa all’annoso conflitto tra arabi ed ebrei non è solo complicato ma rischioso, perché la probabilità di scadere nella banalità e nell’approsimazione, non prendendo posizione per l’una o per l’altra fazione, è molto alta.
Il Figlio dell’altra è un film che supera questi ostacoli ed entra nelle esistenze delle persone collocandole in una situazione estrema che nonostante non possa prescindere dalla loro appartenenza e dalle idee sul conflitto, riesce a renderle individui che volenti o nolenti si trovano ad interagire e a considerarsi esseri umani con cui convivere, non nemici assoluti.
La regista Lorraine Levy (ebrea non israeliana) narra la vicenda di Joseph e Yacine, due diciottenni che scoprono di essere stati scambiati appena nati nell’ospedale di Haifa da cui furono prelevati per essere messi in salvo dai famigerati bombardamenti del ’91, durante la Guerra del Golfo: al ritorno l’uno fu erroneamente affidato alla famiglia dell’altro, e già questo potrebbe essere sufficiente come elemento scioccante per la vita di due ragazzi. Ma Joseph è cresciuto da ebreo in una famiglia israeliana con padre militare, e Yacine da musulmano in una famiglia palestinese che vive nei territori occupati della Cisgiordania all’ombra dei muri innalzati dal governo israeliano.
Lo shock è ovviamente amplificato e la situazione che costringe i due nuclei familiari vissuti agli antipodi e nell’idea di essere nemici, con gli ebrei convinti di doversi sempre difendere dal pericolo terrorista arabo e i palestinesi in continua balia della violenza e della prepotenza dei governanti israeliani, diventa man mano un’occasione per avvicinarli con le ovvie difficoltà e con alcuni pregiudizi a fare da principale ostacolo alla comprensione e accettazione reciproca.
L’opera è intelligente e ben fatta, gli attori bravi, la capacità di trattare un argomento così spinoso in maniera delicata e non radicale aiuta un approccio universale alla storia: vengono evitate le bombe degli attentati e i bombardamenti sui territori occupati, ma non vengono nascosti i vergognosi muri innalzati dal governo israeliano su quella terra rubata al popolo palestinese né tantomeno è possibile evitare di considerare la vera e propria clausura degli arabi impossibilitati a muoversi e ad andare a lavorare senza permessi specifici dagli israeliani.
Volontà principale della regista è però quella di mostrare il conflitto interiore dei ragazzi e delle loro famiglie nel momento in cui devono affrontare questa notizia inaspettata che mette in subbuglio le identità e le convinzioni avute fino ad allora, con l’inevitabile riflessione sul “senso dell’ostilità che continua a dividere i due popoli”.
E’ un bel film Il Figlio dell’altra, una storia di contaminazione e convivenza non solo sociale ma anche cinematografica visto che, a mio parere, Lorraine Levy è stata brava ad unire lo stile narrativo europeo all’atmosfera e alla tecnica mediorientale.
Tutto questo in un ambito storico-geografico che non deve far dimenticare i soprusi che il popolo palestinese subisce da tempo immemore, con bombardamenti e rastrellamenti sommari da parte della milizia israeliana che volendosi giustificare con una legittima difesa per gli attacchi terroristici di una minoranza di estremisti arabi (che indubbiamente fanno vivere Israele in un costante terrore) ha portato il governo israeliano a divenire l’autore del disfacimento della Palestina, con l’occupazione e l’appropriazione di territori e conseguenti esodi di una popolazione di profughi divenuti apolidi per volontà di una forza occupante.