In questo infinito novembre c’è un’uscita a cui vale particolarmente la pena accostare per un po’ le orecchie, si tratta di un disco uscito a cura dell’etichetta Habibi Funk di Berlino, che si dedica a pubblicare e diffondere musica del mondo arabo dei Settanta, con una predilizione per le sonorità funk e jazz. Adesso è la volta del cantautore libanese Issam Hajali e del suo album datato 1977 Mousalat Ila Jacad El Ard. Una vera e preziosa scoperta di questo autunno: fino a oggi quest’opera era praticamente sconosciuta ed ecco che si infila splendidamente tra le tante nuove uscite dei venerdì. Il disco di esordio solista di Issam Hajali (conosciuto anche come leader del gruppo libanese Ferkat Al Ard) all’epoca era stato rilasciato in un’edizione limitata di 75 copie in cassetta, ora abbiamo l’opportunità di ascoltarlo grazie al lavoro di questa etichetta folle e nostalgica.
Nel 1977 Issam Hajali si rifugia a Parigi dopo lo scoppio della logorante guerra civile in Libano, e proprio lì comincia a dar vita a questo disco. Quando torna a Beirut alla fine dell’anno non riesce a trovare però un’etichetta disponibile a pubblicarlo, così decide per una distribuzione alternativa e fai da te. Poco conosciuto fuori dalla stretta cerchia di amici e cultori musicali libanesi, finalmente grazie a questa stampa la sua musica inizia a diffondersi in modo sotterraneo anche in questa vecchia affranta Europa.
Mousalat Ila Jacad El Ard (Viaggio verso l’altro mondo) è il disco che riporta Issam Hajali a rimettersi in contatto con le sue radici, canzoni scritte e composte da lontano – quindi naturalmente impregnate di una melanconia senza tempo. A Parigi Hajali ritrova modo di riscoprire la sua terra, e si dedica a rievocarla attraverso la musica. Ne nascono canzoni folk, dove la voce si mescola alle dolci pizzicate di corde alla chitarra, incursioni di jazz melodico, e canti strazianti come Ana Damir El Motakallim.
Sono passati 40 anni ma il tempo non sembra aver scalfito la bellezza di queste registrazioni: la title-track ci fa viaggiare nel tempo, Khobs è una lullaby che ci avvolge con la sua contagiosa agrodolcezza, Ada sembra una ferita ancora aperta, una breve invocazione che sorpassa i tempi e arriva a toccarci fin quaggiù, in quel futuro che per noi è solo presente. È davvero cambiato così tanto dagli anni dell’esilio di Issam Hajali e dei suoi canti randagi? Nel tentativo di fondere jazz e folk – con vena nostalgica e minimale – vediamo già una traccia gettata verso l’avvenire. È così, anche ascoltando un disco di canzoni perdute, che arriviamo a trovare pace in questo eterno vagare tra terre e stagioni. Portiamo con noi questo cantore d’Arabia.