Panichi, al suo esordio romanzesco, ritrae una storia di formazione con spietata delicatezza, tra le spiagge e le rocce di Ischia. Una lettura da recuperare anche – e soprattutto – con l’estate agli sgoccioli
C’è una ragazzina dai capelli ricci e corti seduta su uno scoglio di Sant’Angelo, a Ischia, con le spalle ripiegate sulle ginocchia: si è arrampicata contravvenendo agli ordini imperiosi della madre. Fissa le onde del mare e cerca di capire come fermare la crescita del corpo e del conseguente ingresso nel mondo degli adulti. Rifiuta il costume intero, mette i pantaloni del fratello e anche il costume e, per un piccolo misunderstanding, i nuovi amici con cui si incontra alla spiaggia dei Maronti la chiamano Luca.
Cecilia è la protagonista del romanzo d’esordio edito da Nottetempo La Cecilia, di Michela Panichi, scrittrice che nel 2020 ha vinto il Premio Italo Calvino con il racconto “Meduse”. La ragazza napoletana ha finito la terza media e, insieme al fratello Luca e alla madre Barbara è in vacanza, come ogni anno, sull’isola di Ischia, che i tre hanno raggiunto immediatamente dopo l’esame di terza media della ragazza. Si è lasciata alle spalle gli ultimi saluti ai compagni di scuola, la pizzata di classe e perfino l’esame ora della sua migliore amica, Teresa.
Un’estate che cambia tutto
In questo bildungsroman ci sono tutti i potenzialità perché la ragazzina combini un disastro durante la villeggiatura: con un padre assente che sembra prolungare di proposito la permanenza a Napoli mentre il resto della famiglia è a Sant’Angelo, una madre cui si sente dover assomigliare in quanto vicina all’arrivo delle mestruazioni (che sanciranno definitivamente il suo ingresso nel mondo delle donne), un fratello amante degli animali e che non fa che prenderla in giro per il significato del suo nome (la cecilia è un anfibio vermiforme, “maschio e femmina, e non vede”), l’amico Sergio che cerca di farle da mentore e, infine, degli amici nuovi che incontra segretamente ai Maronti che la chiamano come il fratello, Cecilia affronta così un’estate che la segnerà per tutta la vita.
La cecilia è un verme del Sud America, maschio e femmina, e non vede. Durante l’estate dei miei tredici anni il mio nome di anfibio, pieno e tronco allo stesso tempo, cambiò in Luca. Come mio fratello.
Tutto nasce dall’avvistamento di una ragazza, Alba, la cui unica vista affascina e strega Cecilia, che la guarda rapita mentre si trova sugli scogli a osservare il mare: la protagonista è immediatamente rapita dalla sua figura sicura e così confidente del suo corpo. Si avvicinerà a lei tramite Luca e, diventandole amica, si addentra sempre di più in un percorso tortuoso della scoperta di sé e della propria identità: ai Maronti Cecilia è libera di esprimere sé stessa liberamente, nelle forme e nelle scelte che le sono più naturali. I sentimenti che prova verso Alba, però, complicano le cose: lei, così diversa dalla vergognosa e titubante Cecilia, sembra avere in pugno la vita e gli altri, che prende di petto e con assoluta determinatezza. Ma ciò che più spaventa Cecilia è l’assoluta sicurezza che Alba ha del proprio corpo, da cui la protagonista si vuole allontanare, ripugnante degli inevitabili cambiamenti – ormonali e non – in atto.
“E allora che cazzo vuoi sapere?” Quel tono, più alto, mi aggredì.
“È tutto quello che c’è attorno che non capisco”, spiegai. Come collegare l’accoppiamento con un mordo di medusa e l’ammoniaca dell’urina? “Come si capisce se una persona ti piace. Come si bacia, quando”. Qual è il rituale?
L’ostacolo principale alla piena e libera affermazione di Cecilia, però, sono il borgo di Sant’Angelo, dove si conoscono tutti e ogni evento avviene sotto gli occhi di abitanti e villeggianti, e la sua famiglia, la cui struttura è sempre più traballante. Il nuovo gruppo di amici e la spiaggia dei Maronti, infatti, costituiscono una vera e propria via di fuga per l’adolescente, che è turbata nel profondo per la stabilità del rapporto dei genitori: infatti, Cecilia è rimpallata dalle bugie del padre – di cui è, suo malgrado, a conoscenza – e da una madre dalla facciata glaciale e noncurante dei problemi famigliari sempre più evidenti. Le gite ai Maronti rappresentano dunque per lei una doppia fuga, dall’immagine di ragazza che dovrebbe, secondo i genitori, assumere e dal ruolo che dovrebbe interpretare ma, soprattutto, da un nucleo famigliare e un matrimonio che sono sull’orlo di un precipizio.
Cecilia in una sola estate scoprirà tutti i dolori dell’età adulta, dall’amore alla sofferenza, dal senso di inadeguatezza di sé e del proprio corpo al richiamo del desiderio: la sua crescita avviene per strappi, è sensoriale e, per questo, nervosa, tagliente, corporea e viscerale. E proprio per questo cattura e affascina chi si addentra nella storia che è in grado di rendere universale l’esperienza di crescita della protagonista, catapultando i lettori nei viscidi e palpitanti meandri dell’adolescenza e del primo amore.

Una scrittura sensoriale e insidiosa come la sabbia
La scrittura di Michela Panichi è fresca e sa di salsedine, ma allo stesso si attacca alla tua pelle come il sale dell’acqua del mare o la sabbia su punti del corpo difficili da raggiungere: e tu rimani invischiato, mentre cerchi di togliertela di dosso, ma quella ti rimane appiccicata e ci vuole molto a scrollartela di dosso. L’autrice, con soluzioni di prosa e scelte di narrazione che ricordano Elsa Morante ed Elena Ferrante (anche solo per le ambientazioni del secondo capito de L’amica geniale, Storia del nuovo cognome) esplora diversi temi, dall’identità di genere al tortuoso percorso di scoperta di sé che ha inizio con la pubertà, senza dimenticare quello amoroso e quello sessuale.
Ma il tema del doppio è senz’altro l’elemento che più caratterizza lo stile di Panichi: le due identità – Cecilia e Luca – assunte dalla protagonista non fanno che mettere in luce la solitudine e la paura di ciò che desidera davvero che la ammantano e la terrorizzano. La voce di Cecilia dunque trema, anela, desidera con dolore e sofferenza e si svela ai lettori con la sua commuovente fragilità, che è in grado di conquistare anche gli animi più ritrosi.
