Si sa quanto il regime iraniano di Ahmadinejad sia stato anti-occidentale, ed è dal 2005 – ad esempio – che la musica cosiddetta occidentale in tono spregiativo è infatti vietata in Iran. Con Rohani qualche apertura c’è stata, e per esempio nello scorso ottobre in Iran si è esibito un artista giapponese che ha ricevuto ampi consensi di pubblico. La realtà però resta questa: niente rock, niente jazz, neanche melodie italiane, gli unici generi accettabili per la repubblica islamica sono: la musica folk iraniana, la musica tradizionale e classica iraniana e il pop (iraniano!). “Bloccare la trasmissione della musica occidentale e indecente alla Radiotelevisione della Repubblica islamica dell’Iran è un obbligo”, ha sentenziato il Supremo Consiglio iraniano otto anni fa. E così niente Rolling Stones e John Coltrane nelle trasmissioni televisive o radiofoniche. Del resto l’ayatollah Khamenei si è spesso scagliato contro la musica come stile di vita traviante per i giovani iraniani, ”promuovere e insegnare la musica non è compatibile con i valori più alti e sacri della Repubblica islamica” – ha dichiarato qualche anno fa.
Nel gennaio del 2013 sono stati arrestati cinque musicisti iraniani per aver prodotto e distribuito musica alternativa attraverso i canali satellitari. Mentre è del 2009 il film diretto da Bahman Ghobadi, No one knows about persian cats, che esplora la difficile arte di essere musicisti rock in Iran. In un’epoca in cui dal nostro lato del mondo è così facile e fruibile scaricare e ascoltare musica real time, immaginare la fatica di rintracciare un album che ha fatto la storia del rock, o di suonare una cover dei Velvet Underground, ha bisogno di un vero e proprio salto nevrotico della fantasia. Ci si immagini quanto l’indie rock possa essere esasperatamente indie, e quanto le garage band possano essere esasperatamente garage, in un regime dove la censura non fa proseliti soltanto nel mondo della musica, ma si allarga ad altri divieti veri e propri, che toccano ogni libertà di espressione che da noi sono libertà ormai scontate, e spesso addirittura noiose. Basti consultare un elenco generico di libri censurati in Iran, tra i quali ovviamente figurano I versetti satanici di Salmon Rushdie.
Che tra l’altro l’artista giapponese è più orientale degli iraniani. Anzi, è l’oriente dell’oriente.