Sei giorni lunghi una vita, un tempo ristretto in cui il film della tua esistenza ti passa davanti agli occhi come la vita che ti entra in casa sfondando la porta, mettendo tutto a soqquadro senza darti il tempo di capire cosa succede. Sembra essere questo lo stato d’animo del protagonista di Ma io quasi quasi, libro d’esordio di Michele Bitossi, pubblicato da Accento edizioni.
Già entrare a capofitto nella storia assistendo a un test antidroga fatto in casa rende bene l’idea di come Riccardo gestisca in modo caotico gli eventi che caratterizzano le sue relazioni. Ma nel romanzo di Michele Bitossi la vita è un fiume impetuoso e al protagonista non rimane molto altro che provare a montare quelle rapide come si monta un toro imbizzarrito in un rodeo. Il racconto si cadenza in sei capitoli che sono i giorni che mancano all’appuntamento con la psicologa comportamentale incaricata di decidere se, dopo gli eventi scaturiti dalla separazione, il protagonista possa ritornare a vedere liberamente sua figlia Nora.
Questa mannaia che pende sulla testa di Riccardo gli fa vivere sensazioni agli antipodi, mette in discussione anche la sua stessa vita facendolo piombare in dubbi inestricabili. In mezzo le relazioni amorose che si accavallano in modo disordinato, gli amici, la famiglia e il suo avvocato si susseguono come specchi che restituiscono di volta in volta un aspetto diverso del carattere del protagonista.

Ho (ri)scoperto Michele Bitossi, dopo i suoi anni coi Numero 6, grazie al suo splendido podcast “prendo la sciarpa e vengo da te” in cui erano in qualche modo contenute in nuce alcune delle passioni che animano Riccardo. Mi sarei meravigliato infatti di non trovare il Genoa all’interno del racconto, e non a caso anche il lavoro del protagonista non è così lontano dal mondo del calcio. Troviamo addirittura in esergo insieme a un verso degli Smiths un coro lanciato dalla curva del grifone. Di quel tipo di passioni smodate, come solo il tifo sa essere, è animato Riccardo che prova a mettere la sua vita su binari regolari ma finisce sempre per incappare in qualche deviazione imprevista o in qualche colpo di testa.
Essendo Genova lo sfondo della storia ritorniamo indietro anche ai fatti del G8 in cui c’è in qualche modo la scintilla che innesca il nostro racconto. Ma, oltre tutti i temi già sviscerati, questo libro è importante perché restituisce la prospettiva dell’altro lato del mondo poco indagata dalla narrativa contemporanea. È un viaggio all’interno delle emozioni di un padre estromesso dalla vita della figlia per uno strisciante sospetto. Come camminare sull’orlo di un baratro dall’oggi al domani che toglie ogni punto cardinale ad un uomo che di punti di riferimento già ne aveva pochi.
La scrittura è arrembante e non lascia tempo di riprendere fiato. Nei ringraziamenti del libro si cita Paolo Nori e per certi versi la penna di Bitossi ricorda quel modo di restituire sulla pagina la scorrevolezza di un racconto che potrebbe essere orale. Ma io quasi quasi prende il lettore per il colletto della camicia e lo sbatte in mezzo alla strada, dove succedono le cose e non c’è tempo di stare troppo a pensarci su, è un racconto onesto prima di tutto con sé stesso e per questo autentico, come la scrittura, come il tono della voce narrante sempre sinceramente autentica.