Dopo aver visto One more time with feeling, il film in cui Nick Cave si apre pubblicamente sulla morte del figlio Arthur, mi sono chiesta spesso come un artista riesca a condividere un’esperienza così traumatica e personale elaborandola tramite un’opera. Ascoltando il disco di Cave, uscito contestualmente, come quelli di altri musicisti registrati in circostanze analoghe, la sensazione è sempre che qualcosa, a noi ascoltatori, sfugga. Che quella musica e quei testi non vogliano (o non possano) essere compresi. Per quanto si possa conoscere a fondo la storia dell’uomo dietro all’artista, o essere malauguratamente familiari con quel tipo di sofferenza, per calarsi in quell’oscurità le didascalie non bastano. Nel gennaio di quest’anno, out of the blue come direbbero gli anglofoni, è stato annunciato il nuovo lavoro di Mount Eerie, ottavo disco in studio (non contando quelli prodotti con la band The Microphones), che segue la morte, anch’essa out of the blue, di sua moglie Geneviève nel luglio del 2016.
A Crow Looked at Me è uscito il 24 marzo anticipato dal singolo Real Death che, come lo stesso Phil Elverum (aka Mount Eerie) sottolinea, avrebbe potuto essere la title track dell’album. Come un mantra queste due parole ritornano infatti in molti degli 11 pezzi che compongono il disco e proprio la morte e il reale sono le due colonne portanti dell’intero lavoro, binari lungo il quale corrono via 40 minuti di barely music, pescando sempre dalle parole di Elverum. Il singolo, alla percezione più immediata, apre il disco in modo inaspettatamente arioso e già dai primi secondi si riconosce il particolarissimo timbro di Phil che sembra alleggerire il tono di un pezzo altrimenti straziante (più volte ho immaginato la voce di Cave o Sun Kil Moon su quegli stessi accordi e parole). “When real death enters the house, all poetry is dumb” canta Elverum e ci lascia galleggiare in quella sensazione di inspiegabilità in cui neanche l’arte sembra avere significato.
Mentre con il pezzo di apertura ci si sta ancora bagnando i piedi nell’acqua gelida di A Crow Looked at Me, con Seaweed si viene improvvisamente spinti dentro e risucchiati da un vortice oscuro in cui la voce si abbassa, gli accordi si fanno più cupi e le immagini diventano tangibili. La Morte che fino a quel momento era soltanto un’evocazione si materializza nel resto del disco e rivive in uno spazzolino da denti, nella spazzatura che ancora non si è riusciti a portare fuori, nel vento che entra in casa e sbatte le porte (Toothbrush/Trash, Crow). Una “crushing absurdity” che non trova significato come si ascolterà in Forest Fires in cui Mount Eerie si confessa conscio della naturalità della decadenza ma la rifiuta con un ingenuo e quasi infantile “I disagree”, come se in qualche modo si potesse non essere d’accordo con questa folle natura madre e matrigna per dirlo scomodando Leopardi.
Ravens è uno dei pezzi più riusciti del disco in cui gli arpeggi ricordano alle volte quelli più spensierati di The Glow pt.2. Nei testi, diretti e quasi mai allegorici, si coglie come la morte di Geneviève sia diventata il tragico Anno Zero di Elverum, della cui vita adesso fanno parte due pesantissime figure, il Prima e il Dopo, tra le quali oscilla il pendolo dei suoi racconti in strofe. Lo stesso Phil in Emptiness pt.2 (titolo che riprende la Emptiness dell’album Sauna) ammette che vorrebbe dimenticare questa realtà invadente e tornare a quando scriveva brani in cui poteva permettersi di immaginare. Ma ora è tempo di fare le cose di tutti i giorni (When I take out the garbage at night), di vedere ciò che non può essere ignorato e nel silenzio assordante di una casa vuota, in cui non capita più di sentire una ragazza cantare mentre sale le scale, trovare anche la forza di spiegare a una bambina dov’è la mamma e cosa sta facendo adesso (Swims):
“Today our daughter asked me if mama swims / I told her, “Yes, she does /And that’s probably all she does / Now“.
Un vuoto che non può essere chiuso in un cassetto, che Elverum si porta dietro, ben visibile, ovunque vada e che riconosce negli sguardi dei vicini, delle persone che incontra al supermercato e che sanno (My Chasm). Soira Moria è la più evocativa dell’album e fa riferimento a una leggenda del folklore norvegese in cui si narra di un viaggio solitario e personale alla ricerca di un castello fantastico simbolo di perfetta felicità (da cui il nome del brano). È un flashback nel passato di Phil, un richiamo a quando a ventiquattro anni trascorse un periodo di tempo in Norvegia (“I stayed through the winter and emerged as an adult”) e a quando conobbe Geneviève che da lì in poi sarebbe sempre stata il suo “refuge in the dust”.
Con A Crow Looked at Me, Elverum scopre che Soira Moira non è soltanto una leggenda ma uno spazio reale che capita di dover attraversare senza preavviso e per affrontare il quale non si è mai attrezzati a dovere. Mount Eerie in quaranta dolorosissimi minuti prova a descrivere la sensazione di essere soli in questo deserto quando il nostro faro si sta spegnendo e non si hanno altro che fotografie e il ricordo di quando fuori era estate ma dentro si presagiva già un gelido inverno.
È un album domestico registrato senza artifici, usando per la maggior parte gli strumenti appartenuti alla moglie (il suo amplificatore, il suo basso, il suo plettro) in cui il tempo è scandito soltanto da una leggerissima drum machine. La risposta al perché un artista scelga di raccontare attraverso la propria opera questo tipo di eventi ce la dà lo stesso Elverum che nel sito ufficiale scrive:
“Why share this much? Why open up like this? Why tell you, stranger, about these personal moments, the devastation and the hanging love? Our little family bubble was so sacred for so long. We carefully held it behind a curtain of privacy when we’d go out and do our art and music selves, too special to share, especially in our hyper-shared imbalanced times. Then we had a baby and this barrier felt even more important. […] I make these songs and put them out into the world just to multiply my voice saying that I love her. I want it known.
“Death Is Real” could be the name of this album. These cold mechanics of sickness and loss are real and inescapable, and can bring an alienating, detached sharpness. But it is not the thing I want to remember. A crow did look at me. There is an echo of Geneviève that still rings, a reminder of the love and infinity beneath all of this obliteration. That’s why.”
Se è vero quindi che come scrive il poeta Houellebecq “Noi abitiamo l’assenza” Elverum sceglie con A Crow Looked at Me di costruire in quest’assenza un rifugio, in cui l’eco di Geneviéve e il suo faro rimarranno accesi per sempre anche quando le fotografie e i ricordi inizieranno a sbiadire.