Voto: 7,5/10
Solo quattro mesi, tanto è il tempo intercorso tra “Clear Moon”, il piccolo gioiello che segnava il ritorno sulle scene di Phil Elverum sotto lo pseudonimo di Mount Eerie (che avevamo recensito qui), e “Ocean Roar”, ultimo lavoro dell’artista statunitense che ne rappresenta la naturale prosecuzione. Registrato anch’esso nello studio ricavato in una chiesa sconsacrata di Anacortes, “Ocean Roar” rappresenta l’evoluzione dei lati più oscuri di “Clear Moon”: dal chiarore lunare si passa ai ruggiti di un oceano maestoso ed imponente, pronto a far mostra della propria affascinante forza, pur rimanendo musicalmente nel solco tracciato dal suo predecessore, tra psichedelia, neo-folk e sperimentazione.
Laddove la natura di “Clear Moon”, però, appariva consolatrice e benevola, quella che domina le otto tracce di “Ocean Roar” racchiude la travolgente furia degli elementi, mascherandoli sotto una coltre di sonorità esplosive e feedback prorompenti. “Pale lights”, ad esempio, apre l’album con un inarrestabile vortice di suoni lungo quasi 10 minuti, avvolgente e disarmante, che cala solo per fare spazio ai brevi intermezzi vocali di Elverum, così come ancora più caotica e furiosa appare “Waves”, in cui riverberi trionfalistici creano una realistica rappresentazione delle onde di un mare forza 9.
Discorso simile per “Engel Der Luft”, cover dei Popol Vuh, e le sue chitarre portate all’estremo in una versione quanto mai rumorosa, mentre a brani come la title-track “Ocean Roar” o “I walked home beholding”, più vicini alla forma canzone e alle atmosfere più vellutate del precedente lavoro, è affidato il compito di placare temporaneamente gli impeti di questa natura così ipnoticamente fuori controllo.
A chiudere il cerchio, la brevissima cantilena di “Ancient times” e le due “instrumental”, poste a metà e in chiusura di disco, composizioni strumentali, appunto, dall’elevato potere evocativo: la prima dai tratti misteriosi, tracciati dai passi cadenzati di un pianoforte inquieto; la seconda più vicina all’isteria del noise, con le sue chitarre distorte e velenose.
A tratti più inaccessibile del suo predecessore, perché maggiormente votato alla ricerca e all’estremizzazione dei suoni a scapito della melodia, “Ocean Roar” ben rappresenta in forma musicale la riproposizione di un mondo misterioso qual è quello degli abissi marini, così inafferrabili e così vicini al più umano mondo dei sogni (“Sleeping on the wet ground / In a dream I swim.”, recita “Ocean Roar”): un album da non ascoltare a cuor leggero, ma nel quale perdersi a cavallo della propria immaginazione.
Tracklist:
- Pale Lights
- Ocean Roar
- Ancient Times
- instrumental
- Waves
- Engel Der Luft (Popol Vuh)
- I Walked Home Beholding
- instrumental