E se il giornalismo venisse salvato proprio da chi lo detesta? No, l’articolo non sarà una guida in 10 punti su come diventare direttore di un giornale essendo analfabeti. La notizia è che, con il solito, colpevole ritardo, i nostri cronisti si sono accorti di Nate Silver, “lo statistico che ha predetto la vittoria di Obama”. Casualmente, questa scoperta avviene in contemporanea alla presentazione italiana del suo libro “Il segnale e il rumore. Arte e scienza della previsione” (Fandango Libri), bestseller in America, dove è diventato, narrativa esclusa, il terzo libro più venduto da Amazon nel 2012.
Un risultato imprevedibile? Se siete sopravvissuti a questo orribile gioco di parole, cerchiamo di capire, guardando alla sua storia recente, perchè il suo era un successo annunciato. Per comprendere Nate Silver, come spesso accade con le personalità americane, non si può prescindere dalla sua biografia: in soli 41 anni di vita, con la stessa, meticolosa procedura, ha rivoluzionato ben tre mondi, se non quattro. Ma procediamo con ordine.
Il primo a capitolare sotto le statistiche di Silver è stato, in ordine di tempo, il poker online. I santoni del “sesto senso” e della scaramanzia hanno dovuto ritrattare le loro teorie di fronte alla freddezza e alla capacità di previsione del nerd, che ha guadagnato nel giro di tre anni la pazzesca somma di 400’000 dollari, in parte reinvestiti nel suo blog.
È nel 2003 che Silver sceglie di abbandonare i tavoli verdi virtuali (il motivo? “Stavo iniziando a perdere, c’erano un sacco di tizi bravi”, così ha risposto nell’intervista rilasciata a Mario Calabresi in occasione del Festival di Internazionale a Ferrara) e dedicarsi a quella che è forse la sua unica vera passione, il baseball. È convinto di poter spodestare i talent scout dalla loro inattaccabile torre d’avorio, costruita sulle fondamenta di un ipotetico sesto senso capace di portarli alla scelta dei futuri campioni. Con questo obiettivo ben piantato in mente, lo statistico riesce a costruire un complesso sistema, PECOTA, capace di prevedere in maniera accurata le prestazioni future dei giocatori, elaborando i dati delle stagioni precedenti. Un cambiamento epocale per lo sport (una volta) più amato d’America, tanto da ispirare due film, usciti nel giro di due anni, che affrontano la tematica da punti di vista diametralmente opposti: Moneyball di Bennett Miller, storia degli Oklahoma Athletics, vincenti “grazie ai numeri”, e Di nuovo in gioco, dove un Clint Eastwood ancora in modalità Gran Torino affronta con difficoltà il nuovo che avanza. Non sarà necessario dirvi quale delle due è la storia realmente accaduta (nonchè il film più bello) e quale il poema epico-geriatrico.
Tornando a Silver, nel 2007, durante le primarie, inizia a dedicarsi alla politica, e lo fa adottando il suo solito stile: metodico, preparato, pervaso da una certa vena eroica contro le menzogne. Leggendo questi tre aggettivi, non sarà poi così sorprendente capire perché Nate Silver detesti la politica di oggi, a base di salotti, buoni o cattivi che siano, di analisti politici con le loro insindacabili “fonti interne al Palazzo”, di gossip spacciato per strategia e, soprattutto, di dati manipolati dai partiti per fini elettorali (basti pensare allo sforzo dei repubblicani per sconfessare l’allarme della catastrofe ecologica).
Il suo blog FiveThirtyEight (numero dei grandi elettori statunitensi) osserva giorno per giorno le primarie e l’elezione di Obama con un metodo quasi infallibile (49 su 50 risultati indovinati in altrettanti stati americani nel 2008) che non manca di destare le critiche di alcuni statistici, restii ad applicare degli algoritmi alla vita vissuta. È questo, infatti, il metodo di Silver: raccogliere i dati di tutti i polls, i sondaggi condotti dalle varie agenzie, inserirli in un sistema da lui studiato capace di isolare gli outliers (valori poco plausibili), riportare i risultati al lettore. Niente giri di parole, niente teorie: solo e soltanto inattaccabili numeri. Nel 2010 FiveThirtyEight entra nella galassia del New York Times, dove, soltanto due anni dopo, in occasione delle elezioni, sarà visitato dal 20% di coloro che accedono al sito web del giornale. È in questo momento che, prevedendo, stato per stato (50/50), la rielezione di Obama, Nate Silver entra a pieno titolo nel gotha dei commentatori politici più ascoltati e rispettati degli Stati Uniti. Non male per uno che la politica la detesta.
Cavalcando l’ondata di popolarità, lo statistico sceglie di compiere l’ennesima rivoluzione della propria carriera, decidendo di abbandonare il NYT, troppo autoritario (“Il tuo cognome dovrà essere Times, non Silver”, gli dissero in redazione) e ancorato al passato, per la piattaforma ESPN, di proprietà della Disney, dove potrà ampliare la squadra di esperti a sua disposizione e sarà libero di trattare temi di vario genere, tra cui l’amato sport. Oltre a questi motivi, di certo non trascurabili, la vera motivazione di Silver, personaggio notoriamente ambizioso e stakanovista, è quello di trasformare FiveThirtyEight da semplice blog dedicato alle elezioni in un prodotto completo e duraturo, una testata che possa fungere da riferimento per il vasto pubblico americano. Creare un brand, insomma.
Potrà il “metodo Silver” avere successo anche nel mondo della stampa? Guardando al passato, la risposta sembra essere affermativa. Non diversamente da come è accaduto in tutte le sue precedenti vite professionali, che si trattasse di poker, baseball, politica, “colui che ha rinnegato il NYT” si troverà ad affrontare un mondo in cui il culto dell’ego è all’ordine del giorno e la verità sembra discendere dall’alto per vie misteriose, così come le notizie. Non occorre essere Nietzsche per capire che anche qui ci sia parecchio da demistificare, ed è proprio questa l’arte dei dati.
Nate Silver, con il suo stile asciutto, potrebbe dare al giornalismo quella linfa che anni di bizantinismi sempre più elaborati e di product placement nelle pagine culturali gli hanno tolto, costruire un’oasi dall’opinionismo imperante, o anche solo fornire base più solide al dibattito intellettuale.
Certo, non credo ci siano i presupposti perché il suo metodo diventi la normalità nel futuro: i dati oggettivi, lo ha dichiarato Silver stesso a Calabresi, come possono esserlo i sondaggi elettorali, sono a loro volta influenzati dal sentire comune, proprio quel sentire comune che la stampa contribuisce ancora oggi, pur con tutti i suoi difetti, a costruire. Inoltre le probabilità di errore sono inversamente proporzionali al numero dei dati che si posseggono: prevedere crisi economiche, guerre resta un utopia, ma anche solo lavorare in un sistema proporzionale e non strettamente bipolaristico come quello americano diventa molto complicato.
C’è da starne certi, dalla sua vicenda nasceranno un film e almeno una dozzina di imitatori, ma la risposta è no: Nate Silver non verrà ricordato come l’uomo che salvò il giornalismo dalla sua lunga crisi di mezza età. Due sono però le lezioni che quest’ultimo può trarre dalla vita di uno statistico di successo (anche se laureato in economia, ma non è questo il punto, dai). La prima è che, per sopravvivere, una testata deve sì creare un proprio stile “estetico”, ma ciò che i lettori premiano sono una chiara gerarchia di valori e una metodologia che sia la più scientifica e esplicita possibile. La seconda è che, volenti o nolenti, occorre ripartire dai dati, da cifre che non siano soltanto i conti in rosso della redazione: solamente affrontando, contestualizzando, interpretando i Big Data il giornalismo “verticale” potrà svettare sul frammentato oceano dei blog e, magari, rinascere migliore di prima.
Cover Credit: AP via Huffpost Gay Voices