a cura di Claudia Putzu
Nella grotta è quasi notte. Le altre zone sembrano fatte d’ombra. Un tiglio morto delimita uno spazio oltre il quale si rischia di trasformarsi in prede degli esseribestia. Il castagno è caduto. La fossa e il bosco, gli alberi e gli arbusti. La terra dura a causa della neve d’inverno. La geografia della novella di Ornella Soncini e Lucrezia Pei, Nella verde gola delle Lupe, pubblicata dalla casa editrice romana Moscabianca e impreziosita dalle straordinarie illustrazioni di Marco Calvi, è ricca di luci, ombre e mezzitoni, ma a essere importanti sono solo i due colori complementari puri, il rosso e il verde. Rosso è il colore dei capelli e del fuoco, finanche del pericolo. Il verde della speranza, quest’ultima, forse non a caso, coincide col nome della piccola creatura la cui morte apre la narrazione.
Fede si avvicina all’altare e apre il libro ordinario per guidarle nei canti delle morte. Ana le guarda la faccia tutta bianca e pieghe come quelle delle ave. Le ha svegliate piangendo prima delle preghiere del mattino: «Mia sorella…»
Un corpicino esile, in un sudario di lepre, avvolto nelle pelli, custodito poi in una cassa posta sotto l’effigie di una santa, a cui si chiede di vegliare su esso, almeno finché non si avrà modo di seppellirlo. Un’immagine vivida, forte e netta, perfetta nel suo trovarsi al principio di una storia dagli spunti infiniti, ma che procede per sottrazione, riportando l’attenzione su molteplici temi, quali la maternità, la violenza, ma anche su valori importanti, ovvero la lealtà, la compassione, la sorellanza; tutti trattati con estrema puntualità.
Non a caso, Ornella Soncini e Lucrezia Pei sono tra le penne più raffinate della letteratura italiana contemporanea, e non per il loro essere arrivate finaliste a vari premi (e talvolta, per averli vinti): non è questo il punto. Piuttosto, perché lettrici appassionate e curiose, capaci di ascoltare il e stare dentro al testo, di curarlo nei minimi dettagli. La loro profonda sensibilità, aliena alla spiccia retorica, l’ammirevole conoscenza del fantastico, delle sue innumerevoli declinazioni e possibilità, unite alla notevole ricerca alla base del linguaggio di cui si può fare esperienza tra queste pagine, gli ha consentito di costruire una diegesi che si sviluppa essenzialmente su due piani temporali, il passato con le sue leggende e il presente con le sue catene e le silenziose pratiche di libertà per spezzarle; entrambi confluiscono nella cornice di un Cinquecento alternativo, reso riconoscibile nelle sue spaccature dalle quali originano situazioni di margine, nella contrapposizione tra umili centri abitati, dove battono i raggi del Sole, in cui serpeggiano le dottrine di religioni monoteiste culturalmente imposte, e la Selva dove invece vi è l’oscurità, ed è ovunque.
Ascolta. Fuori dal verde c’è morte e dolore
Nel cuore di essa, vive una comunità matriarcale ribelle sfuggita anni or sono alla Grande Ingiustizia, confinata in un eremo sorto là, dove secoli prima Santa Agilulfa aveva ammansito un lupo feroce, mentre al di fuori del verde prospera una realtà in cui a regnare è il patriarcato di uomini che mangiano l’anima ed esercitano un potere assoluto. Tuttavia l’elemento principale non giace nei grandi avvenimenti, non si leggerà di epiche battaglie o sconfitte; non è tantomeno nella presenza di creature dalle sembianze non ordinarie, al contrario è nello sguardo senza tempo che le autrici permettono al lettore di recuperare, nel confrontarsi con un discorso tutt’altro di fantasia e incentrato su corpi e confini, nostro malgrado ancora attuale, condotto ancora una volta attraverso immagini semplici e pulite, che parlano di dolore e subordinazione, ma anche di protezione e amore.
Una ciocca di capelli tagliata per impedire persino il minimo contatto nel letto matrimoniale. Le dita a segnare piccole labbra, quindi il silenzio. L’inganno e la tentazione. Il matrimonio è un’imposizione, è la chiesa di Roma che lo dice, senza questo non si può essere ingravidate. Il ventre femminile a proteggere una vita che sta per venire alla luce, però poi il parto, veicolo di una dialettica tra nascita e morte. Le protagoniste sono sorelle, madri, nonne e nipoti, prima di tutto compagne. Un legame familiare talvolta basato sul sangue, ma non è quello che conta, perlomeno non quanto la condivisione (Il latte di una è il latte di tutte). Gli insegnamenti delle più grandi rivolti alla tenera irruenza delle più piccole, che corrono nel bosco alla ricerca di erbe. Una fionda tesa per difendersi dal pericolo sempre in agguato, quella forza mai avuta, ma a cui si fa affidamento nelle notti di Congiunzione, in cui la Luna protegge coloro che sanguinano, che a loro volta tengono le ultime creature al sicuro. Infine l’amare oltre le strutture e il mai abbandonare, neanche di fronte alla morte: quelle cose che sembrano appartenere soltanto agli esclusi. Le autrici sembrano voler restituire questa novella prima di tutto a loro.
Lo fanno richiamando, tra le altre cose, la storia di un’altra esclusa (Nostradonna) elevata dalla nostra cultura a modello di purezza e perfezione a cui aspirare (il suo sangue ha spalancato il Cielo a tutte le donne buone e ubbidienti); ritornare al corpo, alla sua vulnerabilità, alla sofferenza di chi ha consegnato suo figlio alla condanna e alla morte, come Le Lupe consegnano le loro figlie alle insidie del bosco: arriva con determinazione la volontà della penna di Ornella Soncini e Lucrezia Pei di falciare qualsiasi rischio di incorrere nella mistificazione, muovendosi su sentieri poco battuti della letteratura fantastica, della quale però fanno propria quella che forse è la sua peculiarità più tralasciata, eppure fondamentale: l’importanza che riserva alle microstorie. Sono queste a comporre Nella verde gola delle Lupe, una storia in cui – come scrive un grande antropologo – «Non ci sono né eroine, né vittime»; alla base vi è la complessità di un’esistenza vissuta nei nonostante di protagoniste che tracciano i loro sentieri nel mondo, a loro modo e con la loro voce, e seppur avvolte nel buio in cui le relega il proprio tempo, danno prova di possedere una luce potente, pericolosa perché alimentata da tutto ciò che non si fa catturare.