Materiali e strumenti per lo studio del romanzo dopo il 2000
È capitato – camminando – che sia stata una passeggiata lenta di un fine settimana o frenetica di un’inarrestabile quotidianità, di pensare ad una felice espressione di un fisico, Bryce DeWitt. Fu costui che, a metà degli anni ’50, affermò che viviamo in un mondo di “molti mondi”.
A vederlo bene, il contemporaneo è un insieme di universi – non incastonati a matriosca – ma sparsi come una teoria non ancora formulata, un’idea solida che arranca tra i pensieri perché in fondo, come ha scritto Bachelard, noi siamo prima di tutto in un sistema di spazi interiori che derivano dall’immaginazione e dalla relazione con il mondo. È mutata la condizione della società ma non la cultura che proviamo a costruire come profeti attenti e silenti ma sempre in transito.
Ad un certo punto qualcuno, come nel Monologo di Florindo, grida che “l’infinito si è chiuso”. Elisabetta Abignente e Francesco de Cristofaro si propongono allora l’intento di raccontare una storia tutta rivissuta nella prospettiva di un voler fare; di rovesciare la narrazione di un passato condizionato dal presente e – piuttosto – raccontare il presente nella complessità di un’energia affilata che, mentre ci sfida, ci accompagna verso il futuro.
Non è un’ambizione storiografica o un esercizio di stile, ma il voler affidare la voce a studiosi che potessero costruire e costituire nuove procedure conoscitive per leggere la realtà. Mentre indaghiamo il presente, non proviamo alcuna nostalgia per le stagioni perdute della storia perché gradualmente comprendiamo che – ieri come oggi – tutto si svolge in un unico tempo.
Abbiamo dunque sempre volto lo sguardo indietro, mai dimentichi di critici e scrittori che ci hanno formati. Ma abbiamo poi deciso di raccogliere la loro eredità con coraggio per ritrasformarla in fermenti stimoli. E il contemporaneo ci è apparso come mai lo avevamo visto prima: una realtà dinamica e un sogno di articolazioni capaci di far riflettere e interpretare.
Un albero florido e dalla corteccia robusta si staglia con i suoi dieci rami – ognuno rappresentante un équipe – facendosi spazio sotto terra con le sue radici capaci di espandersi in ogni direzione possibile:
L’albero delle storie cerca di partire dalla distinzione dei generi letterari per riformulare la loro frammentazione e ricongiunzione all’interno di un panorama contemporaneo dove la “modernità liquida” non lascia spazio a gerarchie. Favole per gli occhi ci dispiega la pellicola delle immagini che continuamente colorano i nostri occhi provando ad afferrare il circuito rapidissimo che intercorre tra romanzo e visualità. Con Leggende pubbliche e private le foglie del terzo ramo si intrecciano tra autofiction, biofiction, nonfiction apparendo come un un’unica grande latifoglia. Morfologia del contemporaneo ridefinisce mutamenti e tecniche di un’evoluzione della forma romanzo dove microstrutture liminari ai testi evidenziano un passaggio epocale nella narrativa del nuovo millennio. Segue il quinto ramo a bilanciare la prosa con l’importanza del Narrare lirico in cui si studia la poesia contemporanea e il suo impatto sui lettori. Ancora, Ambiente, Ambienti ha riservato ampio studio ai luoghi interni ed esterni del romanzo, la Letteratura global scandaglia il peso del processo culturale nell’età della globalizzazione, Dopo il primato estende il suo sguardo verso il romanzo francese e francofono, Attraverso il romanzo salda il valore della testimonianza sottolineando in un certo senso la militanza che appartiene alla scrittura di raccontare storie mentre fa la Storia. Infine, il decimo ramo denominato Il romanzo attraverso, prova a insinuarsi nella realtà delle periferie e nelle piaghe della società poiché il centro non esiste – con deviazioni e pause – se non in virtù di margini ancora indefiniti.
Ad unire questi dieci rami è – potremmo dire- un’unica “linfa della comprensione” che fa affidamento su un sostegno condiviso di indagine per affermarci in un’età della presenza. Hic et nunc, dove necessariamente la propria voce deve rimodularsi nell’eco inesausto di un chiasso di parole, osservare vuol dire allora poter comprendere.
Da questo volume, non può dunque scaturire un’immagine netta della realtà che ci circonda perché lo scopo di chi osserva non è fotografare ma scomporre. Scomporre testi d’autore che oggi possiamo accogliere come nostri o respingere, selezionare voci, filtrare immagini e capire non più cosa vale la pena scrivere ma cosa abbiamo bisogno di leggere.
Ci siamo allora ritrovati a fare i conti in primis con noi stessi dinanzi pagine che non avremmo mai pensato di poter vivere come se ci toccassero. Nascosti tra le righe di nuove pubblicazioni e di autori esordienti, altri già noti, abbiamo trovato punti dove sostare e guardarci come se non lo avessimo fatto prima. O, almeno, non così a lungo. Ci siamo lasciati nelle vignette di fumetti che colorano la schiena del mondo col Graphic Novel, ci siamo spinti oltre i puntini di sospensione di romanzi di avventura, imbattuti in prose d’autore in forma breve come le sensazioni che beviamo quotidianamente diluendole a lacrime e sorrisi. Abbiamo toccato il fondo di liriche moderne riconoscendoci in un’epica di epoche passate e vissute, al contempo, presenti e ancora da scrivere. Addormentati su finali che non avremmo voluto arrivassero, e persi in altri lasciati irrisolti. E abbiamo aperto tutte le porte di un contemporaneo – che tra fessure e finestre rotte – ci ha bagnati e asciugati nei giorni di pioggia e in quelli di sole. E ciascuno di noi ha sperimentato tutto questo, con le proprie fragilità, emotività, passione, resistenza alle cose semplici e resilienza a quelle più difficili.
Osservazioni sul romanzo contemporaneo è dunque una corale perfettamente orchestrata perché nessuna voce si è espressa da sola dinanzi alcuna sordità. Tutto è nato da letture condivise, dal saper reciprocamente ascoltarsi, dal dialogo, nel rispetto dei tempi di ciascuno perché osservare significa soprattutto fermarsi. Qualcosa può nascere quando si smette di correre.