È andata così, al buio: ognuno ha scelto un libro tra i candidati in dozzina al Premio Strega, lo ha letto, ne ha tratto qualche riga. Qui ci sono pensieri, tracce, libere impressioni, sui dodici.
Valerio Aiolli – Portofino Blues
Voland
L’8 gennaio 2001, intorno alle 19, si perdono le tracce della contessa Francesca Vacca Agusta nella maestosa Villa Altachiara di Portofino, villa rimastale in eredità dopo la morte del quasi ex marito Corrado Agusta, quarto figlio dell’imprenditore aeronautico Giovanni Agusta. Le ricerche si concentrano nel parco della villa poiché si pensò che la contessa si fosse nascosta, nella disperata ricerca di attenzioni da parte delle persone a lei in qualche modo care. Aiolli alterna capitoli che si occupano del “Dentro”, ossia dell’ultimo giorno di vita della contessa, e altri che si occupano del “Fuori”, che riguardano l’ascesa della famiglia Agusta, i matrimoni del conte Corrado con Marisa Maresco, dalla quale ebbe il figlio “Rocky”, e con Francesca, il grande amore di Maurizio e Francesca nel momento in cui il matrimonio con Corrado giunge al termine, la fuga in Messico dei due amanti a causa dell’aiuto offerto da Maurizio allo “zio Bettino”, fino al nuovo legame di Francesca con Tirso, il suo autista-accompagnatore nella fuga. Non può mancare, come in tutte le storie delle ricche e potenti famiglie, la lotta per l’eredità che ricalca, almeno in parte, quella avvenuta poco più di un decennio prima del tragico evento tra Francesca e il figliastro Rocky. Con uno stile che ricorda quello adottato da Truman Capote in A sangue freddo Aiolli ricostruisce i pensieri, i sentimenti, i motivi dietro le azioni dei protagonisti e offre non solo il ritratto di una donna dalle mille sfaccettature, ma anche quello dell’industria, della politica e del jet set italiano del secondo novecento italiano.
Ilaria Carpentieri
Saba Anglana – La Signora Meraviglia
Sellerio
Leggendo le prime pagine de La Signora Meraviglia di Saba Anglana mi è sorto spesso un sorriso amaro. A ridosso di un referendum che vede la cittadinanza come protagonista, è stato poetico trovare quella cittadinanza chiamata proprio con quell’appellativo. Signora Meraviglia. Il romanzo-memoir di Saba Anglana intreccia due linee temporali: il passato lontano e più recente della famiglia della protagonista Saba. Tra gli intrecci quasi avventurosi e mistici della prima metà del Novecento, quando l’Italia era un regno coloniale, in cui la nonna Abebech si trova costretta a fuggire dall’Etiopia e il 2015 in cui di fronte alle svolte politiche sempre più a destra, diventa necessario per la zia Dighei mettersi al sicuro sotto la tutela della cittadinanza. Anche se Dighei dentro di sé non si sente niente. Non riconosciuta somala perché figlia di Etiopi, non etiope perché non ha mai vissuto in quel paese; dopo quarant’anni nemmeno italiana, in una nazione in cui è ancora vittima del razzismo più duro, e in cui una cittadinanza che dovrebbe essere quasi scontata si trasforma nel punto finale di un percorso irto di ostacoli burocratici. Saba, di fronte a tutto questo, non può quindi chiedersi chi è? Dove si sente di appartenere? Travolta dalla nostalgia per tutte le vite che non si sono potute compiere poiché sradicate. La Signora Meraviglia di Saba Anglana è quindi un libro ibrido, che racchiude la complessità delle domande che si pone in maniera sempre perfettamente equilibrata, tra il realismo del tempo presente e la parte infestata da spiriti del passato. Come scrive Igiaba Scego che l’ha presentata al Premio: “Con una scrittura cesellata e intensa, ci offre una vera e propria pedagogia della complessità – un insegnamento prezioso in tempi di polarizzazioni e semplificazioni forzate.”
Martina Neglia
Andrea Bajani – L’anniversario
Feltrinelli
“Si possono abbandonare i propri genitori? […] ci si può sottrarre a loro, semplicemente togliendo il proprio corpo di mezzo con un gesto netto e definitivo?” è la domanda al centro de L’anniversario di Andrea Bajani, romanzo, testimonianza, memoria della voce di un figlio che, dieci anni dopo aver reciso i contatti con le proprie radici, porta in scena – sulla pagina – l’atroce ordinarietà di una famiglia disfunzionale come si ama dire oggi. Madre vittima sacrificale, padre padrone violento e fragile, burattinai entrambi che agitano tra le mani fili sottili destinati a spezzarsi con conseguente incapacità di trasferire amore e sicurezza. L’anniversario è un interno giorno con geografia del dolore – la provincia torinese come forma di sradicamento cercato – lettino (psico)analitico incapace di spezzare il meccanismo proprio dei figli, quello di sottrarsi alla necessità di una mitologia da raccontare e raccontarsi per non vedersi restituita allo specchio l’immagine anche banale di una semplice storia dolorosa. Eppure, Bajani compie una sintesi particolare tra questi due estremi inconciliabili. Lì dove, dunque, è impossibile rinunciare all’eccezionalità dei propri eventi, si può cercare, però, di (ri)evocarne l’epica familiare svuotandola della passione attraverso una narrazione autoptica, fredda, quasi distaccata dove il transfert terapeutico si muove nella direzione opposta, obbligando sé stesso e il lettore a una sospensione – magari salvifica – di qua dal limite del baratro, del crollo emotivo, del dolore esposto, costruendo così uno strumento tagliente, forse, ma come può esserlo un foglio di carta, senza esplorare il territorio spaventoso della lama luccicante di un coltello.
Fabio Mastroserio
Elvio Carrieri – Poveri a noi
Ventanas
Può l’esordio letterario di questo ventenne aver colpito in piena faccia una persona che ha superato i 30 da un po’? Assolutamente sì. Questo è il pregio di Elvio Carrieri, giovane scrittore pugliese candidato al Premio Strega 2025. Leggere Poveri a noi per chi è cresciuto a Bari o in qualsiasi periferia del Sud, è un po’ come rivedere certe vecchie foto: ti fanno sorridere ma ti stringono anche lo stomaco. Non c’è nostalgia nel suo racconto, né voglia di commuovere. Ci sono solo due ragazzi: Libero e Felice (detto Plinio il Vecchio), diversi ma uniti. Libero è quello in cui da millennial mi rivedo, con tutte le storture, le sconfitte e le disillusioni che caratterizzano la mia generazione. Ma Libero soffre soprattutto per non aver aiutato Plinio quando subiva bullismo alle medie, vivendo un senso di colpa perpetuo. Cosa succede quando i bordi dell’adolescenza e dell’età adulta si mischiano tra loro? Cosa significa diventare uomini quando nessuno ti insegna a farlo? In un mondo dove la virilità è ancora muscolo e omertà, il protagonista inciampa tra modelli rotti. Ma non si chiude, anzi, si lascia attraversare. In questo, forse, c’è la sua forma più radicale di resistenza. Carrieri scrive senza imbellettare, usa il dialetto con precisione chirurgica, sfiora la poesia ma sempre con tenera ironia. Non idealizza né condanna: osserva. Lo fa da dentro, da chi Bari non la racconta da turista ma da figlio legittimo. Bari come ferita viva: cementificata, occlusa, eppure pulsante. Ogni pagina è intrisa di quella malinconia sveglia che conosce bene chi è cresciuto aspettando che qualcosa cambi senza mai sapere davvero come.
Valentina Carlucci
Deborah Gambetta – Incompletezza
Ponte alla grazie
Incompletezza: una storia di Kurt Gödel di Deborah Gambetta è un libro ostico, a volte volontariamente. Vive di vampate, ma anche di eccessi. Il pregio fondamentale è innanzitutto uno: la grandezza di Kurt Gödel. La sola idea di viaggiare attraverso la testa del logico di Brno basta da sé a creare una narrazione in grado di autosostenersi. Vi è però anche il modo di narrare. Si tratta di uno stile ibrido che spazia dalla storia personale di Gambetta (relazioni amorose; l’attività di ricerca dedicata al libro etc.), sino a pagine di dimostrazioni logico-matematiche. Il nucleo invece è formato, appunto, dalla biografia di Gödel intrecciata alla storia della matematica: dal “paradiso” di Cantor, al programma di Hilbert, passando per il Circolo di Vienna. La prima parte del libro cattura il periodo di vita più produttivo del logico, mentre più passano gli anni più ci si addentra all’interno del suo declino psichico, tale da portarlo ad una morte atroce. Il testo dà il meglio di sé nella parte storico-biografica, mentre risulta decisamente ostico nella parte logico-matematica, che pecca nel non avere un destinatario chiaro, rimanendo troppo tecnica per un non esperto e non aggiungendo nulla ad occhi avvezzi alle dimostrazioni, con il rischio di peccare di autoreferenzialità. L’autrice scrive che ha scelto l’approccio della comprensione logico-matematica al fine di addentrarsi nella struttura mentale di Gödel, eppure dice in prima persona al lettore non interessato di saltare codeste parti. Ma perché invitare a saltare delle parti che poco prima si sono giudicate fondamentali per addentrarsi nella mente del genio? Nonostante l’importanza del messaggio della matematica come letteratura e del teorema come racconto, il tentativo tecnico mostra una certa fatica ad inserire la legge dei numeri e del simbolismo all’interno della struttura del romanzo. Incompletezza ha il pregio di cercare di essere un romanzo differente, che merita la sua possibilità (offrendo anche spunti bibliografici di prim’ordine), ma che finisce per avere un titolo che rischia di rivolgersi in primis a se stesso.
Antonio Gatto
Wanda Marasco – Di spalle a questo mondo
Neri Pozza
Di spalle a questo mondo è l’ultimo libro di Wanda Marasco. Non è semplice incasellare l’ultima pubblicazione della scrittrice napoletana. Romanzo, biografia, rievocazione storica o qualcosa che si pone nel mezzo. Due i personaggi principali: Ferdinando Palasciano e sua moglie Olga. Wanda Marasco si rituffa nel risorgimento italiano e partenopeo, riprendendo il racconto tardo ottocentesco di uomini straordinari che rischiavano l’oblio. È il caso di Palasciano, uomo, parlamentare, e medico fuori tempo, forse troppo in anticipo sulla sua epoca. Uomo che può essere considerato l’ideatore e il fondatore dei principi della Croce Rossa internazionale. E poi Olga, nata a Rostov, che trova in Napoli e in Ferdinando un porto apparentemente sicuro. I capitoli in cui sentiamo la sua voce, scritti in corsivo, ci restituiscono un’anima in perenne combattimento con una natura claudicante. La sua zoppia sarà il termometro del rapporto con il marito e i suoi turbamenti. Attorno a Olga de Vavilov e Ferdinando Palasciano illustri nomi dell’Ottocento partenopeo e italiano come Antonio Ranieri, Vincenzo Gemito, il pittore Dalbono, l’amico d’infanzia Ciccillo Arena, il collega Barbarisi e il personale di servizio della loro casa a cui saranno affidati i capitoli finali. Wanda Marasco alterna con sapienza i registri, da quello lirico fino al dialetto più diretto e insolente capace di restituire il contesto quotidiano e le origini familiari di Palasciano. È un romanzo/mondo quello di Marasco, un Ottocento più attuale che mai in cui il tema della salute mentale si interseca con la guerra e la neutralità dei feriti. Sembra di guardare alla società dei giorni nostri in cui i conflitti sparsi per il mondo entrano fin nelle nostre case dandoci un senso di impotenza, lo stesso si può dire per la salute mentale che dalla pandemia in poi è finalmente stata sdoganata nel linguaggio corrente. Di spalle a questo mondo è un libro in cui i personaggi cercano di sfuggire alla propria fine pur convivendo quotidianamente col pensiero della morte, in cui i fantasmi e gli esseri animati vanno a braccetto, come in ogni animo tormentato. Un viaggio in un’epoca apparentemente lontana che ad uno sguardo più attento si rivela tremendamente attuale.
Raffaele Calvanese
Renato Martinoni – Ricordi di suoni e di luci. Storia di un poeta e della sua follia
Manni
Con i suoi incipit da eterno ritorno Renato Martinoni crea un ritmo incessante per il suo racconto di Dino Campana: è la storia di un poeta, un vagabondo, uno strambo, un matto. Sta negli attacchi nevrotici e suggestivi la specialità di questo libro, e nell’irrequietezza del suo protagonista, il poeta che non sa stare fermo in un posto e deve sempre andare, alla ricerca di parole e visioni che si facciano parole. Campana cammina, legge i suoi versi nelle taverne, sconfina in Svizzera, si insinua nelle campagne toscane, annota parole, vive la sua stagione all’inferno tra i reclusi e i messi in disparte in manicomio. Il poeta vede cose che sono oltre il reale: se per gli altri è pazzo e strambo, è da quel vivere sull’orlo dell’immaginario che vengono i Canti Orfici, versi di pura bellezza fatti di un italiano arso e sterminato. Martinoni, intruso svizzero, storico di letteratura, getta via l’accademia e sperimenta la lingua seguendo il folle in un percorso più intricato: per scrivere il libro ci ha messo quattro anni. Intanto siamo in un momento di riscoperta per Dino Campana. Non bastasse il recente Meridiano che raccoglie la sua opera in versi e in prosa, da poco sono venuti alla luce certi inediti ritrovati. Come se Campana ancora parlasse, sbraitasse, e fosse con noi in taverna a farci leggere versi. Diamogli retta stavolta.
Gio Taverni
Paolo Nori – Chiudo la porta e urlo
Mondadori
Se con i suoi ultimi due romanzi dedicati a Dostoevskij e ad Anna Achmatova Paolo Nori si era concentrato sul suo campo di studi, la letteratura russa, con il terzo Chiudo la porta e urlo, edito da Mondadori e semifinalista al Premio Strega 2025, la geografia letteraria dello scrittore cambia notevolmente. Infatti, il russista rimane nella sua regione, l’Emilia-Romagna, cambiando notevolmente il perimetro di interesse raccontando – a suo modo – Raffaello Baldini e le tematiche care alla poetica dello scrittore romagnolo, come la solitudine, la perdita degli affetti e la morte. Nato cento anni fa e morto nel 2005, il poeta di Sant’Arcangelo di Romagna si è avvicinato al mondo della scrittura prima come copywriter e giornalista, per poi esordire come poeta negli anni Settanta, passati i cinquanta anni: iniziò a pubblicare le raccolte É solitèri, La nàiva (1982) e Furìstir. Quest’ultima silloge gli fece vincere il premio Viareggio nel 1988, mentre Ad nòta gli garantì il Bagutta a metà anni Novanta. Nori, con uno stile frammentato, vorticoso, scenico e per questo godibilissimo, inanella un racconto personalissimo (ritornano personaggi ormai intimi ai lettori dello scrittore parmigiano, come la nonna Carmela, la moglie “Togliatti” e la figlia “Battaglia”) con alcune delle poesie di Baldini: il risultato è un dialogo aperto e continuo, una triangolazione tra i due scrittori e il lettore sulla vita, la solitudine, l’angoscia e la morte.
Nicole Erbetti
Elisabetta Rasy – Perduto è questo mare
Rizzoli
Perduto è questo mare è un romanzo talmente personale che a leggerlo ci si sente estranei, fuori posto. Un “affaccio” senza filtri sulla vita di Elisabetta Rasy, scrittrice, saggista e giornalista, che apre le finestre della memoria e cuce intorno a due figure chiave della sua esistenza un racconto intimo per il quale diventa faticoso trovare un valore universale al di là di quello storico. Quella di Rasy è la storia di una donna, l’autrice stessa, e del rapporto con un padre distante, emotivamente e geograficamente, che riecheggia in un’amicizia preziosa con lo scrittore Raffaele La Capria. A intricare ulteriormente le vite parallele di questi due uomini, le comuni radici aggrappate a una Napoli più vicina a un dolente sogno lontano che alla città a cui siamo abituate e abituati nella narrativa moderna, se per fortuna o purtroppo dipenderà dal gusto di chi legge. È nel 1963, a settembre, che anche una giovanissima Rasy saluta la città in cui trascorre l’infanzia con uno strappo mai sanato.
“[…] un addio silenzioso e affrettato al mare, agli affetti, alla stirpe, all’origine. Di Napoli non avevo mai più parlato con nessuno, fino a quando ero diventata amica di Raffaele.”
Nei ricordi di Rasy, Napoli è martoriata dalla guerra, troppo occupata a ricostruirsi per accogliere ed elevare le ambizioni di quel padre addolorato e irrisolto. E nella distanza dalla terra natale, Rasy e La Capria troveranno una delle tante ragioni della loro amicizia. La cura dell’autrice nel racconto privato di La Capria lo rende ancora più affascinante e monumentale come figura chiave nella letteratura italiana del Novecento, ma più di tutto colpisce come si sovrappone non tanto alla figura del padre, piuttosto alla sua inesorabile assenza.
Alessia Ragno
Michele Ruol – Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia
Terrarossa Edizioni
Una foto. Un momento reso eterno. Altri oggetti. Tanti altri oggetti. Un inventario di oggetti. Una storia. Due vite. Due ragazzi. Due figli. Maggiore e Minore, questi i loro appellativi. Come ci sono Padre e Madre, e il loro dolore. Non conosciamo i loro veri nomi, non è necessario, ma pian piano veniamo a conoscenza di quello che hanno perso.
“Dopo quella foto, non ce ne sono state altre, o quanto meno non di loro due e basta. Qualche istantanea in posa – Maggiore in piedi, Minore in ginocchio – con il resto della squadra a un torneo organizzato dalla parrocchia, o tutti in fila con gli amici, la torta di compleanno sul tavolo. Decine di autoscatti con smorfie, occhiali a specchio, segni dell’abbronzatura, boccali di birra alzati. Ma altre foto che meritassero di essere stampate e messe in una cornice d’argento, quelle no.”
Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia di Michele Ruol racconta – e lo fa a pezzetti, servendosi appunto della presenza di quegli oggetti che tutto sono tranne che inanimati – proprio l’elaborazione di quel dolore. È molto difficile parlare di questo romanzo, rappresenta tutto quello che rimane dopo che la foresta brucia, fronteggiando un trauma, elaborando un lutto per due, passo dopo passo, oggetto dopo oggetto. Gli inventari sono elenchi pratici, forse scarni all’apparenza, hanno sempre una propria utilità. Questo inventario è diverso: è emotivo e profondo, è un puzzle di sentimenti e di perdita. C’è qualcosa che rimane sotto pelle, dentro la testa di chi legge dopo aver finito il romanzo di Ruol, è il motivo per cui consiglio di leggerlo – Strega o non Strega.
Federica Guglietta
Nadia Terranova – Quello che so di te
Guanda
Con Quello che so di te, pubblicato da Guanda a inizio anno, Nadia Terranova torna a indagare i legami invisibili e potenti che uniscono generazioni diverse, mettendo in scena un’intensa esplorazione della memoria femminile. Il romanzo si apre su una ferita privata e si allarga fino a diventare un affresco corale sull’identità, la cura e l’eredità emotiva che ci trasmettiamo senza parole. Attraverso la voce di Bianca, una musicista in crisi, e la figura enigmatica di sua nonna, la “Signorina”, Terranova costruisce un doppio ritratto in cui passato e presente si rifrangono l’uno nell’altro. La narrazione si muove tra Roma e Messina, tra parole non dette e silenzi pieni di significato, in un linguaggio limpido e profondo che scava nell’intimità senza mai cedere al sentimentalismo. Al centro del romanzo c’è il corpo delle donne: quello curato, accudito, vissuto e talvolta negato. Terranova non offre risposte, ma domande taglienti su cosa significhi davvero “prendersi cura”. Con grande lucidità politica e sensibilità letteraria, l’autrice intreccia il privato al collettivo, facendo risuonare le fratture della storia dentro i gesti più quotidiani. Quello che so di te è un romanzo che parla piano, ma lascia un’eco lunga. Un libro capace di restituire valore al non detto e dignità alle vite marginali.
Giorgio Van Straten – La ribelle. Vita straordinaria di Nada Parri
Laterza
Giorgio Van Straten decide di scrivere La ribelle. Vita straordinaria di Nada Parri perché si imbatte casualmente nella figura di questa donna leggendo un altro libro – Il buon tedesco di Carlo Greppi – e, restandone affascinato, si mette sulle sue tracce in qualsiasi modo, riuscendone anche a reperire un’autobiografia. Ma perché la vita di Nada Parri è straordinaria? Perché è un pezzettino di storia nella macrostoria della Resistenza al nazifascismo. Lei nasce a Empoli e, giovanissima, sposa un pittore di Marina di Carrara che però quasi subito si arruola e parte per la guerra (rimarrà lontano per anni). Nel frattempo incontra un ufficiale tedesco, Hermann, di ideali contrari al Paese che serve, il quale si unisce alla Resistenza insieme a lei. I due si ameranno molto fino a che, mentre l’Italia e il mondo sono sconvolti dal cambiamento, lui non dovrà tornare in Germania e non si rivedranno mai più. Van Straten riesce a ricostruire l’esistenza di Nada tramite lettere, documenti dell’epoca, stralci da altri storici e biografi e perfino incontrando le sue figlie, Ambretta, avuta dal marito Bruno, ed Elisabetta, avuta con Hermann. Veniamo così a scoprire – in un alternarsi di parti narrative e racconto del lavoro dell’autore – che è stata una donna tenace, coraggiosa e ribelle non solo per essersi opposta al regime, ma anche per aver scelto di amare un uomo come Hermann. La ribelle non è solo una storia d’amore, ma soprattutto un frammento non trascurabile di un periodo storico tanto importante.
Valentina Accardi