“Una volta che si inizia a leggere Aira, non si può più smettere”, così un lettore vorace come Roberto Bolaño ci introduce al mondo pazzesco di César Aria, scrittore argentino prolifico e una delle voci più interessanti della narrativa in lingua spagnola. Classe 1949, arriva tradotto in Italia solo nel 1991 – e del resto già Bolaño ai tempi aveva avuto problemi a reperirlo. Ora Fazi porta in libreria uno dei suoi racconti più fulminanti, Un episodio en la vida del pintor viajero, con il titolo Un pittore fulminato, un omaggio narrativo al pittore tedesco Johann Moritz Rugendas e ai suoi viaggi nell’America Latina nell’Ottocento.
Davanti a loro, nella mente sognatrice del pittore viaggiatore, si apriva l’Argentina. Ma guardandosi alle spalle per l’ultima volta, la grandezza delle Ande si innalzava enigmatica e selvaggia, troppo enigmatica e selvaggia.
Aira ci conquista facilmente con il suo talento: non è certo la trama della vicenda a creare il racconto, ma le parole e lo stile dello scrittore argentino. Ora siamo perduti tra le Ande, in un viaggio a cavallo insieme a Rugendas e l’amico fidato e pittore Krause. Rugendas è agitato da grandi idee, vuole rivoluzionare la pittura e illustrare il Nuovo Mondo, viene da una famiglia di pittori e incisori per sette generazioni (e per un po’ Aira ci accompagna in pellegrinaggio alla ricerca delle origini di Rugendas, e delle tradizione pittorica che dentro lui si agita).
Poi arriva il fulmine. No, non è una metafora: un vero fulmine colpisce Rugendas e il suo cavallo nel mezzo dei suoi viaggi e delle sue traversate. “Come una statua di nichel, l’uomo e l’animale si accesero di elettricità”, ne uscirà fuori sfigurato e consumatore seriale di morfina, “curiosa coincidenza di termini: amorfo, morfina”, ma anche nuovamente ispirato e vocato all’arte.
Aira ci fa immaginare le Ande, le Ande che vorremmo attraversare. Ci fa andare lontano con la mente attraverso il tempo, ci racconta un episodio, l’epopea dell’incontro tra Vecchio e Nuovo Mondo, la pittura di “conquista”, l’incontro con gli indios, e i cavalli furenti e fulminati che scorribandano per l’America Latina. Qui e là – per il testo – fulminanti intuizioni:
Se la notte uccidesse, moriremmo tutti poco dopo il calar del sole.
Ma la notte non uccide, ci perdona a ogni nuova alba. E così siamo capaci di attraversare gli spazi e i tempi, pure noi da lettori, e ritrovarci a pochi passi dalle parole di Aira a respirare l’aria fredda delle Ande, le strade di Buenos Aires, il cammino lento del cavallo, e il fulmine che ci arriva – d’improvviso – sul collo, a rovinare una giornata qualunque.
Forse vi chiederete se Rugendas sia morto dopo aver preso sulla testa due fulmini, se la notte lo abbia ucciso. Alla domanda vi lasciamo rispondere leggendo il racconto. Il libro è una piccola introduzione alla scoperta della prosa dello scrittore argentino, e dell’epica magnifica delle terre sudamericane. Ah, le Ande – mitologica catena montuosa che provoca la nostra immaginazione e i nostri sogni. Dai viaggi di questi esploratori, fino al disastro aereo del 1972 e dei sopravvissuti delle Ande (questa è una storia che non dovreste perdervi), le montagne di quel Sud sono uno dei pezzi del globo in cui ci piace perderci e immaginare come potremmo sopravvivere lassù.
Raccontare è esplorare. Fare i conti con il mondo, come terra aperta e tutta da scrivere. La penna di César Aira esplora l’uomo, la sua emozionante storia che da secoli vaga alla ricerca di se stesso, tra mondi diversi da esplorare, e parole tutte ancora da narrare.