a cura di Ilaria Del Boca e Umberto Scaramozzino
Una città dentro la città
a cura di Ilaria Del Boca
Il Salone Internazionale del Libro di Torino non è solo una fiera editoriale: è un organismo vivo, pulsante, che ogni anno si rinnova e si amplia, facendosi specchio della società contemporanea e laboratorio di immaginazione collettiva. L’edizione XXXVII ha confermato, con sorprendente energia, questa vocazione. Con oltre 231.000 visitatori, centinaia di incontri, ospiti da tutto il mondo e un programma così fitto da sembrare impossibile da contenere, il Salone si è riaffermato come uno dei principali snodi culturali europei, un luogo dove il libro non è solo oggetto, ma occasione di incontro, di confronto e soprattutto di dialogo.
L’atmosfera che si respira tra i padiglioni del Lingotto è quella di una città dentro la città: un microcosmo di parole, pensieri, emozioni che si intrecciano senza sosta. Gli editori, piccoli e grandi, da sempre cuore pulsante della manifestazione, non si limitano a esporre le novità, ma animano gli spazi con visioni, esperimenti, intuizioni. Insieme agli autori, danno forma a quel “dialogo come fondamento dell’umanità” che non è solo il tema scelto per quest’anno, ma un vero e proprio principio ispiratore.
In questo contesto, le parole di Lalla Romano trovano una risonanza profonda: “La vita è dialogo. Anche tacere è parlare.” È proprio questo ascolto silenzioso, questa disponibilità ad accogliere l’altro anche nel non detto, che si è percepita nei cinque giorni del Salone, in ogni angolo, in ogni incontro.
L’organizzazione, guidata con sensibilità e intelligenza da Annalena Benini, ha saputo costruire un equilibrio delicato e potente: quello tra il rigore della proposta culturale e l’apertura verso nuovi pubblici, tra il valore della parola scritta e il potere delle emozioni condivise. Gli spazi si sono moltiplicati – dalla Pista 500 sul tetto del Lingotto all’Auditorium Agnelli – e con essi le possibilità di riflettere, imparare, immaginare.
In ogni incontro, anche nei più intimi, si è percepito il senso di qualcosa che va oltre la somma degli interventi: una ricerca continua di senso, bellezza e umanità. In un tempo in cui il dialogo sembra fragile, il Salone dimostra che è ancora possibile – e anzi necessario – parlarsi, ascoltarsi, riconoscersi.
Gli incontri del Salone: il dialogo come fondamento dell’umanità
a cura di Umberto Scaramozzino
Destreggiarsi nel ricco programma della XXXVII edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino è complicato. Gli ospiti sono tanti, come anche i rispettivi ambiti. Ci sono così tanti argomenti, spunti, riflessioni, analisi o semplici chiacchierate che anche con il dono dell’ubiquità, e quindi risolvendo il problema pratico, risulterebbe difficile assorbire e metabolizzare tutto. Diventa necessario fare selezione e, come ogni anno, tirare fuori il meglio da questa abbondanza.
Partiamo da Yasmina Reza: drammaturga, scrittrice, attrice e sceneggiatrice francese alla quale Annalena Benini ha affidato l’onore della “Lectio Inauguralis” di questo Salone. La sua lezione ha per titolo “Vediamo un po’” e con estrema efficacia smonta l’idea che la letteratura debba scovare il senso della vita. Non quella di Yasmina Reza almeno, per la quale gli esseri umani, che diventano i suoi personaggi di carta, “sono soli e sono tutto”. Non ha dubbi: “Senza uomini non c’è narrazione possibile, quindi nessuna realtà”.
Ed è proprio alle emozioni che spetta il centro della scena: quelle scomode, indomabili, fondamentali. “Tutto quanto costituisce l’immaginario di un uomo, le sue ossessioni, è racchiuso nelle ore di noia, nelle fantasticherie, nei dispiaceri, in tutte quelle emozioni primordiali e ricorrenti dei primi tempi”, dice Reza con il suo francese lento e musicale. In questo contesto appare giusto e naturale che a intervistare l’autore di best seller Joël Dicker, nel grande Auditorium Giovanni Agnelli, a pochi passi dalla lectio, non ci sia un volto noto e autorevole, bensì un gruppo di giovani lettori ancora indaffarati nell’inseguimento delle proprie ossessioni. Una modalità voluta dall’editore, ma abbracciata con grande piacere anche dall’autore, che si compiace della novità e intavola un dialogo più aperto e meno composto del solito.
Le persone, dalle quali scaturisce la realtà, sono anche al centro dell’incontro con Jan Brokken, candidato al Premio Strega Europeo che viene accolto con particolare attenzione in quanto prestigioso rappresentante del Paese ospite d’onore di questa edizione: l’Olanda. Il suo racconto su “La Scoperta dell’Olanda” parte da un luogo speciale, quell’Hotel Spaander nell’affascinante villaggio di Volendam, vicino ad Amsterdam, che per più di un secolo è stato il vitale crocevia che ha fatto incontrare pittori, scultori e artisti di ogni tipo, generando storie e passioni che ancora oggi riecheggiano per tutta la nazione. Anche in questo caso, l’incontro e la condivisione, nel nome delle emozioni, sono la forza generativa di cui bisogna necessariamente parlare.
Sono tanti, tantissimi gli altri momenti salienti del programma di cui è impossibile parlare, ma che resteranno nel cuore dei 231.000 visitatori di quest’anno. Dal confronto tra Jean Renò e Donato Carrisi – che con una straripante stima reciproca intavolano un irresistibile confronto sul loro rapporto con la nascita, la vita e la morte dei propri personaggi – al sorprendente incontro con Emmanuel Carrère, che racconta Philip Roth e presenta la nuova edizione di “Portnoy” di Adelphi. Dalla disarmante e toccante sincerità di Gipi, alla solita lezione di storia del professor Barbero. E poi ancora Paul Murray (vincitore del Premio Strega Europeo), Iida Turpeinen, Javier Cercas, Terézia Mora, Michael Bible, Cecilia Sala, Roberto Saviano, Gianrico Carofiglio, Sandro Veronesi.
Nel marasma di parole e pensieri si delinea il filo conduttore – come sempre involontario ma mai accidentale – di molti degli incontri delle cinque giornate: ciò che ci rende umani e ci porta al centro del dialogo e dell’incontro, dove ogni tentativo di controllare o controllarci appare vano. Ne parlano molto bene e in profondità Valentina Tanni, Maura Gancitano e Francesco Pacifico sul tetto del Lingotto, lungo la bellissima Pista 500 che resta il fiore all’occhiello della venue tanto discussa del Salone. Si parla di arte, tecnologia, progresso, ma poi si torna sempre lì: all’idea che l’arte in quanto espressione della nostra umanità sia ciò da cui è impossibile prescindere. E per questo si sfugge agilmente alla sterile retorica della rivalità con l’intelligenza artificiale, per accoglierne l’antitesi: il dialogo, persino e soprattutto con le intelligenze artificiali.
Questo topic, in particolare, è per ovvi motivi più presente – quasi onnipresente – delle “parole tra noi leggere” che sarebbe il tema di questa edizione. Uno degli incontri più rilevanti dell’evento è in tal senso quello con l’autrice giapponese Rie Qudan. La vincitrice nel 2024 del prestigioso premio Akutagawa, parlando del suo romanzo “Tokyo Sympathy Tower”, si sofferma sul futuro del linguaggio e dell’intera umanità, esplorando nuove frontiere del dialogo, sia nella forma che nel contenuto. Involontariamente, con le sue domande mette in fila tutti le riflessioni di cui sopra e ci accompagna verso la conclusione con la sensazione che, tra le tante visioni distopiche dominate da scontri e contrapposizioni, esista ancora una scintilla di speranza compassionevole.
Lo vedete, no? C’è una tale armonia di pensiero tra i contenuti di questo tentacolare programma che al termine delle cinque giornate ci si sente avvolti dalla sensazione di aver vissuto un unico, grande e potente momento. E dalla speranza di poterne vivere un altro tra dodici mesi.