Ainda Estou Aqui è il romanzo autobiografico di Marcelo Rubens Paiva, pubblicato in italiano da La Nuova Frontiera con il titolo Sono ancora qui. Al romanzo si è ispirato Walter Salles per il suo ultimo film, Io sono ancora qui. Cronaca di memoria e resistenza nel Brasile della dittatura militare degli anni Settanta. Qui uno scritto a due voci.
Il romanzo di Marcelo Rubens Paiva
a cura di Raffaele Calvanese
Sono ancora qui di Marcelo Rubens Paiva è arrivato in Italia nel 2024 con la traduzione di Marta Silvetti. Il libro in realtà è del 2015, e rappresenta un vorticoso turbine di memorie di uno dei figli di Eunice Facciola Paiva e di Rubens Beyrodt Paiva, ingegnere, politico laburista e desaparecido durante la dittatura militare brasiliana.
Il racconto si muove a metà tra il memoir e il romanzo e ci porta nella vita di una famiglia sconvolta, insieme al proprio paese, dalla dittatura militare. L’aspetto che subito mi è parso interessante, nella lettura di questo libro, è stato affondare mani e piedi in una pagina di violenza sudamericana che viene raccontata meno: probabilmente è più facile trovare documentari e libri sulle vicende di Cile e Argentina rispetto a questo buio periodo storico del Brasile.

“So che più avanti ripeterò cose che ho già raccontato. Questo libro sulla memoria nasce così. Si recuperano delle storie. Alcune portano ad altre. Le storie vanno e vengono con nuovi dettagli e riferimenti. Rileggo la rilettura della vita della mia famiglia. Riscrivo ciò che ho già scritto.” MRP
La storia di Rubens Paiva e di sua moglie Eunice Facciolla racconta, insieme alle loro vicende personali, anche quella di un paese che sprofonda nel baratro della dittatura senza un apparente scossone, come se un giorno dopo l’altro si perdesse un pezzo della propria libertà scendendo gradino dopo gradino nell’orrore. Leggendo lo scorrere disordinato degli eventi che hanno portato alla scomparsa di molti oppositori politici del regime in Brasile, sembra di rivivere le famose parole di Brecht in cui il regime prendeva un oppositore alla volta fino a che non ne era rimasto più nessuno. Se ci pensiamo bene questo libro parla anche della stringente attualità che oggi si vive pure nei paesi sedicenti baluardo della democrazia.
Non si deve pensare però che questo sia un racconto fatto di tristezza, anzi. La storia di una famiglia colpita dalla dittatura è quella delle vite che resistono. Tutto nella famiglia Paiva urla resistenza. Innanzitutto, le vicende personali di Rubens, colpito da un incidente durante l’università e rimasto paralizzato, anche se dal suo racconto tutto questa parte della sua vita è a dir poco accennata. Sembra di leggere la storia di una persona che ha cavalcato quegli anni in modo impetuoso. La metafora di questa famiglia e di queste esistenze che non si piegano alla violenza della dittatura sta tutta nella famosa foto che una rivista brasiliana fece all’intera famiglia in allegato all’intervista a Eunice Facciolla sulla “scomparsa” del marito Rubens. I redattori si immaginavano di ritrarre un quadro della tristezza: invece Eunice e tutti i figli in copertina ridono in modo sfacciato e controintuitivo rispetto a quello che la narrazione del dolore, tanta cara ai nostri anni, si aspetterebbe. Questo è davvero il cuore di tutto il racconto contenuto nel libro.

Col passare delle pagine il flusso di memoria si sposta dal padre alla madre dell’autore, raccontando una rinascita dalle ceneri. La storia di Eunice prende vita e sembra raccontarci il percorso di una donna dalle mille vite. Una persona capace di essere più fenici, non una soltanto: non solo la vedova di un desaparecido, ma una personalità che si impone con le proprie forze sulla scena politica e sociale di un paese che provava a cancellare la storia della sua famiglia. Sono queste le pagine più stupefacenti del racconto. Il lettore avrebbe potuto aspettarsi una storia come tante se ne sono lette di famiglie di desaparecidos. Invece questo racconto messo in piedi da Paiva ci restituisce una storia originale. Un racconto che al suo interno ne contiene molti altri.
La memoria è una magia sconosciuta. Un trucco della vita. I ricordi non si accumulano gli uni sugli altri, ma gli uni accanto agli altri. Un ricordo recente non viene recuperato prima del millesimo. Si mescolano.
Seppur in modo frenetico e apparentemente furioso come solo i ricordi sanno essere, questo libro compie una specie di anello attorno al grande argomento sottointeso di tutta la storia: la memoria. Già, perché attorno al concetto di memoria si muovono i personaggi principali di questa storia. Tenere viva la memoria di chi è scomparso per mano della dittatura, tenere viva la memoria di chi è rimasta ma che è colpita, per paradosso, proprio dalla graduale perdita di quella risorsa fondamentale che è il ricordo.
Così viviamo struggenti passaggi legati alla graduale perdita di autosufficienza di Eunice che per molti anni aveva rappresentato per tutta la sua famiglia una colonna portante attorno alla quale si erano costruite altre esistenze. Un sole che non vorrebbe spegnersi e che comincia a vedere ombre sempre più fosche arrivare addosso. E ancora seguiamo l’affidamento ai figli di uno dei simboli dell’autodeterminazione in anni in cui anche il concetto di femminismo non aveva ancora i tratti così distintivi che siamo abituati ad attribuirgli oggi. Ogni evento in questo racconto sembra mettere i protagonisti alla prova e ogni volta siamo spettatori di come la soluzione venga individuata in modo da non farla sembrare una resa ma un rilancio. Un modo per continuare a ribadire le parole “sono ancora qui” del titolo del libro. Probabilmente questo tipo di approccio è l’unico possibile in grado di smontare la monolitica narrazione del dolore e della repressione tanto care ai regimi dittatoriali come quello che ha attraversato la storia del secondo novecento brasiliano e non solo.
La pellicola di Walter Salles
a cura di Gio Taverni
Dal libro di memorie di Marcelo Rubens Paiva è stato tratto un film, Io sono ancora qui, vincitore di un oscar come migliore film straniero. Il regista è il brasiliano Walter Salles: tra i suoi film ricordiamo una poco felice trasposizione di On The Road, e I diari della motocicletta, racconto dell’epico viaggio latinoamericano del giovane Ernesto Che Guevara con l’amico Alberto Granado. Salles ha vissuto in prima persona le vicende della famiglia Paiva, poiché da bambino era loro vicino di casa. C’è dunque un elemento di memoria personale nella scelta del soggetto da parte del regista: è come se Salles e Paiva fossero destinati a raccontare questa storia, legati a doppio filo in un percorso narrativo di equilibrismo sul filo dell’orrore.
Salles evoca la violenza della dittatura militare ma lo fa aprendo la scena con i colori e i suoni del suo Brasile d’infanzia: perché non si può dimenticare di essere stati felici. All’inizio della pellicola siamo catapultati sulle spiagge di Rio de Janeiro. Tutto è uno scorrere di colori, sensazioni, movimenti, un felice caos da grande famiglia sullo sfondo di un Brasile che sta cambiando la sua natura per venire scorticato dai farabutti. Cos’è successo in America Latina negli anni Settanta? Chi ha permesso alle dittature di destra di portare i loro paesi allo sfacelo, chi ha gettato in mare cadaveri di oppositori, chi ha tolto i figli alle madri, chi ha finanziato sistemi di potere che si reggevano sulla paura, la tortura, il veleno. Le domande che mette in moto il film sono di natura politica, ma raccontano l’essere umano: colui che dissente, che non sa stare a posto, si agita.
La famiglia Paiva è una famiglia brasiliana, ma seguendo la sua vicenda sentiamo la storia decuplicata di numerose famiglie e di numerosi singoli esseri umani, di quel periodo travagliato dell’America Latina, del Brasile, del Cile, dell’Uruguay, dell’Argentina, con i Videla, i Pinochet, i Bordaberry, e i servizi segreti deviati. Alzando lo sguardo dal sud del continente americano verso il nord si possono trovare un po’ di risposte alle domande su come la cosa sia potuta accadere – e a questo punto nascono nuovi interrogativi: quale ferocia è stata possibile dal sistema in cui viviamo; cosa fa Candido quando scopre di non vivere nel migliore dei mondi possibili; perché le Chiese andavano a spasso coi dittatori. I desaparecidos latinoamericani ci parlano ancora come da una lontana distopia. I sopravvissuti non trovano spiegazioni. La pellicola di Salles non cerca risposte ma domande, infinite domande sulla natura del potere e i suoi disturbatori.

Per circa mezz’ora il film ci consente un’immersione visiva e sensoriale in un preciso momento storico. Vediamo scorrere frammenti e immagini d’epoca di scontri, polizia, arresti. Ci sono poi gli oggetti che sono diretti testimoni di inizio anni Settanta, la cinepresa super otto, le riviste, i giradischi, le macchine da scrivere, le giacche, le auto, i poster dei film di Godard, Blow-Up nei cinema. Un tributo alle cose che sono state – così come la musica, molto presente nel film.
Finché è possibile casa Paiva è piena di musica, tra cambi di vinili e balli in salone – si ascoltano Serge Gainsbourg, i cantori brasiliani, con quella loro maniera di cantare, le radici di una lingua che ha mescolato gli imperi e gli indigeni fino a trovare una musicalità del tutto speciale. C’è un elemento della musica brasiliana che il film riesce a restituire in forma di pellicola, la triste allegria del canto, il dolce samba malinconico. E poi ci sono i cantautori che sono stati costretti all’esilio, come Caetano Veloso. Perché la dittatura si chiama dietro sempre i suoi esiliati e i suoi fantasmi. E vaga come uno spettro pure la canzone rock simbolo della resistenza negli anni della dittatura, É Preciso Dar um Jeito, Meu Amigo di Erasmo Carlos.
Il punto di rottura è la scomparsa, l’omicidio politico di Ruben Paiva, che dopo essere stato prelevato dal regime non tornerà più a casa. La figura di Eunice Facciolla (interpretata da una maestosa Fernanda Torres) diventa simbolo affaticato di una privata resistenza, una donna che non vuole arrendersi. Insieme a lei attraversiamo spazi che lentamente si restringono: dalla sua casa vicina al mare siamo condotti nelle stanze buie dove si pratica la tortura e l’interrogatorio. Adesso i colori si fanno scuri. In questo punto anche la colonna sonora cambia registro diventando puro grido umano e noise claustrofobico. E noi siamo spaventati, disgustati, ammaliati: perché i disturbatori sono creature speciali, e questa storia va annotata in testa come un cammino.