Il freddo e la paura del Sottosopra sono tornati sugli schermi della piattaforma Netflix da pochi giorni con la seconda stagione di Stranger Things. Ancora una volta le nove puntate tornano a coinvolgerci in quell’atmosfera ingenua e genuina – a tratti tetra e oscura – che caratterizza la serie fin dalla prima puntata.
Una costante nascosta e affascinante si ripresenta e conferma nella nuova stagione: vediamo infatti come ogni qualvolta l’oscura presenza si riaffaccia nella vita di Will la sua casa si trasforma in un’autentica opera d’arte tridimensionale. Come tutti voi di certo ricorderete, nella prima stagione, Joyce adottò un particolare modo per entrare in comunicazione con il suo figlio scomparso. La loro casa divenne infatti una vera e propria luminaria interna, addobbata con luci di Natale sparse e colorate ovunque. In particolare ricorderete la grande parete-alfabeto, grazie alla quale Will riuscì a dire a sua madre ‘RUN’.
Nella nuova stagione invece è Will stesso a fornire i mezzi per rendere la loro casa un percorso interattivo e artistico allo stesso tempo. Il ragazzo infatti trova nel disegno l’unico mezzo di espressione per riuscire a descrivere cosa vede nei suoi ‘ricordi del presente’. È così che in poco tempo sviluppa, foglio dopo foglio, un enorme cartina geografica che descrive i tunnel sotterranei al di sotto dell’intera cittadina di Hawkins. Le strade articolate e vorticose si diramano all’interno dell’appartamento passando per la cucina, il soggiorno fino ad arrivare nelle camere da letto. Sembra quindi come se dal male, da quella forza oscura e tenebrosa che tormenta l’esistenza di Will e di tutti i personaggi della serie, ne fuoriuscisse un’arte ignota e inconsapevole d’essere. È l’arte che viene scaturita dal male ma che allo stesso tempo va contro il male, viene usato come difesa, come via di fuga e sostegno indispensabile per giungere ai fini che i nostri piccoli eroi si sono prefissati.
Nella nuova stagione ritroviamo anche quell’approccio che contraddistingue la serie fin dagli esordi, nelle sue atmosfere anni ‘80 e nei suoi colori pastello come l’arredamento delle vecchie casa dell’Indiana. Ritroviamo ancora le inquadrature ben studiate dei fratelli Duffer e la fotografia pittorica che incornicia il volto dei personaggi più espressivi in momenti in cui la luce e le ombre contornano i loro visi. Ritroviamo le musiche di Michael Stein e Kyle Dixon, che come una base continua ci accompagnano in questa nuova avventura al limite tra la vita e la morte, tra la serenità e “la fine del mondo così come lo conosciamo”. Questa volta insieme ai personaggi a cui ci eravamo affezionati, ne troviamo di nuovi, diversi e controversi. Sempre con la stessa delineazione profonda dei protagonisti che hanno una storia alle proprie spalle e portano sulla scena il risultato di ciò che sono diventati.
Si aggiungono infatti i personaggi di Bob, il cervellone dolce e impacciato, che da piccolo tutti prendevano in giro ma che ora ha la sua rivalsa, potendo stringere tra le braccia Joyce Byers. La giovane Max, una skaters dai lunghi capelli rossi che, con la sua diversità e le sue complicazioni familiari, riesce subito a entrare nel cuore di Dustin e Lucas. Il bello ma violento Billy che con la sua impertinenza darà filo da torcere a Steve. Il dottor Sam Owens che sostituisce il defunto padre di Undici all’interno dei laboratori Hawkins. E infine Kali (Eight), che potremmo definire come un anello che si lega a quella che è la storia principale della serie. In quest’operazione creativa, i fratelli Duffer hanno aggiunto una storia che, se pur inizialmente si dirama seguendo le linee cardine della vicenda iniziale, poi prende un suo percorso, entrando in un altro nucleo vitale, distante da Hawkins e da tutto il suo mondo. Eight infatti è un’altra vittima evasa dai laboratori di ricerca che vive in un gruppo di scapestrati con un unico intento: la vendetta. La vendetta contro chi, in questo mondo, li ha presi e poi usati lasciandogli così una vita segnata dalla rabbia e dal rancore.
Nuovo anche il nemico di questa seconda stagione, il Mind Flayers o più semplicemente il Demo-Dogs, come soprannominato da Dustin. La lettera d’amore ai classici anni ‘80 ci ha catturati facendoci godere ancora una volta della compagnia dei fantastici personaggi che ne danno forma. E ora non possiamo che riprendere quell’attesa, in vista della terza stagione già in produzione, prevista per il 2018.