20. Savages – Silence Yourself
Silence Yourself è un disco rock avvincente e selvaggio, drammatico ed emozionante, è un prodotto musicale di autentica espressione artistica, non banale intrattenimento, ma contenuto, qualità, scoperta. (Edoardo Biscossi)
19. Majical Cloudz – Impersonator
18. Local Natives – Hummingbird
17. Low – The Invisible Way
The invisible way porta con sè l’aridità e il fascino del deserto, è un disco da consumare mentre si consuma la strada e si alza la polvere, con la luce che, filtrando, riesce a restituire agli occhi un piccolo ma necessario scorcio di orizzonte. (Salvatore Sannino)
16. Bill Callahan – Dream River
Che tipo di segreti ci racconta il cantautore dell’America che non vediamo dobbiamo scavarlo a fondo, ritrovarlo nella bellezza originaria anche dei testi. Questo aspetto, spesso trascurato nella musica, è evidente nella poesia di Dream River. (Giovanna Taverni)
15. Atoms For Peace – Amok
Progetto che, con una formazione di tale portata, avrebbe potuto rischiare la caduta verso pericolose logiche commerciali, Amok degli Atoms for Peace si rivela invece un riuscito connubio di cervelli musicali, del tutto immersi nella voglia di sperimentare e giocare con sonorità talvolta ben lontane dalle proprie esperienze originarie. (Mario Esposito)
14. Suuns – Images Du Futur
13. Vampire Weekend – Modern Vampires of the City
12. Mark Lanegan – Imitations
Lanegan insomma in questo disco di reinterpretazioni riesce nell’impresa, riuscita a pochissimi, di fare proprie alcune canzoni che a primo acchito poco c’entrano con quello che ha fatto finora; ma dopotutto oramai sembra chiaro che Mark Lanegan quando vuole è in grado di fare quello che gli pare. (Seppino Di Trana)
11. Darkside – Psychic
Un disco che ha il sapore di un viaggio che inizia con un biglietto di solo andata e niente più. Complesso ma coinvolgente, apparentemente indistricabile e afinalistico, finisce sorprendentemente col mostrarsi ciclico e a tuttotondo. Un disco per cui vale la pena spendere più di qualche ascolto per viverlo a fondo e percepirne a pieno tutti i sapori. (Riccardo Riccardi)
10. Deerhunter – Monomania
Monomania è sommariamente un album in cui i Deerhunter si abbandonano ai pruriti di un garage rock sporco, irrequieto e, per la maggior parte, efficace. Perdono buona parte del suono dettagliato e liquidamente psichedelico verso il quale sembravano orientarsi, per recuperare una produzione più low fi, uno stile più essenziale e asciutto, rumoroso e viscerale, ma caratterizzato comunque da una scrittura quanto mai straightforward. (Edoardo Biscossi)
9. Fuck Buttons – Slow Focus
Dopo quattro anni di silenzio i Fuck Buttons tornano con un nuovo disco, Slow Focus, il quale segue con matematica precisione il solco già segnato dai precedenti (e impareggiabili) lavori, riuscendo addirittura a superarli. (Eugenio Maddalena)
8. Moderat – II
Mentre Londra esplode di innovazione nel panorama elettronico, Berlino non sta a guardare. L’estro artistico e poetico di Apparat si fonde in un connubio perfetto con la tecnica sintetica e sopraffina dei Modeselektor: Moderat. (Riccardo Riccardi)
7. My Bloody Valentine – mbv
Un seguito a lungo atteso e da molti temuto, ma che non delude e che porta avanti un discorso evidentemente mai abbandonato per Kevin Shields e compagni, che aggiungono dinamica e momentum alla formula mantenendo una qualità ed una coerenza disarmanti. (Edoardo Biscossi)
6. Sigur Ros – Kveikur
Questo lavoro rappresenta per i Sigur Rós un punto di svolta, un chiaro distacco dalle produzioni precedenti, un allontanamento dalle atmosfere ripetitive e ridondanti di “Valtari” e la scoperta di sonorità più cadenzate, con un evidente presenza dell’elettronica e di alcune componenti progressive praticamente inedite. (Eugenio Maddalena)
5. Arcade Fire – Reflektor
Reflektor è solido come una pietra e ci sono solo due atteggiamenti possibili di fronte ad un lavoro simile: l’amore e l’odio. Ho scelto il primo. (Eugenio Maddalena)
4. The National – Trouble will find me
Trouble Will Find Me si riempie di ospiti/amici (da Sufjan Stevens a St. Vincent) e si rivolge ad un pubblico molto più ampio dei precendenti lavori. E probabilmente proprio per questo, non si concede il rischio di osare e finisce per suonare come un album già sentito, stanco, che non sembra aggiungere nè togliere nulla alla band di Brooklyn. (Salvatore Sannino)
3. John Grant – Pale green ghosts
Non si tratta di un disco da ascoltare una volta sola questo di John Grant. Pale Green Ghosts è un album di una certa intensità e profondità, in particolare sul piano lirico, con intermezzi elettronici che servono soprattutto a non stenderci completamente tra una riflessione sul dolore e una considerazione sull’auto-accettazione. (Eugenio Maddalena)
2. Daughter – If you leave
Bussola, irrealtà, distorsioni, queste le parole chiave per seguire gli arpeggi che conducono verso una dimensione silenziosa, quella di If You Leave, da cui filtra raramente qualche rumore esterno, capace di commuovere nelle ore più tarde della notte e di ridestare un paradiso di idee da tempo dimenticate. (Ilaria Del Boca)
1. Jon Hopkins – Immunity
Immunity è un album caratterizzato da due climax che si incontrano a metà strada; una vera e propria discesa nelle profondità più oscure con annessa risalita. (Seppino Di Trana)