“Io canto se ho da dire qualcosa, e non prendo la chitarra per ottenere l’applauso. Io canto la differenza che c’è tra il vero e il falso, altrimenti, non canto.” V.P.
Quando la storia sarà riscritta come storia umana e non storia politica o al massimo sociale, allora certi giganti si rimpiccioliranno velocemente al cospetto di chi è stato raccontato e considerato molto meno di quello che ha creato. In quel momento non si potrà non parlare della vita e dell’arte di Violeta Parra. La stessa storia della musica avrà (e ha) bisogno di riparametrarsi sulla cifra umana degli artisti e delle artiste, rifuggendo le logiche sistemiche che misurano il valore in relazione al mercato e alla popolarità. Siamo in un’epoca in cui l’industria musicale condiziona fortemente il gusto e le scelte facendo passare la parte per il tutto. La storia andata, insieme allo studio e alla riscoperta di preziosi frammenti del passato, può avere il duplice effetto di riportare alla luce delle gemme perdute e allo stesso tempo di aprirci meglio occhi e orecchie sul presente. Per andare a fondo in certe storie dobbiamo liberarci da orpelli artificiali e confrontarci con l’essenza. Ancora di più superare i recinti dei generi musicali e andare al rapporto profondo che alcuni esseri umani hanno avuto con la creazione, inserendo nell’arte, oltre il talento, anche la determinazione, le scelte e una incredibile forza per farlo in condizioni molto spesso avverse. Per questo Violeta Parra è più vicina alla vicenda di Woody Guthrie, di Sister Rosetta Tharpe, di Nina Simone o del suo connazionale Victor Jara. E la lista potrebbe allungarsi ancora.
Anni fa in un’intervista lo scrittore Roberto Bolaño disse che “la cosa meravigliosa della letteratura è essere lettore”. Provandone a interpretare il senso più profondo la stessa cosa potrebbe valere anche per la musica e il suo ascolto. Partiamo da qui. L’ascolto di una canzone come Gracias a la Vida ha sempre smosso qualcosa dentro, nel profondo dell’animo di chi l’ascolta. Come ebbe a dire una volta la scrittrice Franchita Gonzalez Gracias a la vida è “la canzone più generosa e più piena di cuore del mondo”. Ne sono state fatte infinite versioni da voci incredibili come Mercedes Sosa, Joan Baez su tutte e poi la prima versione in italiano di Gabriella Ferri, un’altra meravigliosa di Ginevra Di Marco, fino a quella toccante di Andrea Parodi ed Elena Ledda. Tuttavia la semplicità e l’immediatezza dell’originale di Violeta Parra contiene il mistero dell’arte, la sua essenza, e resta insuperabile. Quella canzone che diventa subito un inno regalato al mondo, Violeta la scrive e incide verso la fine del 1966, pochi mesi prima di togliersi la vita con un colpo di pistola. Questo viaggio nella vita e nell’opera di Violeta Parra, che sembra, e in parte è, un viaggio triste, può rivelarsi alla fine una necessaria scoperta di un essere umano straordinario.
“Alla base di tutto non c’è altro che amore perché condividere è un bisogno primario, tutto è traboccante di amore. Violeta Parra era piena di amore, la sua opera è attraversata da una pena impastata di passione.” Isabel Parra
La bambina con la chitarra
“Alcuni sostengono che sia di cattivo gusto mettere un articolo davanti al nome di una persona. Forse hanno ragione, ma quando penso a Violeta Parra, l’articolo s’impone, perché lei è la Violeta, unica, ineguagliabile, inarrivabile.” Luis Sepúlveda
C’è tantissimo Cile in questa storia, non solo perché gran parte della vita di Violeta si svolge lì, ma perché i colori, i toni, i suoni e i sentimenti di questa vicenda incarnano l’anima antica e identitaria del paese, e Violeta ne recupera le radici e il folclore, senza per questo essere conservativa, al contrario, trasforma questa ricerca in un’affilatissima arma di protesta contro la povertà e le ingiustizie, oltre che di lotta per l’affermazione. Sapeva che combattere per i suoi diritti, primo tra tutti quello a esistere ed esprimersi, coincideva col combattere per i diritti di tanti.
Violeta del Carmen Parra Sandoval, non doveva spostarsi molto per conoscerla la povertà estrema, lei, terza di dieci figli. Insieme alla povertà però in casa c’era la musica a portata di mano, una vera fortuna, avere una chitarra nell’armadio da imbracciare ogni tanto e cominciare a mettere in fila le prime note, da autodidatta, sebbene col padre “maestro” di musica e la mamma che qualche nota la conosceva. Quello strumento musicale sarà per sempre la sua companera guitarra.
Appresso alla mamma sarta imparerà anche a girare per i banchi dei mercatini alla ricerca di lana e stoffa, memorizzerà una infinità di sfumature che poi metterà al servizio nella sua arte degli arazzi che mostreranno sempre scale cromatiche imponenti per le sue “canzoni disegnate” che arriveranno fino alle pareti del Louvre di Parigi. Ma intanto bisogna vivere giorno per giorno, strimpellando quelle sei corde in giro. Quando non ha ancora dieci anni, insieme ai suoi fratelli più piccoli, per raccogliere qualche moneta o un pezzo di pane da portare a casa, canta e suona per le strade polverose, ai mercati, davanti le botteghe e finanche con il circo itinerante.
Violeta nasce a San Carlos Chillan nel 1917 mentre il Cile si dichiara neutrale nella Prima guerra mondiale e le rivoluzioni socialiste attraversano il cuore dell’Europa fino alla Russia. Il Cile però è anche uno dei paesi più colpiti dalla crisi economica mondiale degli anni successivi, nota col nome di Grande Depressione e raccontata mirabilmente da romanzieri come John Steinbeck e alla base delle canzoni di Woody Guthrie che quella povertà l’ha vissuta sulla sua pelle fin da bambino. Non siamo ancora negli anni delle lotte per i diritti civili, portate avanti dall’avanguardia di una generazione intera, siamo negli anni in cui bisogna badare a sopravvivere e le lotte e le proteste che ci sono vengono portate avanti in solitudine. Ma Violeta non si fermerà davanti a niente quando capirà esattamente la sua missione, quello che chiamerà il suo viaje infinito nel recupero dei canti, soprattutto contadini, che sarebbero andati probabilmente perduti se non fossero stati trascritti a mano da lei, nel suo quaderno, dalla viva voce degli anziani cantori (payadores) ancora in vita, che lei è andata a cercare in ogni angolo del paese. Quell’ascolto non era solo recupero, quelle parole tramite la sua sensibilità si rinvigorivano fino a trasformarsi in urgenti e rinnovati canti di protesta, colmi dell’urgenza di essere trasmessi a tutti. E lei questa responsabilità la sentiva forte, se ne accollava il peso fino a rischiare di esserne schiacciata, come forse in parte poi accadrà.
Nicanor e Violeta
“Minuta, vestita con semplicità, senza trucco, i lunghi capelli sul viso segnato dal vaiolo, la testa china sulla chitarra, Violeta canta da sola. E la sua parola è come lei, diretta e senza fronzoli.” Adriana Langtry
È il fratello più grande Nicanor a spingerla nella ricerca di questi canti di protesta contadini e delle periferie. Nicanor non è soltanto il fratello maggiore di Violeta e colui che ne intuisce subito il talento, ma è anche uno dei più grandi poeti del Cile e negli anni sarà sempre più riconosciuto. Meriterebbe di essere maggiormente raccontata anche la sua storia per l’influenza che ha avuto sulla cultura cilena e non solo. Per primo utilizzerà il termine “antipoesia” (scriverà un Manifesto su questo) per raccontare il suo approccio innovativo che porta nei poemi il linguaggio quotidiano e rifugge da quello estremamente “colto” per usare un registro differente che include anche ironia e sarcasmo. Sarà molto apprezzato dall’allora giovane scrittore Roberto Bolaño di cui diventerà anche amico. Nicanor, nella sua esistenza ultracentenaria oltre che poeta è stato docente universitario di matematica e fisica e questo lavoro lo ha portato a viaggiare molto potendo entrare in contatto con poeti e poesia di altri paesi. Ma intanto da adolescente quando i morsi della fame si facevano sentire, si trasferì giovanissimo a Santiago del Cile, dove poi accoglierà alcuni suoi fratelli e sorelle, tra cui la ventenne Violeta, che dalla capitale spicca ulteriormente il volo. La famiglia Parra è un pozzo di talento, se è vero che svettano Nicanor e Violeta per evidenti motivi, va anche detto che Hilda, con la sua voce da mezzo soprano, (con cui Violeta poco più che bambina formerà Las Hermanas Parra) è una splendida interprete di cueca, un canto tradizionale di alcuni paesi sudamericani e poi c’è Roberto, musicista e autore di canzoni che raccontano fatti di vita quotidiana con crudezza e ironia, che sarà riconosciuto anche come autore teatrale, Nicanor stesso lo definirà il “poeta” della famiglia. Angel e Isabel, figli di Violeta saranno a loro volta apprezzati musicisti, così come Javiera (figlia di Angel) e negli anni Novanta anche Colombine Parra, figlia di Nicanor si ricaverà uno spazio come cantante di una band grunge abbastanza nota da quelle parti.
Ma torniamo dalla ventenne pispirita (argento vivo), primo soprannome dato in casa a Violeta. Ci troviamo nei sobborghi della capitale, in un bar, El Tordo Azul, un posto vicino al casello ferroviario, dove cominciava a esibirsi stabilmente il Quartetto dei Fratelli Parra, capeggiato da Violeta, insieme a Roberto, Lalo e Hilda. I più assidui ascoltatori di questi spettacoli erano proprio i ferrovieri in pausa dal lavoro. È in questo momento che Violeta conosce e poi sposa Luis Careceda, dirigente della sezione dei ferrovieri comunisti, con cui metterà al mondo Angel e Isabel. L’indole combattiva, curiosa, libertaria di Violeta insieme ai consigli del fratello Nicanor, fecero in modo che in lei venisse fuori l’urgenza di conoscere e portare alla luce tutti i canti del folclore cileno. Nicanor ha avviato una sua ricerca nella cultura cilena attraverso la poesia e i consigli a Violeta servono a farle vedere orizzonti più ampi, per indagare un patrimonio del folclore e della storia cilena che possa valorizzare ancora di più il talento della sorella, che reattiva e intraprendente come è, intuisce immediatamente le possibilità che ha di fronte.

Inizia il Viaje Infinito di Violeta
“Violeta Parra è l’incarnazione della creatività del popolo cileno. Il colmo della tragedia e il colmo della gioia, in lei gli estremi si toccano, mossi dall’energia del gusto della vita. Violeta è un’artista di sintesi. Per meglio dire, incarna il meglio della tradizione cilena, dove per tradizione si intende l’incontro tra antico e moderno. Vale per la poesia, per la musica, così come per la produzione dell’arte visuale. Se si osserva la sua opera nella vastità del suo genio creativo, se si entra in questa ottica, si ravvisa senz’altro un denominatore comune che consiste nell’universo mitico nel modo in cui il quotidiano trascende sé stesso su questo orizzonte. E quando parlo di mito mi riferisco ovviamente a un patrimonio di leggende, di tradizioni, tramandate da una generazione all’altra nel segno della continuità”
Prof Fidel Sepulveda – Direttore Dipartimento di Estetica Università del Cile
Inizia così un viaggio che la porta a girovagare in ogni angolo del Cile, alla ricerca dei canti perduti. Il rigore, la serietà e la dedizione con cui intraprende questa sfida è commovente, chi l’ha vista all’opera racconta dell’importanza che dava alle persone che incontrava per trascrivere e ascoltare quei canti, cosa che veniva resa anche visivamente, infatti molto spesso i cantori, contadini e contadine, erano su sedie o piccole poltrone e lei sempre più in basso poggiata su piccoli tavolini o direttamente a terra a trascrivere. Voleva in tutti i modi trasmettere il rispetto e il senso di quello che stava facendo. Questa esperienza avrà due risultati quasi immediati: un quaderno con una fondamentale raccolta di testi, non meno di tremila, che altrimenti sarebbero andati persi col tempo, e la consapevolezza che questo recupero non era soltanto un mero esercizio di trascrizione della memoria, ma una vitale linfa per nuove battaglie di giustizia e di libertà a fianco dei contadini e dei più poveri, questioni che per tutta la sua vita non smetteranno mai di indicare l’orizzonte. Ce ne sarebbe anche una terza non meno importante che ha a che fare con la musica, Violeta riarrangia e recupera canzoni mentre comincia a scriverne delle altre. Il suo intuito musicale nel creare nuovi arrangiamenti resta per molti anni tema di studio per tanti compositori perché lei trovava delle soluzioni armoniche innovative e complesse con una semplicità disarmante, solo con l’intuito, non conoscendo e non avendo ascoltato la musica classica o “colta”. Nel canto poi sapeva esattamente dove mettere l’accento, esaltando la forza e l’energia delle parole importanti, questo peso della parola nel suo canto segnerà un punto importante nel modo di cantare la musica folk, contrapponendosi in qualche modo alla ricerca della perfezione tecnica e formale del “bel canto”. Come si può immaginare questa esperienza diretta sul campo, cambierà il suo approccio alla musica. Fino a quel momento cantava un repertorio classico della tradizione cilena, come facevano anche tanti altri, sebbene si distinguesse per la sua voce graffiante e comunicativa. Dopo i chilometri percorsi per le strade precarie e sterrate del Cile, con addosso un bagaglio di canzoni da far rivivere, comincia a cambiare anche il suo modo di scrivere e di esibirsi. Comincia a essere chiamata alla radio, a diventare un riferimento per la conoscenza del folclore cileno e inizialmente saranno canzoni come La Jardinera, Casamiento de Negros, o il valzer Qué pena siente el alma, a farla conoscere a un pubblico un poco più vasto. Siamo negli anni Cinquanta, arrivano i primi dischi, e la sua crescita non è solo musicale ma umana, sente maggiormente l’appartenenza a quella gente povera a cui vuol dare voce, comincia a schierarsi politicamente avvicinandosi all’elite culturale del paese anche se non ne sarà mai assorbita, non ne è il tipo. Si esibisce nelle università e ha un suo spazio in radio in cui divulga tutto il patrimonio che armata di penne quaderno e registratore ha raccolto negli anni. Arrivano i primi contatti con l’Europa, viene invitata a Varsavia, in Polonia, per ritirare il premio come miglior personalità folk dell’anno al Festival della Gioventù.
Violeta il suo posto nel mondo lo conosceva bene perché se lo era guadagnato a fatica, giorno per giorno, sapeva da dove arrivava e dove stava andando, sapeva con chi stare e anche contro chi. Questa sua consapevolezza, a volte la faceva piombare nella solitudine, nonostante l’amore di tanta gente. Chi è avanguardia tende a spingersi generosamente più avanti e per questo a volte a trovarsi da sola. Violeta sapeva anche questo, tanto da non rinunciare mai all’essere parte della gente, di tutta la gente.
Tutto questo forse comincia a spiegare meglio il fatto che le sue canzoni, già al primo ascolto, lasciano percepire immediatamente che hanno un’anima, che si manifesta nel tono dolceamaro della sua voce, che verso la fine della sua vita scivolerà verso tinte più tristi, specie quando scriverà e interpreterà dei veri capolavori nel suo ultimo disco Las Ultimas Composiciones.
“Violeta è un fenomeno! Va molto oltre la musica popolare e la musica colta”
Silvio Rodriguez – cantautore cubano
Canzoni e cuore
“La Nueva Canción Chilena non si spiega senza Violeta Parra . Violeta Parra tracciò una strada con le sue composizioni in un percorso di ricerca nutrito di curiosità, che tutti noi seguimmo, a cominciare da Victor Jara e Patricio Manns. Tutto è partito da lei. È la madre della Nueva Canción Cilena”. Jorge Coulon – Inti-Illimani
Gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta saranno molti intensi per Violeta, sia dal punto di vista sentimentale che artistico. Il rapporto con Luis Carecedo finisce presto perché Violeta decide di partire in giro per il Cile per le sue ricerche. Da una nuova relazione, con il falegname Luis Arce, avrà altre due figlie, Luisa e Rosita Clara, quest’ultima morirà molto piccola e sarà un trauma per Violeta che in quel momento si trovava in Polonia, invitata a un festival. Questo lutto porterà alla fine anche di questa secondo legame. Nei chiaroscuri della sua vita, causati spesso dalla irrefrenabile ricerca della libertà di donna controcorrente, va inquadrato il suo modo di ribellarsi anche alla vita “domestica”. Nonostante l’amore per i figli, viveva come una gabbia quella “quiete” piccolo borghese che la relegava in casa e per questo era sempre pronta a seguire i suoi impulsi libertari e artistici, sebbene non si perdonerà mai la perdita di quella bambina avvenuta quando si trovava distante. A questa vicenda dedica prima Verso por la nina muerta e in seguito la canzone Rin del angelito che affronta in modo più ampio la morte in povertà di persone molto giovani, affondando nella tradizione ma variando nella forma. Sul versante artistico porta avanti come ricercatrice un lavoro enorme e proprio mentre lo svolge si rende conto di avere a che fare con un patrimonio sterminato, nonostante lei ne stia raccogliendo già una parte fondamentale. La consapevolezza di quanto lavoro c’è ancora da fare in qualche modo la porta a convincersi che negli anni a venire dovranno essere sensibilizzate e stimolate non solo le altre persone, ma anche le istituzioni per finanziare questo lavoro tanto infinito quanto necessario. Ma purtroppo su questo aspetto avrà delle cocenti delusioni negli anni seguenti che la porteranno a sentire addosso il peso della solitudine di questa impresa. A riconoscere invece questo sforzo di Violeta sarà un altro gigante della cultura cilena che collaborerà con lei nella prospettiva di costruire e mettere anche su disco i canti ritrovati. Victor Jara continuerà su questo solco che porterà alla nascita di quella corrente artistica e musicale che va sotto il nome di Nueva Canción Chilena, di cui faranno parte anche gli Inti-Illimani.
Manifiesto di Victor Jara resta una canzone simbolo in tal senso, emblematici sono alcuni versi riferiti a Violeta:
“ Aquí se encajó mi canto / como dijera Violeta / guitarra trabajadora / con olor a primavera.
Qui il mio canto trovò uno scopo / come diceva Violeta / chitarra lavoratrice / con profumo di primavera.”
Jara a più riprese, soprattutto dopo la scomparsa di Violeta, ricorderà che è stata lei a tracciare la strada, che Violeta è stata la maestra. La musica di Violeta comincia a essere riconosciuta sia per il recupero del patrimonio che per sue nuove composizioni, che assumono le radici che indaga e si rinnovano nei racconti, nelle liriche e nelle metriche. Il viaggio in Europa la convince a stabilirsi per un po’ in Francia. In questi anni, a cavallo del decennio tra Cinquanta e Sessanta, Svizzera e Francia avranno un’importanza particolare. A Parigi sarà particolarmente apprezzata per la sua opera, non soltanto musicale, tanto da finire ad esporre al Louvre, prima donna sudamericana a farlo, e il musicologo svizzero Gilbert Favrè sarà il grande amore della sua vita.
“Violeta tu sei poetessa, musicista, tessi arazzi, dipingi. Se ti dicessi di scegliere uno solo tra questi mezzi espressivi, quale sceglieresti se ne avessi a disposizione solo uno?”
“Sceglierei di restare in mezzo alla gente.”
“Rinunceresti a tutto?”
“È dalla gente che ricevo l’energia per fare tutto questo.”
Da una intervista a Violeta Parra
Una voce nuova nel Quartiere Latino
“Fu come una bomba. Anche se all’inizio non capimmo subito le sue canzoni.” Paco Ibanez – cantautore spagnolo
L’Escale è un locale nella Rue Monsieur La Prince, una strada del Quartiere Latino di Parigi. Funzionava un po’ da ritrovo soprattutto degli studenti sudamericani. Non siamo ancora in prossimità del Sessantotto e di quei cambiamenti che soprattutto in Francia vedranno i giovani capeggiare le rivolte, tuttavia l’aggregazione e la fame di arte cominciano a creare una nuova socialità e certi posti ne cominciano a raccogliere i primi fermenti. L’Escale è uno di questi, si beve birra, si suona, a volte si recitano poesie e si fa baldoria fino a tardi. Chiunque può esibirsi dal palchetto in fondo alla sala, esprimersi come meglio crede, in note o versi. Lo farà anche Violeta che in poche esibizioni zittì tutti col suo magnetismo e le la forza delle sue canzoni. Cambiò il modo di quei ragazzi di ascoltare quella musica, pretendeva silenzio e attenzione e non fu difficile averlo, quella minuta ragazza cilena cominciò a far parlare di sé a Parigi, quella baldoria divenne prima mormorìo di sottofondo, in attesa che salisse sul palco, e poi silenzio che accoglieva la sua voce e quelle storie nate nel profondo del Cile rurale e della sua anima. A Parigi Violeta portò con sé anche il quadernone con le canzoni trascritte, che poco dopo divenne anche un libro pubblicato da Franchita Gonzalez. Ma Parigi non avrebbe avuto soltanto le canzoni di Violeta. Se torniamo all’origine di questa storia dobbiamo ricordare quanto seguisse anche la mamma sarta in giro per i mercati in cerca di stoffe e lana. Violeta esporrà al Louvre di Parigi per alcuni mesi i suoi arazzi, i suoi quadri, le sue Canzoni Disegnate. Non aveva mai abbandonato anche quest’altro suo talento, tanto che gli allestimenti e gli abiti di scena dei suoi concerti, che si ispirano alla tradizione cilena, sono costantemente creati e cuciti direttamente da lei, curati in ogni dettaglio. A volte a corto di soldi, se doveva scegliere tra il cibo e le stoffe, sceglieva le stoffe. Nell’ultimo decennio della sua vita Violeta si divide tra il Cile e l’Europa, dopo il primo viaggio del 1954 a Varsavia, in cui ritira il Premio Caupolican ritorna a casa e si dedica con maggiore intensità anche all’attività di pittrice, ma è attratta dall’Europa, intuisce che lì può far conoscere meglio le sue storie e così nel 1961 lascia di nuovo il Cile e porta con sé anche i suoi figli. Un anno prima ha conosciuto e si è legata al musicista e musicologo svizzero Gilbert Favrè. Soggiorna per un po’ anche a Ginevra, dove si fa conoscere anche per essere un’attivista. In una marcia pacifista di tre giorni a piedi da Ginevra a Losanna, contro il pericolo atomico, è in prima fila con poncho e chitarra, coinvolgendo tutti quelli che conosce. A Losanna le chiesero come mai avesse in mano una bottiglia di Coca-cola…un simbolo di quello che stava combattendo. Violeta aveva riempito di vernice scura quella bottiglia che lanciò con forza contro la facciata del Consolato spagnolo, imbrattando le mura, tanto che nei giorni successivi il Consolato si spostò in un altro edificio, scegliendo il settimo piano per evitare di essere ancora bersagliato… A Parigi riesce in un’impresa storica: esporre le sue opere al Louvre. Ci resteranno per alcuni mesi nella sezione Arti Decorative. Sarà la prima donna sudamericana a esporre in quel museo. È un patrimonio immenso il suo che negli anni successivi rischierà di andare perso, quando ben dopo la sua morte in Cile ci sarà il colpo di stato di Pinochet. Molte delle sue opere saranno portate in ogni modo e velocemente fuori dal Cile, molte troveranno riparo a Cuba, per essere recuperate successivamente, quando nascerà una fondazione a suo nome, che cerca di tenere insieme tutta la memoria della sua opera.
“Le arpilleras – i suoi monumentali arazzi – costituiscono sicuramente il corpus di opere più complesso e, con le loro raffigurazioni ancestrali ispirate all’arte precolombiana, veicolano narrazioni cariche di un pathos senza tempo. Rappresentano donne, uomini o animali radunati in festose scene corali, eventi storici o momenti di vita spirituale. Spesse cuciture di lana, scampoli di macramé e trecce di tessuto lavorato a maglia diventano lo schema di base per dare tridimensionalità alle protagoniste e ai protagonisti. Le arpilleras di Parra rappresentano lo strumento per registrare urgenze al contempo personali e collettive, colte e popolari, locali e internazionali.” Stefano Mudu
La Carpa de La Reina
“Lo scopo di ogni artista è di fondere la propria arte col pubblico.” Violeta Parra
Un tendone come quello del circo nella periferia di Santiago del Cile. Una sedia fatta su misura per Violeta, che era piccolina e aveva bisogno di poggiare per bene i piedi a terra, specie quando era china sulla sua chitarra. La Carpa de la Reina era il nome di quella struttura che nei desideri di Violeta doveva diventare un grande centro culturale come ricordano i suoi familiari: “Voleva fondare un grande centro culturale. Era un progetto ambizioso. La Tenda aveva una capienza di mille persone. Lei stessa aveva curato ogni particolare, abbellendola con artigianato cileno e boliviano e portandoci degli animali. Era la sua casa. La scelta di vivere lì era anticonvenzionale, una sorta di ritorno alla terra”. Nonostante il sostegno di alcuni tra cui Victor Jara, Patricio Manns, Rolando Alarcon, Alberto Zapican e i suoi familiari naturalmente, La Carpa non diventerà mai quello che Violeta aveva immaginato e questo per lei sarà un colpo durissimo, si sentirà impotente e sola rispetto al progetto che aveva in mente, per lei quanto mai urgente e necessario. E’ di questo periodo anche la fine dell’intenso rapporto con Gilbert Favrè che partirà alla volta della Bolivia, posto in cui viaggerà per qualche tempo anche Violeta. Due cocenti delusioni che la affliggeranno profondamente e mentre da una parte sarà negativamente segnata nel suo animo dall’altra si prepara a lasciarci il suo capolavoro, il suo ultimo disco, quello in cui ci sono canzoni memorabili, liriche che la faranno annoverare anche tra le poetesse del suo paese e non solo.
“Aveva il dono della semplicità. Le sue metafore non erano astruse, impermeabili. No! Le sue metafore sbocciavano! Si donavano a chi ascoltava le sue canzoni. Sono convinto che qualsiasi poeta fra i più noti e apprezzati della nostra America Latina firmerebbero con fierezza e compiacimento molte delle poesie musicate da Violeta!” Thiago De Mello – Poeta brasiliano
“Nella mia attività letteraria ho fatto ricorso molte volte alla poesia di Violeta Parra. La leggo e l’ho citata in vari libri che ho scritto perché mi sembra straordinaria! Lei e Pablo Neruda sono i miei compagni di esilio, di emigrazione, di vita. Siamo uniti nella letteratura.” Isabel Allende
Las Ultimas Composiciones
“Quando ho ascoltato il suo ultimo disco mi sono subito innamorata di Gracias a la vida, Volver a los 17 e le altre, ho subito inciso un disco in omaggio a una grande poetessa e compositrice.” Mercedes Sosa
Las Ultimas Composiciones è l’ultimo disco di Violeta, esce nel 1966 e si apre con Gracias a la Vida. Se dovessimo stilare una piccola classifica con le canzoni più importanti e belle della storia della musica, non solo folk, Gracias a la Vida non potrebbe mai mancare. E’ talmente grande la forza e la bellezza di questo inno che molto spesso ha oscurato tutto il resto della produzione della sua autrice, scambiando, a una visione superficiale, una parte (seppur splendida) per il tutto (un patrimonio e un lascito ricchissimo). E’ una canzone incisa nel 1966, a pochi mesi dalla sua scomparsa, che anche per questo motivo ha potuto cantarla pochissime volte. Le canzoni di questo disco sono un concentrato di forza e genio, espresso con quella passione “impastata con la tristezza della vita”. Alcune parlano a Gustave Favrè, qualcuna al fratello Nicanor, moltissime ai contadini con cui ha condiviso il suo percorso di ricerca. E’ la voce della povera gente che con lei diventa eterna, è la protesta che non vorrebbe mai diventare rassegnazione nemmeno quando l’impotenza a cambiare le cose pervade il suo animo. Spesso duetta con Alberto Zapicán, al disco partecipano anche i figli Angel e Isabel. Liriche memorabili, autentiche poesie come per esempio Maldigo del alto cielo che raggiunge vette altissime, di fianco ad arrangiamenti travolgenti come Run Run se fue pa’l Norte e Pupila de águila, insieme a momenti più intimi come Volver a los 17 oppure Rin del angelito, fino a La cueca de los poetas. Quando ancora non si conosce per intero l’opera della Parra certe affermazioni possono sembrare azzardate, come per esempio quella nel trailer del film sulla sua vita “Violeta Parra Went To Heaven” in cui compare la scritta “Prima di Bob Dylan nel sud del mondo c’era Violeta Parra madre del folk latino americano”, oppure la domanda che si fa Javiera Parra a proposito della nonna:
“Mi faccio sempre due domande in ambito musicale: cosa avrebbe fatto oggi John Lennon? Cosa avrebbe fatto oggi Violeta Parra? Sono certa che avrebbero stupito con cose sempre nuove per la mente aperta che avevano. Hanno lasciato un vuoto incredibile, se uno pensa a quello che avrebbero potuto fare…”
In realtà non sono per niente affermazioni esagerate, anzi probabilmente spiegano le altezze su cui dobbiamo muoverci per comprendere a pieno, più di quello che è stato fatto fino a ora. E a ricordarcelo è anche Isabel Allende:
“Violeta non ha avuto il posto che le spettava. All’estero ha avuto più riscontri che in Cile. In Cile si parla dei grandi poeti cileni come Gabriela Mistral e Pablo Neruda…e nessuno si degna di citare Violeta Parra che è un’anima poetica di questo paese, la narratrice per eccellenza che interpreta la realtà cilena con un punto di vista originario e naturale, segnando un punto di arrivo tutt’ora insuperato.”
La solitudine di Violeta
Una settimana dopo quello di Luigi Tenco, un altro colpo di pistola alla tempia, un altro suicidio, mette fine all’esistenza di Violeta Parra, a 49 anni, all’interno della Carpa, su quella sedia su misura su cui qualche ora prima aveva cantato, per pochi, proprio la sua nuova canzone Gracias a la Vida. Siamo al 5 di febbraio del 1967, anno che vedrà la scomparsa, alcuni mesi dopo, lontano da lì, anche di Woody Guthrie, mondi diversi, percorsi diversi ma probabilmente una profonda attitudine li accomunava più di quanto possa apparire. Spesso il suicidio di Violeta è stato derubricato a suicidio per amore, a una sua debolezza. Come abbiamo provato a spiegare non è semplicemente così, Violeta conteneva un amore gigantesco verso l’umanità dolente e l’impossibilità a contenerlo spesso l’ha fatta sentire impotente e arrabbiata, e poi anche lei come Tenco qualcosa ha scritto per spiegare quel gesto, l’ha fatto in una lettera al fratello Nicanor “Non mi suicido per amore. Lo faccio per l’orgoglio che trabocca dai mediocri”, sommando tante cose che non si sono rivelate adeguate alle sue aspettative, non ultima l’impresa della Tenda che andava naufragando in solitudine. Alcuni raccontano anche di una sfiducia verso la situazione politica generale in Cile che di lì a qualche anno avrebbe portato alla dittatura di Pinochet, di cui avrebbe fatto le spese con la sua vita, tra i tanti, anche Victor Jara, torturato a morte dai militari. Altri gruppi della Nueva Canción Chilena come Inti-Illimani e Quilapayún si trovavano in tour fuori dal Cile al momento del colpo di stato e vivranno in esilio fuori dal paese per più di un decennio. Di Violeta ci restano tante cose, a partire da un’opera rivoluzionaria come spiegato bene dal cantautore uruguayano Daniel Viglietti “E’ un’opera originalissima, davvero rivoluzionaria nel suo genere. Quando parlo di una componente rivoluzionaria, non mi riferisco a testi che ripetono la parola rivoluzione, ma penso a un’altra cosa, a una creazione che di per sé conferisce un senso nuovo alla concezione del testo cantato”. Ma più di tutto ci resta la vicenda di un essere umano straordinario, che non ha mai mirato a essere popolare ma sempre a essere profondamente parte del popolo per poter “cantare la differenza”. Il poeta Pablo Neruda, qualche anno dopo la scomparsa, le dedicava una poesia, Elegía para Cantar, in cui tra le altre cose, la ricordava come “Santa di pura creta”.
Prima o poi dovremo cominciare a interrogarci se tra i tanti meriti del rock (e della sua narrazione) a trazione americana e inglese, non ci sia anche la colpa, in quanto frutto di quel sistema capitalistico e culturale, di aver oscurato troppo tutto quello che avveniva “ai confini dell’impero”, spesso in una lingua differente, spesso per voce dei più poveri, spesso con un’urgenza necessaria e una forza straordinaria, mai riconosciuta, proprio da quel nemico gigantesco che contestava. La risposta a un quesito musicale, come spesso accade non è da ricercare soltanto nella musica ma anche nella sua storia e nel rapporto con le cose del mondo. E a ricordarci tutto questo c’è anche Violeta Parra.