Due anni di prigionia. Un’accusa di tradimento e la condanna a morte da parte del governo della Nigeria, infine l’esilio negli Stati Uniti. Potremmo riassumere così la travagliata esistenza dello scrittore e drammaturgo nigeriano Wole Soyinka. Una vasta e proficua produzione ha contraddistinto il suo cammino di scrittore, di voce fuori dal coro, di intellettuale che ha prima invocato la pace durante la guerra civile nigeriana e poi ha denunciato il governo dittatoriale di Abacha. Il leone e il gioiello (1959), Gli abitanti della palude (1959), La strada (1965) sono alcune delle sue opere più famose, che ci proiettano in un’Africa inedita, corrotta, in costruzione. Una produzione teatrale che congiunge realismo a elementi magici, gesto e musica, con una forte commistione di elementi derivanti dall’antica tradizione yoruba e l’uso delle maschere tribali. Non manca l’interesse verso l’uomo, che conduce a una nuova esperienza di teatro antropocentrico con La morte e il cavaliere del re (1975) e Opera wonyosi (1980, rifacimento dell’Opera da tre soldi di Brecht).
Intenso e drammatico è Gli interpreti, il suo primo romanzo, che racconta la ripartenza della Nigeria all’indomani della conquistata indipendenza, ma con lo spettro della guerra civile che già incombe, e le storie di cinque giovani che credono nel cambiamento del proprio paese, in cui ritornano pieni di speranze, di sogni, ma che si ritroveranno ben presto a fare i conti con una crisi di valori, con una realtà in decadenza, con le delusioni personali.
Gli anni del carcere, le riflessioni di quel periodo trascorso anche in cella d’isolamento affollano le pagine di L’uomo è morto, un diario a metà tra il reportage e un’opera di narrativa. Una riflessione sulla condizione umana sottoposta alla tirannide, all’ingiustizia, al periodo di una guerra che divide la Nigeria in due.
“L’uomo muore in tutti coloro che conservano il silenzio di fronte alla tirannia.”
(da L’uomo è morto, Jaca Book, 2018)
Un’opera che rievoca da un lato l’estenuante esperienza di Antonio Gramsci con i suoi Quaderni dal carcere e dall’altro le opere-testimonianze di Primo Levi per la forte contrapposizione tra la dignità umana e il potere del regime, che pretende di ottenere un controllo assoluto, di schiacciare ogni forma di ribellione, di dissenso. Ma L’uomo è morto è anche un inno alla libertà, una riscoperta delle potenzialità umane, della sua natura per definizione lontana dalle catene, tutto intriso di un verace desiderio di giustizia. Il concetto di libertà si estende a tutti i campi, senza dimenticare quello letterario, che rimane una spia accesa, una luce alla fine del tunnel, racchiusa nelle forme di una penna rubata. Un banale furto compiuto dall’autore dalla forte valenza simbolica, che significa evasione, speranza, voglia di continuare e ricominciare proprio grazie alla scrittura.
Nel 1986 Soyinka diviene il primo autore africano a vincere il Premio Nobel per la letteratura. E il pensiero va a un altro gigante della cultura africana, premio Nobel per la pace nel 1993, il presidente Nelson Mandela. Anche lui in carcere per ben ventisette anni, paladino dei diritti umani, con un primato simbolico: essere diventato il primo presidente di colore del Sudafrica. Entrambi hanno condiviso l’impegno sociale e politico, hanno invocato la parità di diritti, hanno combattuto battaglie comuni per un mondo migliore, più giusto.
“Che cosa resterà di te, Mandela?” resta uno dei versi più memorabili dello scrittore nigeriano. Soyinka ha infatti dedicato a Mandela il suo discorso alla cerimonia del premio Nobel, oltre alla raccolta di poesie Mandela’s Earth and Other Poems. Soyinka, negli ultimi anni, ha continuato le sue battaglie, il suo impegno non è mai venuto meno, nemmeno quando Donald Trump ha vinto le elezioni nel 2017. In quell’occasione Soyinka, che si è espresso sempre con parole di aspro biasimo e dissenso nei confronti del magnate americano, ha affermato di aver strappato il suo permesso di soggiorno americano, la “green card”, un gesto forte e simbolico, già minacciato a novembre, che non è passato inosservato alla stampa. In un’intervista ha infatti dichiarato che “Trump ha eretto muri non solo nelle menti degli americani, ma in tutto il mondo”.
Soyinka tornerà in Italia in occasione di Insieme, il grande festival letterario che riunirà grandi personalità del mondo della cultura a Roma. Giovedì 1 ottobre allo Stadio Palatino, dopo lo spettacolo teatrale tratto da “Ode laica per Chibok e Leah”, il premio Nobel nigeriano dialogherà con Moni Ovadia sul tema “Fede laica e laicità nella fede”.