Qualche giorno fa è morto il musicista e compositore libanese Ziad Rahbani. Aveva 69 anni e al suo funerale c’era una gran folla, perché per il Libano il suo passaggio sulla terra è stato un’ispirazione. Ziad era figlio d’arte: il padre era il compositore Assi Rahabani, la madre la grande stella della musica Fairuz, che a novant’anni ha avuto la malasorte di vedere morire il figlio. Per lei, Ziad aveva composto e arrangiato canzoni, come Le Beirut, canto sulla guerra civile le cui parole sono estratte dai versi del poeta Joseph Harb, arrangiamento ripreso in Italia da De André in Caro Amore.

Ziad Rahbani aveva cominciato a fare musica da giovanissimo per una specie di predestinazione: nascere in una famiglia di musicisti non era stato un limite ma uno stimolo. Gli piaceva contaminare i suoni, ma cercava un’identità sonora libanese. “Ammiro la musica di Charlie Parker e Gillespie, ma la mia musica ⌈il mio jazz⌉ non è occidentale, è libanese” – aveva detto. Era un ribelle spirito libero: ateo, comunista, Rahbani era stato battezzato cristiano, le esperienze di vita lo avevano però allontanato dalla religione. Negli anni Settanta era rimasto scosso e lesionato nel cuore dal massacro di Tell al-Za’tar – quando i miliziani cristiani assediarono un campo di rifugiati palestinesi ammazzandone migliaia. Da quel momento Rahbani lasciò la parte orientale di Beirut e si trasferì a Ovest, nella città mista.
La musica di Rahbani non poteva che seguire un percorso di mescolanza e resistenza. Come musicista è riuscito a fondere suoni, anime, contrasti: Hodou’ Nisbi – “calma relativa” – è uno dei suoi album più interessanti. Ad ascoltarlo oggi, a quarant’anni dalla sua uscita (circa 1985), il suono non è affatto invecchiato: c’è qualcosa di contemporaneo che parla ancora ai nostri cuori sbranati. Il disco si apre con Bala Wala Chi, una ballata al piano che è un canto all’amore senza nulla – “non ci sono soldi in questo amore, non ci sono terre, o trucchi” – inno all’essenzialità e purezza del ritrovarsi in due sotto un albero all’ombra. Qui la voce di Rahbani è molto poetica.
Ma Hodou’ Nisbi è un disco che contiene moltitudini. In Yalla Kichou Barra, Ziad Rahbani fa il verso alla canzone francese e a Serge Gainsbourg, e del resto sia lui che il cantautore francese sono stati provocatori, hanno usato il linguaggio della musica per farsi agitatori. Vi sono poi alcune di quelle connessioni arabo mediterranee che sono entrate nella musica di gruppi recenti come i Nu Genea, pezzi dalle sonorità chiaroveggenti (Ma Tfel, Khalas), intrusioni di fiati, voci, funk, musica brasiliana. È in questi frammenti sonori che cogliamo l’originalità di Ziad Rahbani e la sua eredità continuerà a suonare nelle future registrazioni o in un canto di labbra sovversive.