Tutte le foto sono di Alise Blandini
Tornare al Teatro degli Arcimboldi di Milano è un bel colpo al cuore. Perché pur avendo fatto qualche concerto post-pandemia, la mancanza è stata troppo grande per potercisi riabituare in fretta. L’occasione, poi, è di quelle davvero speciali: un nuovo tour dei Kings of Convenience.
La venue è gremita in entrambi gli show della giornata, il primo alle 13, il secondo alle 21. Una modalità che avrebbe dovuto garantire la sostenibilità del concerto nell’ottica di una capienza dimezzata, ma che ha trovato degna risposta del pubblico anche a pieno regime. D’altronde per le due star dell’indie pop suonare nel nostro Paese è come giocare in casa, da quel fatidico incontro a Bergen con Davide Bertolini, produttore e bassista che ha portato la band sempre più vicina all’Italia. Le loro prime parole sono calde, come l’abbraccio di una persona amata che fa ritorno dopo tanto peregrinare: «È bello essere di nuovo qua. Per alcuni di voi questo potrebbe essere il primo concerto dopo molto tempo. Faremo in modo che la serata valga l’attesa.»
C’è una naturalezza quasi ultraterrena nel loro modo di introdurre la platea alla propria musica. Basta una manciata di secondi nel loro microcosmo armonico per sentirsi subito bene, cullati dalle note di “Comb My Hair”, dal nuovo album “Peace or Love”. La verità è che durante la pandemia e i suoi lockdown alcuni di noi non hanno rallentato, non si sono fermati. Eravamo come una pallina da tennis che, invece di solcare il prato verde di Wimbledon, ha iniziato a rimbalzare all’impazzata da una parete all’altra di una claustrofobica stanza, sempre più piccola, giorno dopo giorno. L’idea di essere fermi era solo un’illusione. L’ho capito proprio lì, seduto sulla mia comoda poltrona del teatro della Bicocca. Mentre Erlend Øye e Eirik Glambæk Bøe iniziavano il loro piccolo sortilegio a quattro mani, mi accorgevo che quel respiro che credevo regolare, in realtà era affannoso. Quel battito che credevo rilassato, era accelerato. I muscoli che credevo distesi, erano intorpiditi. Ma davanti al loro palco è davvero possibile rallentare, respirare e ritrovarsi in quella sofisticata musica indie-folk che, in questi vent’anni, è rimasta sempre fedele a se stessa, senza innovarsi ma senza neanche invecchiare di un solo giorno.
«La nostra è una band dalle lunghissime accordature. A volte passiamo più tempo ad accordare le nostre chitarre che a suonarle», afferma Erlend Øye suscitando l’ilarità generale. A rincarare la dose è Eirik Glambæk Bøe: «Scusate, dobbiamo prenderci cura delle nostre chitarre. Credo sia colpa della pioggia, sono molto sensibili. Forse sono persino più sensibili di noi.»
Una delle scene più memorabili ed emblematiche vede proprio Erlend avvicinarsi a Eirik e mettere mano alla paletta della sua chitarra, sfiorando le meccaniche per far suonare lo strumento nel modo migliore possibile. Come se tutte le corde collaborassero ad un unico suono impossibile da scindere, in una responsabilità totalmente condivisa. In realtà questo costante e infinito rito passa dall’essere un principio di disturbo ossessivo compulsivo, al manifestarsi come una romantica dimostrazione di ciò che sono i Kings of Convenience. Ci sono un insieme di cura, precisione, gusto e sensibilità. Il principio olistico per cui l’unione dei due artisti è molto più della loro semplice somma. Come nei bellissimi versi del brano “24-25”: «What we built is bigger / Than the sum of two».
La meraviglia si rinnova quando la formazione raddoppia, accogliendo sul palco il già citato Davide Bertolini al contrabbasso e Tobias Hett al violino. Parte così, con “Stay Out of Trouble”, la seconda sezione del concerto, quella in cui trovano spazio anche il lato più imprevedibile, eclettico e scomposto dei Kings of Convenience. Dove Erlend Øye può prendersi la libertà di ballare, ordinare al pubblico dell’Arcimboldi di alzarsi e insegnare a tutti i presenti come diventare la batteria collettiva del gruppo, tra schiocchi di dita e battimani.
I brani imprescindibili del repertorio, come “Boat Behind”, “Misread” e “I’d Rather Dance With You” rispondono all’appello, chiudendo in grande stile un appuntamento che ha il sapore dolceamaro di una riconquista dopo una lunga e sofferta privazione. Il sapore del ritorno a casa dei Kings of Convenience.