La rivoluzione di Sister Rosetta Tharpe

Questa è una storia profondamente americana. Questa è una storia profondamente afroamericana. Questa è una storia che raccontiamo a partire dall’Inghilterra del nord. Sebbene sia una storia di musica, sebbene siamo a metà degli anni Sessanta, pare strano a dirsi, ma non siamo né a Liverpool, né a Londra. Questa storia tocca il suo apice in una stazione ormai in disuso nei pressi di Manchester, nella Wilbraham Road Rail Station di Chorltonville, dove i vecchi binari dividono le banchine trasformate da una parte in un palco e dall’altra in gradinate per un pubblico accorso da tutto il regno. Tra i tanti che affollavano quella gradinata c’erano anche giovani musicisti cresciuti a ritmo di blues, specie quello nero, elettrificato. E non si tratta di nomi di poco conto, ma di alcuni tra quelli che a breve avrebbero guidato la “British invasion” e poi messo le pietre angolari della storia del rock del Novecento. Ad aspettare l’esibizione di Sister Rosetta Tharpe, c’erano, tra gli altri, Eric Clapton, Jeff Beck e gli Stones Keith Richards e Brian Jones, pronti ad assistere a quell’atteso concerto, filmato anche per uno speciale di Granada Tv, in quanto parte del festival Blues and Gospel Train. È il 1964, Rosetta incanta con la sua chitarra elettrica, la sua grandezza artistica è lì, tra quei binari sotto gli occhi di tutti, anche di quelli dietro gli schermi televisivi. In quegli anni la sua carriera è agli sgoccioli, anche se non si direbbe a vederla imbracciare la sua chitarra in distorsione. E allora per capirne la forza artistica e umana, e riposizionarla ai vertici della storia del rock è importante tornare qualche decennio indietro, e riscrivere le origini del rock’n’roll non solo come una questione maschile.

Stazione di Manchester. Foto: ITV/REX/Shutterstock (697210ba)

Il blues e il cotone

Lo scenario manco a dirsi è quello dei campi di cotone, delle chiese, piccole e grandi, dei locali impregnati di alcol. Erano soprattutto questi i luoghi in cui si spargeva la musica degli afroamericani, divisa tra quella del signore e quella del diavolo. In fondo due facce della stessa medaglia. All’inizio del secolo scorso la musica nera è un fiume che si alimenta di tanti ruscelli differenti, che sgorgano in silenzio e strada facendo, fino a intrecciarsi. Il blues rurale, il jazz delle città, lo swing, inizialmente sono intuizioni, storie, scelte di uomini e donne che si fanno affascinare dal mondo delle note, da quello dei canti religiosi, di fatica o liberatori. Certi luoghi poi sembrano rivelare un destino già nel proprio nome, come è il caso di Cotton Plant, in Arkansas, terra di nascita della protagonista della nostra storia. Anche lì le corde pizzicate sulla chitarra e piedi battuti a terra, rusuonano sulle schiene chine dei raccoglitori di cotone, tra quei campi popolati da uomini e donne a cui quei canti, stimolano le labbra a muoversi seguendo un ritmo che pare alleviare la fatica, salendo al cielo come la preghiera di esistenze segnate. Quella musica sa di magia e di leggenda, di religioso e di laico, di realtà e di voglia di riscatto, di pacificazione e di ribellione.

Il cotone che volteggia nell’aria e nelle vite di schiere di afroamericani, si attacca sulla pelle con la stessa traiettoria di quella musica potente, a metà tra la preghiera e la bestemmia. È una musica che diventa sempre più importante da andare ben oltre i campi e le chiese. Mentre Robert Johnson, secondo la leggenda, veniva a patti col diavolo in un polveroso incrocio di strade di campagna, Rosetta Nubin cominciava a cantare le canzoni del Signore in una chiesetta sulle ginocchia della mamma. Rosetta di talento ne ha, e pure tanto, e sarà chiaro a tutti nel momento esatto in cui comincerà a imbracciare la sua chitarra, tirando fuori suoni e vibrazioni che segneranno profondamente la musica del Novecento, molto più di quanto le è stato riconosciuto. Rosetta, anzi Sister Rosetta, non è soltanto la somma della sua voce e della sua chitarra. Rosetta ha una personalità straordinaria, che lotta contro le convenzioni del suo tempo per farsi spazio in tutta la sua interezza, artistica e umana. Ma andiamo in ordine e cerchiamo di capire soprattutto due cose: perché è cosi importante per la storia della musica, e perché questo merito non le è stato ancora pienamente riconosciuto.

La vita e la chitarra

Ricostruire un profilo cronologicamente lineare non aiuterebbe a capire la potenza della sua figura, perché qui non è da tenere in conto solo il lato artistico, ma l’insieme di una donna che per le scelte musicali e personali, e quindi per la sua stessa esistenza, minava alla base la società americana dell’epoca e di conseguenza con riflessi anche su quella musicale. Gli insegnamenti della mamma, Katie Bell Nubin, la avviano alla musica, al gospel, che rimbombava sempre più forte nelle chiese. La piccola è un prodigio, già a soli quattro anni comincia a dimostrarlo in pubblico, e col tempo migliora sempre di più; non è difficile immaginare che altri palcoscenici le si apriranno presto davanti.

Ancora giovanissima, divisa tra esibizioni in chiesa e live club, sperimenterà i primi mugugni in quell’ambiente religioso che l’aveva vista nascere e crescere. Anche i testi delle sue canzoni verranno passati al setaccio per la commistione tra sacro e profano: ma Rosetta vuol fare la musicista ed essere una donna libera, veri punti fissi sul suo orizzonte. Non è certo facile affermarsi, ma i primi risultati non tardano ad arrivare. Al Cotton Club Revue di New York, nel 1938, a soli ventitré anni lancia il suo primo brano di successo: un rivoluzionario gospel (Rock Me) che nel titolo già contiene quella parola, rock (ancora sconosciuta nell’accezione musicale) che contribuirà a far diventare un genere musicale di lì a qualche anno.

Ma il 1938 non è importante solo per quella esibizione, ci sono almeno altri due aspetti decisivi: l’uscita del suo primo lavoro in studio per la Decca Records, in cui, insieme alle solide basi gospel comincia a far capolino anche la sua passione per il blues e per il jazz, e il trasferimento a New York con la madre dopo aver avuto la forza di separarsi dal predicatore Thomas Thorpe (a cui era andata in moglie quattro anni prima, nel 1934, salvo poi scoprirsi come un vero e proprio tiranno). Di quel matrimonio a Rosetta non resta nulla, se non il ricordo delle sofferenze e un errore ortografico all’anagrafe che le consegna il cognome Tharpe invece di Thorpe, che lei decide di conservare, forse come ultimo sgarbo all’ex marito. Ha la comprensione della mamma, anche lei reduce in gioventù dalla separazione dal padre (anch’egli cantante) di Rosetta, Willis Atkins. Nonostante tutto trovarono il coraggio di tirare per la propria strada, in quell’America degli anni Trenta, non certo facile per due donne come loro.

“Rosetta decise di uscire dalla strada che era stata tracciata per lei dal matrimonio, dalla chiesa, e dalle convenzioni sociali. Prese la drastica decisione di lasciare la chiesa per una carriera laica.” – Shout, sister, shout!, Gayle Wald.

Le canzoni di Rosetta diventano sempre più solide e durante gli anni della seconda guerra mondiale continua a suonare preparandosi a un successo ancora più grande, destinato ad arricchire di più la sua musica. Rosetta comincia a sfoderare anche le sue capacità di compositrice, e a sfoggiare virtuosismi imbracciando la chitarra, compagna da cui non si separerà più, rendendo quello strumento e quel suono il suo marchio di fabbrica, tanto da influenzare lo stile dei maggiori chitarristi rock degli anni a venire, arrivando prima di chiunque altro a distorcere i suoni delle sei corde.

“D’improvviso ti rendi conto che stai ascoltando i primi assoli di chitarra ‘moderna’. Non solo di blues – di cui ci sono ovviamente buoni esempi – ma anche assoli che ricordano quelli suonati da Eric Clapton o Jimmy Page per stregare il loro pubblico.” George Brant, autore del musical “Marie e Rosetta”

“Chuck Berry ha preso in prestito il suo stile e Little Richard ha detto che è lei la responsabile della sua carriera. Elvis Presley la citava fra le sue influenze e perfino Jimi Hendrix una volta ha detto che voleva solo suonare come Rosetta” George Brant

Strange Things Happening Every Day, è il singolo inciso col pianista Sammy Price che porta per la prima volta un brano gospel in classifica, nella top ten di Billboard, ed è in lizza, con qualche altro brano, comunque successivo cronologicamente, per il titolo di primo pezzo rock’n’roll.

Più forte del razzismo

Ma l’America nonostante il successo, come detto, non è tutta rose e fiori. Vige più che mai la segregazione razziale e i neri, quando non sono schiavi, hanno comunque pesanti restrizioni rispetto a spazi e luoghi da poter frequentare, e non fanno eccezione neanche quelli famosi, seppur artisti, sportivi o politici. E allora Rosetta, che voleva solo suonare ed essere libera, cosa fa? Allestisce, per spostarsi, un tour bus, il primo della storia del rock, in cui poter comodamente cenare e dormire, dal momento, appunto, che l’accesso a ristoranti e alberghi era limitato dalle leggi razziste. Rosetta condivide questa casa mobile e il tour con la cantante Marie Knight, conosciuta a metà degli anni Quaranta. Un sodalizio artistico da cui nascerà un brano come Up Above My Head e un incontro umano e sentimentale che farà rumore ma senza scalfire tuttavia la serenità e la determinazione delle due donne afroamericane fiere del loro incontro. Ma Rosetta del resto fiera lo è sempre stata anche nel difendersi da attacchi neanche tanto velatamente maschilisti: famosa la sua risposta a chi le diceva di suonare proprio come un uomo: “Nessun uomo può suonare come me. Suono meglio di un uomo!”.

Il suo successo, nonostante i tanti ostacoli, è davvero impetuoso, ricco anche di prime volte; è stata infatti anche la prima cantante gospel a esibirsi alla Carnegie Hall e all’Apollo Theatre di Harlem, ma raggiunge l’apice nel 1951, quando, finito il suo legame con Marie Knight, si sposa col suo manager Russell Morrison, al culmine della sua popolarità, tanto che circa venticinque mila persone pagano un biglietto e riempiono lo stadio di Washington DC per poter assistere a quel matrimonio e sentirla cantare dopo la celebrazione.

Sister Rosetta Tharpe e Russell Morrison

La madrina del rock’n’roll

Questa ricerca dell’interezza è sempre stato motivo di determinazione e affermazione, fregandosene di regole e convenzioni. L’estrema libertà di scelte la portò anche a farsi accompagnare sul palco da una band di bianchi. Il coraggio avuto nel vivere la propria vita come meglio credesse non deve allontanarci dalle domande che ci siamo posti all’inizio rispetto alla musica. Perché è cosi importante per la storia della musica? Rosetta ha mescolato generi musicali tirando fuori germogli di futuro. A queste contaminazioni ha aggiunto un suono di chitarra elettrica, tra ricami, assoli e distorsioni che hanno creato l’impasto su cui i chitarristi, per lo più uomini e neri, avrebbero messo le basi del rock’n’roll. A volte ha fatto anche di più, come quando in Georgia, al Macon City Auditorium, fece aprire un proprio concerto al quattordicenne Little Richard. Sono stati gli stessi “padri fondatori” del rock’n’roll a riconoscere direttamente la funzione avanguardista della Tharpe. Un inventore di certi riff di chitarra come Chuck Berry afferma senza mezzi termini che la sua carriera è stata “una lunga imitazione di Sister Rosetta Tharpe“. Nel 1992 un’icona come Johnny Cash la annovera tra i suoi idoli durante il discorso di ringraziamento per l’ingresso nella Rock And Roll Hall of Fame.

È evidente che direttamente o indirettamente l’ex bambina prodigio ha influenzato tutta quella generazione, ma allora perché si fa così tanta a fatica a riconoscerle quello che le spetta? Azzardiamo qualche ipotesi. La massima diffusione del rock’n’roll a livello planetario, sempre a partire dagli Stati Uniti, arriva nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando la carriera della Tharpe è nella sua fase discendente, ma c’è di più. Il rock, inteso come attitudine, come fatto sociale, certamente contiene degli elementi di ribellione, di impulsi anti-sistema; ma a livello più strettamente musicale resta comunque un frutto del sistema capitalista (americano) in piena espansione, soprattutto in quegli anni, con l’esplosione letterale anche dei media come radio e tv e del cinema, che sceglie i personaggi su cui puntare, come è il caso lampante di Elvis. Musicalmente viene “sbiancato” il rhythm & blues, spingendo terminologicamente più su rock’n’roll, provando a mettere in secondo piano i chitarristi neri. Operazione controversa e non del tutto riuscita dal momento che quei rockers neri resteranno gli idoli indiscussi dei giovani chitarristi bianchi, soprattutto inglesi, che ne studieranno a memoria i movimenti delle dita sulla chitarra e i passi sul palco. E dunque anche per questo Rosetta resterà nascosta nelle pieghe di una storia che ha grandemente contribuito a costruire. A parziale risarcimento e, con molto ritardo, solo nel 2018 arriverà la sua ammissione alla Rock And Roll Hall Fame accompagnata dalle parole di ingresso, scolpite sul sito: “Senza Sister Rosetta Tharpe, il rock and roll sarebbe una musica diversa. Lei è la madre fondatrice che ha dato l’idea ai padri fondatori del rock.”

Ma spesso i viaggi passano per le stazioni e noi abbiamo ancora quei giovani chitarristi inglesi, presto leggenda, ad aspettare Rosetta in una vecchia stazione intorno Manchester. Nel 1964 Rosetta è alle battute conclusive della sua vicenda musicale, ma quella performance inglese, in diretta televisiva, nel tour europeo capeggiato da Maddy Waters, non lascia dubbi su chi sia la madrina del rock’n’roll. Esibizione per cui Bob Dylan dirà: “Sono sicuro che ci sono un sacco di ragazzi inglesi che hanno preso in mano una chitarra elettrica dopo averla vista”.

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