The Mountain Goats – Transcendental Youth

Voto: 8/10

John Darnielle è uno che a guardarlo potrebbe tranquillamente essere scambiato per un normalissimo vicino di casa o per un professore di qualche liceo californiano, occhiali e fila a lato classica con uno strano sguardo nerd. Eppure non è niente di tutto ciò, neanche alla lontana: è uno che ha sulle spalle ben dieci album con i Mountain Goats, gruppo fondato da lui e che ha cambiato formazione svariate volte (inclusa una collaborazione con Annie Clark). Tutto partì negli anni ’90 quando gli MG producevano registrazioni su nastri magnetici e vinili da 7’’ per sparute etichette discografiche minori.

La svolta arrivò con il primo vero album, Tallahassee, prodotto per la 4AD. Un lavoro senza dubbio onesto e animato da ottime intenzioni dove si intravedeva un pizzico di professionalità in più rispetto ai lavori precedenti. Una prova comunque discreta senza troppe pretese che però ebbe il merito di sparare il buon Darnielle in alto fino al decimo album e cioè precisamente questo album, il quale merita una certa attenzione.

Entrando nel merito, Transcendental Youth è uno di quegli album che riflette con un certo distacco nostalgico sulla passata adolescenza, analizzata però con l’intento di recuperarla e “trascenderla” –  come suggerisce il titolo – e cioè innalzarla e cristallizzarla in un modo più ampio e concettuale, una sorta di guida su come viverla senza perderne l’irruenza. “Let people call you crazy for the choices that you make / climb limits past the limits / jump in front of trains all day” recita infatti la open-track (Amy – Aka spent Gladiator 1) ben spingendoci all’ascolto del resto dell’opera che prosegue sul tema.

In Harlem Roulette John infatti ci menziona la storia di Frankie Lymon, giunto all’apice della sua carriera ad appena tredici anni, già marito tre volte all’età di venticinque anni in una folle corsa per non sprecare la propria energica giovinezza, corsa che gli risulterà incontrollabile e fatale (morirà difatti di overdose):  un monito e parallelamente un’esortazione.  Il tutto è, in realtà, facilmente interpretabile in svariati modi ma di certo l’accento che viene posto sul “bruciarsi” precocemente nell’assecondare un’energia che dovrebbe essere solo positiva è predominante (la Amy della open-track già citata è difatti un riferimento alla Winehouse).

Da un punto di vista squisitamente musicale ci troviamo di fronte ad un prodotto estremamente variegato: nell’album trovano spazio difatti un pianoforte evocativo molto pronunciato, fiati che ricordano – se mi si concede l’azzardo – sprizzi acidi di barrettiana memoria, ballads che strizzano l’occhio vagamente al glam (mi riferisco specialmente a The Diaz Brothers), doppie voci evanescenti e suggestive in Until I Am Whole e una chitarra ritmica, piacevole e onnipresente, che trova il suo apice in Spent Gladiator 2.

Non si può semplicemente però concluderla qui, anche perché la decima opera di Darnielle (affiancato per questo lavoro da Matthew E. White) non è insensibile ad un certo fascino esoterico, che si rincorre spesso, forse per imprimere un taglio maggiormente adolescenziale o forse per riflettere su un certo tipo di immaginario. Chissà. Rimane però il fatto che In Memory of Satan è un pezzo fatto di immagini cristologiche con molti richiami alla solitudine e alla descrizione della stessa. Sul finale del video di Cry for Judas (il singolo) vediamo il protagonista (ragazzino sui sedici) stringere in mano un libro intitolato “Devil”: egli guarda la propria ragazza fare il test di gravidanza e poco prima aveva acceso delle candele ad un altarino in cui c’era la testa di una capra.

Satana, capra, capro espiatorio, senso di colpa immotivato tipico dell’adolescenza e solitudine, il tutto tenuto insieme da una spirale che gira attorno a questi argomenti in una buona mescolanza che trasforma la “giovinezza trascendentale” in un vero e proprio concept. Forse mi sono spinto troppo in là nel volerci vedere una lettura di questo tipo, ma le fascinazioni che rimanda sono senza alcun dubbio incentrate su questi temi, trattati con un’umiltà degna di nota.

Tra le pieghe della colpa, dell’adolescenza bruciata e della solitudine, la speranza si intravede proprio nel mezzo con White Cedar – il pezzo più intimista dell’intera opera – che ci dice testualmente: “I don’t have to be afraid / I don’t wanna be afraid / And you can’t tell me what my spirit tells me isn’t true, can you?” Darnielle ci ha confezionato un disco che non solo suona bene, ma che ci vuole portare un insegnamento che non è ne banale ne pretenzioso, sincero e per nulla scontato attraverso testi di una bellezza rara.

P.S.: Grazie John, a presto spero.

Tracklist:

  1. Amy Aka Spent Gladiator 1
  2. Lakeside View Apartments Suite
  3. Cry For Judas
  4. Harlem Roulette
  5. White Cedar
  6. Until I Am Whole
  7. Night Light
  8. The Diaz Brothers
  9. Counterfeit Florida Plates
  10. In Memory Of Satan
  11. Spent Gladiator 2
  12. Transcendental Youth
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