La Chiesa, le dittature sudamericane, e i poeti dissidenti

La recente scomparsa di Jorge Videla ci fa tornare alla memoria la violenza delle dittature sudamericane e il dramma dei desaparecidos, e pure il famoso documento rinvenuto nell’archivio della Conferenza episcopale (redatto dal Vaticano dopo un pranzo col dittatore argentino) che conferma la complicità e il silenzio di una Chiesa che sapeva tutto, e si attivava per non far trapelare notizie in accordo con la dittatura argentina. Nelle confessioni dello scorso agosto Videla conferma le connivenze della Chiesa cattolica, che offrì i suoi ”buoni uffici” per evitare che si sapesse. È ovvio tentare una riflessione sul perchè la Chiesa cattolica abbia sostenuto così fortemente le dittature di destra sudamericane, arrivando addirittura al peccato (per dirla con un eufemismo caro al cattolicesimo) di mantenere segrete sparizioni e uccisioni dei dissidenti di regime. Una delle preoccupazioni del cattolicesimo più pregnanti era infatti quella di contenere il ”pericolo comunista” ateo, d’altro canto queste dittature si proponevano – pur con tutta la loro brutalità – come ”cattoliche”: bisognava insomma scegliere tra il volto dell’ateismo socialista e quello del clericalismo di destra. Subito dopo il colpo di stato di Videla nel 1976 in Argentina la dittatura militare avviò un processo di neoliberismo economico del paese per allontanare la ”minaccia comunista”: parallelamente vennero allontanati, torturati e uccisi tutti i dissidenti al progetto.

Del resto è emblematico l’incontro tra il santo beato Giovanni Paolo II e il dittatore cileno Augusto Pinochet. Emblematica la foto che li ritrae insieme nel viaggio del Papa in Cile del 1987, ed emblematica è la benedizione che Wojtyla rivolse al dittatore cileno e alla sua famiglia.

Ma andiamo ai numeri dei desaparecidos. Tra il 1976 e il 1983 in Argentina (gli anni di Videla) sono scomparsi oltre 30.000 dissidenti, contro i 38.000 cileni (in un arco di anni però più lungo). Stesso dramma accaduto in Uruguay e Brasile.

Tutto quello che ho scritto è una lettera d’amore e un saluto alla mia generazione, a quelli che hanno scelto la militanza e la lotta e che hanno dato quel poco che avevano, la giovinezza, a una causa che per noi era la più generosa del mondo. L’intera America Latina è seminata con le ossa di questi giovani dimenticati. (Roberto Bolaño)

Stella distante è un romanzo breve di Roberto Bolaño, scrittore cileno e altrettanto girovago, dove si affronta vis-à-vis (coi toni bolaniani del realismo magico letterario) il dramma cileno dei desaparecidos, attraverso la figura del poeta torturatore Carlos Wieder. Un mix di letteratura e storia in un clima di follia collettiva che viene fuori da ogni pagina dello scrittore cileno: ”La pazzia non era un caso raro in quei giorni”. Del resto gli intrecci con la letteratura delle dittature latinoamericane sono molteplici, basti pensare alla diatriba intorno alla scomparsa del poeta cileno Pablo Neruda: ucciso o no dal generale Augusto Pinochet?

Quando il regime cerca di tappare le bocche a qualcuno una delle prime voci a cui si rivolge è quella dei poeti.

Guardatevi in giro, c’è una sola forma di pericolo per voi qui: la poesia! (Pablo Neruda)

 

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