Non c’è niente di Neet

Per fare parte della Neet generation non serve essere scrittori, artisti o decadenti, anche se la forte assonanza con Beat sembra richiederlo, basta non lavorare, non studiare e non cercare lavoro. In poche parole inserirsi in quella categoria che ha rinunciato a qualsiasi aspettativa senza dirlo a nessuno. Era il 1999 quando, per la prima volta, il termine di Not (engaged) in Education, Employment or Training, con il suo acronimo, faceva apparizione nell’opinione pubblica, sintomo di un problema già presente prima dell’esplosione dei subprime e della tempesta ormonale dei giovani di oggi. Quattordici anni dopo, ormai adolescente, da termine specialistico è entrato nel linguaggio comune, italianizzato in né-né, che nulla ha a che fare con il bobò parigino, bohémien-bourgeois che fa strage di cuori alla Sorbona, o con il dadà di inizio secolo. Non ha una caratterizzazione poetica né di tipo formale, esiste e basta, come un fantasma che si aggira, questa volta per davvero, sull’occidente. Il neet è un ragazzo fra i 15 e i 28 anni, senza un iter formativo fisso, può aver abbandonato gli studi alle medie come essere laureato, non ha una fascia di reddito famigliare particolarmente alta o bassa, perché ai due estremi li chiameremmo poveri o figli di papà, ad avvicinarli è il solo sentimento di impotenza e di essere superati dalle costanti, in cui pigrizia e disperazione non rientrano più. Non è una questione di qualità, anche se Io sto bene dei CCCP sembra aggiungere una descrizione più poetica al fenomeno, a unire insieme così tante disparità è il non sapere dove stare:

Io sto male io sto male, io non so io non so, come stare dove stare, non studio non lavoro non guardo la TV, non vado al cinema non faccio sport, io sto bene io sto male io non so cosa fare non ho arte non ho parte

 

Si stima che in Italia a questa categoria appartenga ormai il 25% della popolazione tra i 15 e 28 anni, con un aumento esponenziale determinato dalla disoccupazione e dalla crisi economica ma, guardandoci bene, il contesto risulta più profondo. La gioventù, nella sua essenza, non può accettare una situazione che non la soddisfa e alla lunga si stanca e cerca una soluzione. Alla pigrizia corrisponde la noia, alla disperazione la rabbia, in entrambi i casi una risposta sarebbe naturale, ma non abbiamo assistito a un fenomeno di emigrazione di massa né tantomeno di protesta. Questi Neet non esistono nell’opinione pubblica, non cambiano gli esiti del voto, non producono né consumano quanto dovrebbero, non se ne vanno ma è come se non restassero. Sono giovani, appunto, fantasma, comparse di una coltre di persone in fila per il casting a un reality show. Inevitabile che il contesto sia più culturale che sociale, se è possibile separare questi due aspetti dalla vita di un uomo. Il Neet non dispera né nutre speranza, si accontenta di risposte confezionate, i suoi sogni sono stati traditi e questo lo ha reso immobile come il lavoro che non c’è, come l’impossibilità di crearsi un’indipendenza. Se i giovani di trent’anni fa potevano sognare, quelli di oggi hanno smesso per non farsi deludere. La possibilità di fallimento supera l’ebbrezza della scoperta.

Dati del costo dei Neet dal 2008, fonte Eurostat

Uno su quattro è Neet senza, probabilmente, rendersene conto. Il fenomeno non è solo italiano, altri paesi come la Gran Bretagna, il Giappone e la Spagna sono stati contagiati da questa apocalittica presenza di non lavoratori non studenti non morti. Ma se, in quelle zone, qualcosa è successo e questi Neet hanno espresso tutta la loro rabbia, si ripensi alle rivolte studentesche e di disoccupati dell’inverno scorso, in Italia il fenomeno ancora non produce nulla. Ed è la sensazione peggiore, quella della rabbia lasciata fermentare, e la rabbia, quella giovanile, rasenta spesso l’apatia prima di esplodere. I Neet non esistono, sono abbandonati dal troppo amore genitoriale, dagli slogan giovani della politica. Non hanno nulla di Twee e tantomeno di Beat. Non si lanciano sulle autostrade, non si spostano, non cercano, sono immobili e senza futuro. Una foresta silenziosa che non cade, se non dai balconi, che ha lasciato perdere l’identità che non possiede in nome di un’insensibilità che non si interessa, tanto alla politica quanto alla cultura, un mondo di Neet che domani crescerà, forse, e non potrà raccogliere nulla. Un romanzo dalle pagine bianche scritto da tutti e che tutti leggiamo senza accorgerci che in quelle frasi non scritte c’è lo stesso senso di disorientamento, anche se lavori e studi, perché prima o poi te lo trovi davanti. Se nessuno è Neet, perché è brutto dirselo, lo siamo tutti. Perché Neet non c’entra con quello che fai nella vita, ma con quello che vuoi fare, e se la risposta è il nulla, il fuoco nel vuoto brucia di più e la sua benzina è questa generazione.

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