The Subterranean Tapes: Marzo 2017

Si scrive di cicatrici guarite, un parallelo comodo della patologia della pelle, ma non esiste una cosa simile nella vita di un individuo. Vi sono ferite aperte, a volte ridotte alle dimensioni di una punta di spillo, ma sempre ferite. I segni della sofferenza sono confrontabili piuttosto con la perdita di un dito o della vista di un occhio. Possiamo non perderli neanche per un minuto all’anno, ma se li perdessimo non ci sarebbe niente da fare.

(F. S. Fitzgerald, Tenera è la notte)

Di questo passo, scendendo sempre più giù, il sotterraneo diventa sempre più la nostra casa accogliente.

ÆMRIS, Casi, Variance Records

1 marzo

In un’ipotetica enciclopedia della musica elettronica italiana, sotto la categoria giovani talenti, trovereste subito la voce di Æmris, giovane composer pugliese che a 21 anni è già resident del Kode_1 di Putignano, uno dei punti di riferimento del genere in Italia. Non si tratta certo di coincidenze, ma di due espressioni complementari del modo di vivere (e intendere) la musica. Da un lato la generazione di Æmris, che cresce con una certa attitudine verso le sonorità elettroniche e ha tutti i mezzi per farle proprie, dall’altro il progetto culturale di un locale che forma, prima di lanciare, i propri ascoltatori. Intersezioni rare in un paese come il nostro che ci danno speranze. In Casi, disco di debutto di Antonello Trisolini per l’irlandese Variance Records, è immediatamente riconoscibile l’influenza di certi ascolti iniziatici del genere, riferimenti che si sono fatti personali grazie alla possibilità di sperimentare la propria indole artistica per creare qualcosa di originale. Parallelamente la storia che narra, fatta di declinazioni ambient e noise, distorte su un piano drone e di techno bella forte, ci portano in una dimensione altra, oscura e maledetta, fatta di stratificazioni, riproduzioni al limite dell’impossibile (vedi la stessa Casi che dà il nome all’album) prima del suo finale che ci lascia impreparati. Quello di Æmris è uno dei nomi che fareste meglio a segnarvi.
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SODASTREAM, Little by Little, Autoproduzione

03 marzo

La carriera ventennale degli australiani Sodastream ha una costante in comune: l’armonia. Quella del suono, ovviamente e quella che produce dentro i suoi ascoltatori e il nuovo album, Little by Little, non fa certo eccezione. Lo smalto non è stato perso, nonostante tutto il tempo che ci ha separato, sembrano dirci nella melodica Colouring Iris di apertura, e come potrebbe. Così un po’ sognante, un po’ malinconico ci ricorda i motivi per cui tutto questo ci mancava, di quelle volte in cui correvamo fuori senza pensare, specialmente nella scampagnata di Three Sins, passo dopo passo. I Sodastream non sprofondano in un disco nostalgico, riprendono le linee di quel disegno che avevano cominciato alla fine degli anni ’90 con Looks Like A Russian e che ci ha fatto scoprire una parte di Australia diversa. Questo paesaggio fatto di folk delicato e pacato, anche quando si fa più sofferto, perché in fondo tornare non è mai una cosa semplice, come lasciarsi andare. Ma le braccia dei Sodastream sono fortissime, e tanto hanno in comune con i Go-Betweens e Paul Kelly, da una parte assolata dell’Australia, più rurale e, forse, più felice, come la prima volta che hai deciso, poco a poco, di lasciarti tutto alle spalle.
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VOINA , Alcol, schifo e nostalgia, INRI

03 marzo

Disobbedienti e schietti, i Voina condividono molto di quello che sono stati i Ministri agli esordi, il parallelo è immediato soprattutto per il tono della voce, ma poi finiscono per esprimere una posizione politica differente, che ha più a che fare con la disillusione quotidiana in cui nessuna parte può essere presa. Indagano, cioè, il loro mondo, nelle sue direzioni più comuni, volte a sfogare una sorta di allergia verso certe pretese di chi è tutto tranne se stesso. La tendenza a ingrandire i disagi delle province più piccole, questo generale recupero degli anni ’80, il lavoro, tutte quelle cose che si tendono sempre ad accettare quasi fossero naturali. In fondo è come se Proust invece di cominciare dalla madeleine partisse per il suo viaggio di recupero della memoria da un frigo vuoto, dalle case condivise e i letti sempre troppo stretti per pianificare un futuro. Un percorso doloroso, di cui si può solo godere quando te ne dà la possibilità. Il mezzo per farlo è l’alt rock, per il gruppo di Lanciano, che in Alcol, schifo e nostalgia lascia volentieri spazio ai ritornelli e ai cori, perché, dopotutto, repetita iuvant, e magari qualcuno decide di svegliarsi e cambiare finalmente tutto. Smettere di accontentarsi dell’ottimismo con la faccia triste sarebbe già un primo passo, perché questo paese non è davvero quello della Rai.
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COLOMBRE , Pulviscolo, Bravo Dischi

17 marzo

È come se qualcosa che abbiamo respirato ci finisse dentro e si attaccasse ai polmoni, dentro al sangue e poi in testa, vorticando fra un emisfero e l’altro. Pulviscolo non è solo il debutto di Colombre, marinaio e mostro insieme nella favola di Dino Buzzati. Musica che racconta storie con un principio e una conclusione che, in fondo, si guardano costantemente allo specchio. Panorami girati con una Super 8, in cui l’immagine buca la pellicola per le fasi apocalittiche che racconta in Bugiardo, un poco lo-fi, immaginifici e dilatati corpuscoli che fluttuano, si nascondono e guardano tutto dal basso quando incontrano le Blatte insieme a Iosonouncane, col cui ultimo album condivide il modo in cui si gestisce il suono. Come in Tso, sfortunata epopea infernale, quasi da Mille e una notte stando dall’introduzione fatta di arabesche distorsioni che ci conducono alla piccola e sensibile Dimmi tu. Anche restare immobili è una pretesa e aiuta contrapporsi ai cambiamenti di stile: Mi son tagliato molto i capelli / davanti lo specchio / e mentre cadevano / restavo immobile / e c’è voluto poco o niente / per ritrovarmi da solo / in un nuovo mattino. Parole della piccola particella che in Pulviscolo si limita ad accorgersi di come tutto sia destinato dopotutto a richiamarsi. Le sonorità sono leggere e delicate per questo motivo, supportano le parole e le collocano nel mondo dei significati e dei sentimenti di cui Colombre ci vuole parlare, legandoli per sempre a quel determinato stato d’animo in cui sono state concepite. Perché, alla fine, siamo proprio noi a vagare, densi in quest’aria del deserto.
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DUTCH NAZARI, Amore povero, Giada Mesi / Undamento

17 marzo

Se cercassimo un aggettivo in grado di descrivere bene ciò che fa Dutch Nazari la scelta ricadrebbe, probabilmente, su Kraustico, perché Amore povero è questa grande costellazione di abitudini dentro e fuori all’ambiente musicale, in mezzo alla vita e alla strada. Tendente alla slam poetry, col compagno di sempre Sick & Simpliciter alle basi che si muovono fra l’old school e beat più elettronici. Proemio è l’introduzione necessaria a comprendere che di questo contesto siamo tutti parte, per questo amore che ha su di sé troppe pretese, non solo monetarie, metafora di un mondo che richiede troppo e non condivide più nulla senza motivo. Allora Dutch decide di sfondarlo, trasformare le insicurezze in strumenti per armare il flow e chiudere la bocca a tutti, dall’industria musicale (Come Battisti, con Frah Quintale) alle richieste della maturità (Volpi e Poggi). Il paroliere padovano raggiunge in questo modo una propria maturità, anzi la costruisce lungo tutto il disco, parte di quella sfera del rap italiano che torna a raccontare piuttosto che farsi vedere, e che alle marche preferisce Ancona. Modi diversi di approcciarsi alla musica, per comunicare qualcosa piuttosto che farsi icona da brand, lontani dalle youtube stars e da quel giro che sta perdendo il vero motivo per cui è nato questo genere. Rappresentare, e rappresentarsi, e soprattutto combattere, quello che Dutch Nazari, con il labbro spaccato e i denti insanguinati, continua ostinato a fare.
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ZEBRA, Tango, Autoproduzione

17 marzo

Degli Zebra avevamo già parlato in occasione del primo video di Tropical, all’interno dello spazio delle nostre preview, ma era tutta una falsa pista. Con Tango, infatti, la band di Bassano riprende i passi di Homo Habilis del 2014 e quel concentrato di indie pop alla MGMT insieme a una verve più rock, futuribile ed elegante. Da quest’idea nasce People in apertura, tinte brit che ammiccano sullo sfondo di batterie e riff glam, e poi la filastrocca di Oasi da mettere in loop, composizione scherzosa che ci riporta diretti a esperienze più psichedeliche e rarefatte, anche grazie ai campionamenti animaleschi e ai cori in sottofondo, prima della chiusura a cui ci conducono la chanson Branco e la successiva Visions. Un viaggio nella giungla, che non respinge possibilità più movimentate, ma conferma quanto di buono gli Zebra ci avevano fatto ascoltare, soprattutto per quel che riguarda l’originalità con cui si approcciano alla materia, i cui riferimenti nella valutazione del tutto saltano, su questacartina che non siamo più in grado di seguire per i continui cambi di coordinate.
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LEWIS WATSON, Midnight, Cooking Vinyl/Edel

24 marzo

È strano pensare al fatto che una voce come quella di Lewis Watson possa essere ancora poco conosciuta nel nostro paese. Partito, come tanti altri, a 16 anni con delle reinterpretazioni su Youtube, nel 2012 ha pubblicato il primo EP di inediti It’s Got Four Sad Songs on It BTW che lo ha fatto finalmente conoscere un po’ da tutti prima che la prima prova sulla long distance (nel 2014 esce The Morning) lo portasse in numerosi festival importanti come Glastonbury. Se si potesse parlare di maturità artistica per un venticinquenne tutto si raccoglierebbe in questo Midnight, in cui si libera del tutto di quell’ombra di diffidenza che i musicisti esplosi sulla piattaforma di video sharing si portano dietro. Watson mostra le sue potenzialità, già dall’apertura di Maybe We’re Home e specialmente, in Little Light, questa sua maniera di trattare il folk permette all’ascoltatore di entrare dalla porta principale dei sentimenti, di chi aspetta la notte per chiudere una giornata o chi ne riesce a vedere delle occasioni per crescere. Watson è, probabilmente, quello che i tanti folk singer esplosi negli ultimi anni sono stati prima della definitiva consacrazione, godiamocelo finché possiamo.

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