Populous – Azulejos

È Giugno, e ormai l’estate sembra essere definitivamente arrivata. Ha portato con sé le solite cose, la ricerca spasmodica dei ventilatori nelle cantine, l’aria condizionata, un guardaroba composto esclusivamente da t-shirt e shorts, per qualcuno l’inizio degli esami, per altri invece il miraggio della “finish-line” e quindi delle ferie agognate dopo un anno di duro lavoro. Anche musicalmente, come tutti gli anni, da qualche tempo è un proliferare di singoli estivi più o meno riusciti, con l’immancabile presenza del tormentone sudamericano.

Qualcosa di fresco e nuovo però c’è, ed è un lavoro che risponde in buona parte alle preghiere di chi è alla ricerca di un album che sia ben fatto, che faccia ballare e divertire, ma che allo stesso tempo non prescinda da una sua personalissima profondità e ricercatezza nei suoni e nell’immaginario. L’artefice di tale miracolo è Populous, che con Azulejos confeziona un lavoro di livello altissimo, a suo agio in ambito nazionale ma soprattutto internazionale.

Il pugliese Andrea Mangia aveva trovato già nel 2014 buon riconoscimento da parte di critica e pubblico con il suo precedente lavoro Night Safari, un disco che si lasciava suggestionare dai suoni etnici indiani ed asiatici in generale, un lavoro innovativo per la scena italiana, anche se a tratti forse un po’ dilatato e difficoltoso da seguire. Come ha affermato lo stesso Mangia, il focus si è concentrato su una parte più specifica del mondo, sia a livello musicale che di immaginario: il Portogallo, e quindi per estensione, il Sud America. In pratica Populous ha confezionato, sempre secondo le sue parole, il primo disco italiano di Cumbia elettronica, un genere che sembra destinato a crescere sempre di più in Italia ,come testimonia anche il neonato Istituto Italiano di Cumbia progetto portato avanti da Davide Toffolo dei TARM.

Populous ha scritto Azulejos mentre viveva in Portogallo, nei vari quartieri di Lisbona, lasciandosi sedurre dall’atmosfera particolare della città, a metà fra l’Europa e il mondo sudamericano. Uso il termine seduzione non a caso, perché le batterie del disco ma soprattutto i suoi bassi eccellenti, evocano una sensualità caldissima scandita dai ciclici ritmi della cumbia, dalle sue percussioni infuocate e dal suo immaginario pieno di colore e di vita. Di quanto l’elemento visivo sia importante si ha invece conferma già a partire dal titolo (le azulejos sono le tipiche mattonelle della città, coloratissime e che riflettendo la luce sembrano essere sempre illuminate) e dalla copertina, ma soprattutto dai bellissimi video che hanno anticipato l’uscita del disco, che disegnano mondi incredibilmente vivi e pieni di colore tramite un’estetica pop estremamente accattivante.

Azulejos è senza dubbio un disco in cui le batterie sono le regine incontrastate, come da tradizione nei generi sudamericani, ed in cui spesso e volentieri si sostituiscono o predominano sulla parte melodica (come in Caparica), non facendocene sentire affatto la mancanza. Quando ho parlato di un disco estivo e che farà ballare, fatto dimostrato ad esempio dalla dichiarazione d’intenti dei primi due pezzi, Alfama e Alala che ci proiettano subito in un’orgia di ritmi infuocati e bassi pulsanti, ho anche detto che però questo non significava mancanza di profondità.

È particolarmente evidente nei brani cantati del lavoro, come in Cru (che vede la partecipazione di Nina Miranda degli Smoke City) e soprattutto in Azul Oro. Due brani che giocano un ruolo fondamentale nel dare completezza alla sensazione di sentirsi trasportare in un non-luogo pregno di significato e sensazioni, a metà fra l’Italia ed il Portogallo, la Colombia, il Brasile, l’Argentina. Emozioni pure, intuizioni, ritmi che ci fanno quasi sentire il sole sulla pelle, il sale fra i capelli, ed il sudore scendere giù sulla schiena mentre siamo impegnati a ballare, con in una mano un bicchiere e l’altra libera ad accompagnare la musica in un gioco intimo e personale, eppure così facilmente e meravigliosamente condivisibile con gli altri.

Chissà che Andrea nel rendere così magnificamente quelle sensazioni non sia stato aiutato dal suo retroterra pugliese, il luogo italico forse più vicino a quello spirito ed a quei suoni e soprattutto ritmi (ho sentito qualcosa di vicino alla taranta in diversi punti), ma che sia così o no il disco scorre benissimo e si arriva all’ultima traccia quasi all’improvviso e senza aspettarselo, pronti a premere replay.

Insomma un disco veramente ben riuscito ed una ventata d’aria fresca per l’elettronica italiana, con delle sonorità che ci accompagneranno durante i mesi più caldi dell’anno e anche oltre, quando avremo bisogno di quel ca(o)lore tipico dell’estate per resistere all’inverno ed alla sua gelida morsa.


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