St. Vincent vi sta ingannando

Disclaimer: sono una fan di St. Vincent della prima ora e adoro tutti i suoi album, dal primo all’ultimo. Sono consapevole che la musica è un’esperienza soggettiva (ma anche collettiva). Per questo ho deciso di scrivere perché non mi è piaciuto il suo concerto. 

 

Si respira trepidazione nel venerdì sera di Utrecht già alla stazione centrale, dove tutti i freak che si vedono in giro – capelli blu e cappotti a macchia di ghepardo – si dirigono al TivoliVredenburg, a pochi passi da lì, per l’unica tappa olandese (e una delle pochissime europee) del tour Fear the Future di St. Vincent.

Sembra uno di quei concerti che i posteri andranno a rivedere su YouTube (o simili) maledicendosi per non essere nati prima. Le aspettative non sono poche, data l’operazione mass-mediatica dell’artista per la promozione del disco.

A dare l’anteprima dello spettacolo, non c’è gruppo-spalla ma la proiezione del suo film d’esordio alla regia, The Birthday Party – di cui vi avevamo parlato qui. Fin quando luci e sipario calano.

Appare Annie sola sul palco e comincia a cantare le vecchie hit ma con base in playback, a cui aggiunge la sua chitarra (quella da lei disegnata per la Ernie Ball). Ne cambia una di colore diverso quasi a ogni canzone; gliela portano degli uomini vestiti con passamontagna e giacche anti-proiettili.

Si capisce che non farà surf sulla folla né si arrampicherà sul balcone o sull’impalcatura stavolta. Ogni mossa è calcolata, misurata e coordinata anche in base alle proiezioni video sugli schermi alle sue spalle. È meccanica in ogni movimento, non c’è spazio d’improvvisazione; anche gli assoli – boccate d’aria dalle atmosfere un po’ troppo glitterate – sono delle schizzate di distorsione quasi soffocate.

Foto di Vanja Sarić

Il concept del disco e, dunque del relativo tour, è il contrasto. “Qualcosa su cui le persone possono davvero ballare finché non sentono le parole e iniziano a piangere”, come ha dichiarato la stessa musicista texana. Ai testi intimi e sofisticati si sovrappone infatti la patina pop e barocca delle grafiche, che farebbe invidia a una qualsiasi Taylor Swift o Lady Gaga nei paraggi. Tutto questo è portato all’esagerazione anche nel live: i colori da scenario burlesque come i video in perfetto stile Toilet Paper Magazine (primi piani in slow-motion e scene assurde) si scontrano con la dimensione estremamente personale di quello che canta.

Ma non funziona: gli effetti visivi sono al limite dell’invadenza e non rimpiazzano adeguatamente il ruolo che aveva la band nei tour passati. Non che il nuovo album non glielo permetta: canzoni come Los Ageless, Savior, Masseduction moltiplicherebbero esponenzialmente la loro potenza se suonate in strumentale.

E invece lei resta lì, rigida sul palco, ad almeno dieci metri di distanza dal suo pubblico. Non c’è contatto né trasporto. Proprio lei, che in un’intervista aveva dichiarato:

<< Spesso durante lo spettacolo, col pubblico sembra di giocare a tiro alla fune: spingimi e ti respingo – portiamo questo su un livello che sia per entrambi rischioso quanto coinvolgente. >>

Questo livello, almeno nella tappa olandese del tour Fear the Future, è mancato.

Il pubblico inoltre è anche più variegato: dai neofiti curiosi ai fan di Strange Mercy; dalle ragazzine quattordicenni che cantano a squarciagola New York, New York, alle coppiette ultra-cinquantenni; nel mezzo, tante vestite come lei: fazzoletto in testa e scarpe ghepardate sono diventati quasi un dress-code. Molti di loro sono in uno stato d’adorazione: la guardano, portandosi le mani alla testa dalla disperazione per la bellezza che emana.

E lei conosce bene il suo pubblico, da quando si è fatta portavoce di questa nuova generazione di alienati a cui non piace definirsi (cercare “ideologia Queer” per approfondimenti). E difatti, non manca occasione di salutarli prima di suonare ‘Sugarboy’:

<< Hello boys…Hello girls…Hello others. This song is for you. >>

 

Che la relazione con la modella Cara Delevingne l’avesse esposta ad un livello di fama decisamente superiore non c’erano dubbi, ma lei è andata oltre. La chitarra, il film, il merchandising e una mega-campagna mediatica fatta di interviste-troll su Instagram e copertine sul New Yorker e The Guardian; da vera Americana quale è, ha creato il Blockbuster di se stessa. E c’è di più: lo ha fatto consapevolmente, con una forma di tranello che lascia chi la segue nell’eterno dubbio: ma mi sta prendendo in giro?

La risposta è: sì, St. Vincent vi sta ingannando, vi ha sedotto facendovi credere di essere un’altra di quelle star del business-da-silicone-musicale, vi ha insegnato cos’è il potere, quello che corrompe, e quanto sia facile gestire i media (e social) a proprio piacimento. Nel frattempo, però, vi ha anche raccontato i drammi più segreti della sua vita.

Quando riesci a far parlare di te e a decidere cosa vuoi che si dica sul tuo conto, sei diventato potente. Ma a che prezzo? Per Annie, il prezzo è stato uno spettacolo assurdo ma poco incisivo emozionalmente. Non ci resta che attendere il prossimo, sperando che torni a tirare la fune con noi, il pubblico.

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