Amor Fou – Cento giorni da oggi

Voto: 6,5/10

E poi arrivò il giorno in cui gli Amor Fou ripresero in mano i sintetizzatori, indossarono magliette slabbrate alla moda e iniziarono a barattare il cantautorato elegante per brani scritti usando gli #hashtag di Twitter. Tirarono fuori la primavera araba, i tumblr e un campionario di suoni che va da M83 fino a Donatella Rettore. In altre parole abbracciarono la dilagante hipsteria per raccontare uno spaccato di mondo: quello dei giovani di circa trent’anni che, usando la rete e le sue declinazioni, condividendo le loro esperienze, la loro rabbia e il loro stile, cercano di vivere a pieno la propria vita, facendo impazzire anche i sociologi meno accaniti. Ma in quest’album di sociologia ce n’è ben poca, a trionfare sembra piuttosto l’azione e se un tempo le rivoluzioni venivano uccise da punture di rosa, oggi scoppiano a causa dei post che viaggiano sui Social Network quotati sui mercati orientali. I tempi cambiano e i cantautori, ahimé, devono adattarsi.

“Cento giorni da oggi” è un album che ha davvero poco a che vedere con la produzione di Alessandro Raina e soci: un dream-pop sintetico, colorato e ballabile, prende il sopravvento nella struttura dei pezzi e i testi, invece, sono investiti da una ventata di ossessivo citazionismo, lo stesso che ultimemente va così tanto di moda. Già ascoltando il singolo Alì, che parte citando il Battiato de “La voce del padrone”, per poi aprirsi in un accattivante ritornello dancereccio e guardando il suo videoclip colorato, si capisce di cosa stiamo parlando. Una sorta di commercializzazione sembra essere in atto, la veste dei brani li rende più appetibili al grande pubblico e sicuramente più fruibili da un punto di vista radiofonico. Fatto sta che le 13 canzoni che compongono il disco non possono che stupire l’ascoltatore medio degli Amor Fou, se non altro perché così scanzonati e solari loro non li avevamo mai visti e perchè fa abbastanza strano che nei loro pezzi si badi più alla forma che all’emozione.

Tanti i riferimenti musicali che questo lavoro vorrebbe avere, pochi quelli veramente centrati. Echi baustelliani si avvertono in Goodbye Lenin e nell’intensa Vero, probabilmente il miglior pezzo dell’album, che sembra direttamente uscita da “La moda del lento”, per produzione e impostazione della voce. Non mancano naturalmente i colpi di stile: I 400 colpi in primis (probabilmente l’unico brano in cui sopravvivono echi della vita precedente del gruppo), Le guerre umanitarie, che riesce a veicolare il messaggio contenuto nel disco, senza essere forzata e voler troppo strafare e la riuscitissima Padre Davvero, che unisce un testo di tutto rispetto a un riff degno delle migliori produzioni da dancefloor degli anni ’80. Ma un album del genere riserva anche situazioni così infarcite di citazionismo e così pasticciate da risultare al limite dell’imbarazzante: si pensi a Forse Italia con gli stucchevoli coretti dei bambini sulla Thyssenkrupp ed il suo trionfo di frasi non-sense o a Tigri (probabilmente il pezzo peggiore dell’album).

“Cento giorni da oggi” è un disco del presente: lo racconta con il suo stesso linguaggio e tutte le sue limitazioni. È destinato a vivere per una stagione, finché non passeranno di moda Saviano, le storie sull’igienista dentale, il post-berlusconismo e i post sui Social network. Forse la più grande pecca di questo album è proprio quella di essere fine a se stesso e quindi poco universale, a differenza de “La stagione del cannibale” e de “I moralisti”. Nonostante tutto è qui, è adesso, ed ha voglia di stupirvi e di farsi consumare.

Tracklist:

  1. Gli zombie nel video di Thriller
  2. Alì
  3. Goodbye Lenin
  4. Vero
  5. Una vita violenta
  6. I 400 colpi
  7. La primavera araba (feat. Davide Autelitano)
  8. Padre davvero
  9. I volantini di Scientology
  10. Le guerre umanitarie
  11. Radiante (feat. Alessandro Baronciani)
  12. Forse Italia
  13. Tigri (The Song)
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