Father John Misty – God Favorite’s Customer

Dopo i grandi entusiami di I Love You, Honeybear, tre anni dopo arriva il disco della crisi tra Mr Tillman e consorte, perché l’amore è fatto così, e se agli inizi sembra tutto un sussulto e un canto ispirato, si sa che poi la parabola è destinata a scendere per far entrare in gioco abitudine e routine. Così non stupisce ritrovare Josh Tillman annoiato nel bar di un albergo, a ubriacarsi lontano da casa: nel video di Mr Tillman viene ben raccontata questa vita sradicata salvata solo dai paradisi artificiali. Dopo Pure Comedy dello scorso anno, Father John Misty torna a sorpresa a distanza di pochi mesi con God Favorite’s Customer, e di tempo ne è passato così poco da lasciarci un po’ preoccupati per quel che ne sarebbe venuto fuori. Che abbia preso quel vizio malsano della prolificità a tutti costi in stile Mark Kozelek? In fondo Pure Comedy era già parso un disco leggermente più “monocorde” del precedente, con quegli echi di Elton John e il predominare della composizione a pianoforte sulla chitarra. Ma che Father John Misty sia un fuoriclasse e uno dei performer migliori della nostra contemporaneità, che abbia ancora una voce straordinaria, che sia ancora un umorista da tempi interessanti, e che sappia regalarci musica di alto livello –  su questo non avevamo il minimo dubbio. Così, anche se God Favorite’s Customer fosse solo una collezione di b-sides raccattati in giro negli ultimi mesi randagi, mentre Padre John si disperava ubriaco al bar, l’ascolto ci riconcilia con la musica cantautoriale raffinata.

La satira di Padre John ci colpisce sin dal titolo, con quel gioco sul filo di religione e marketing, e una title-track ballata al pianoforte che evoca un po’ la sconfitta dell’essere umano di fronte il dissacrante appello alla divinità che mai vi risponderà (“speak to me”- ripete). E del resto la copertina del disco sembra una resa al collettivo mal di testa e di universo che ci portiamo dietro, il destino dell’uomo è non avere risposte – Father John Misty vuole che ce ne facciamo una ragione. “People, we’re only people / and there’s not much anyone can do”, non c’era bisogno di ascoltare anche la ballata che chiude il disco per scoprire che siamo soltanto persone, eppure è la verità e prima o poi tocca accettarlo. Nessun dio lì fuori risponderà, non possiamo farci molto, ma siamo abbastanza idioti da provarci comunque.

Just Dumb Enough To Try è invece uno dei pezzi che Tillman dedica alla moglie Emma, e pare aprirsi brutalmente in questa battaglia tra l’amore che strappa i capelli e finisce, e la voglia di salvare quel che resta per un altro po’. Sembra che Tillman abbia voluto raccontarci questa parabola per fare i conti con se stesso con estrema sincerità, consegnarci un passaggio importante di come la vita privata possa influenzare scrittura e musica. Forse è per questo che alla fine il nuovo album non è tanto distante da suoni e atmosfere di Pure Comedy, sembra si collochi su un continuum più intimista e meno satirico. Così Mr. Tillman diventa il vero capolavoro del percorso intimo di Father John Misty: ci racconta le sue giornate in albergo da estraneo che sta provando a scappare anzitutto da se stesso. Mi sento bene, dannazione, sto così bene – ci confida, anche se sappiamo che non è così, e così confida anche alla moglie. Il finale del video è splatter non a caso, mentre passano in rassegna le mille domande della reception, tra cui quell’intrusione non voluta: forse non dovrebbe bere da solo?

God Favorite’s Customer si lascia ascoltare nella sua doppia veste di album da far decantare come un buon vino a cui dedicare una certa attenzione, e disco da canticchiare e tenere in sottofondo per i vostri momenti più intimi, con una vocazione pop-rock d’alta classe che non disdegna quelle radici alt folk da cui viene Tillman, ex batterista dei Fleet Foxes che ai tempi la barba la lasciava candidamente crescere incolta. E allora non stupiamoci se dentro ci troveremo tutti i nostri mal di testa contemporanei, i nostri hangover, e quel sentimento da consumatori dell’universo che ci fa venire voglia di schiantarci in auto come rapiti dal richiamo dell’assurdità. Con la sua voce perfetta FJM ci accompagna nello schianto di questo viaggio che è la vita, al ritmo dei suoi pezzi, ed è evidente che sia presente il sentimento dell’assurdità. Assurda è Please Don’t Die, come ci canta Padre John in un momento confidenziale, una richiesta che ci facciamo tutti tra di noi fingendo di ignorare quanto sia un appello non credibile. Ma Please Don’t Die potrebbe comunque essere una richiesta da spedire a tempo determinato, del resto un’altra confidenza che ci fa Tillman è quella di sentirsi più vecchio dei suoi 35 anni.

Last night I wrote a poem / Man, I must’ve been in the poem zone

L’evocazione di un’indeterminata Poem zone è uno dei pochi momenti in cui Father John Misty recupera la lucidità per essere ironico, nello stesso tempo non rinunciando all’auto-ironia, dote rara oggi più di ieri, e che FJM usa sapientemente per smontare il proprio personaggio, ben consapevole di quanto sia tutto passeggero e illusorio, e di quanto ai customers piaccia così. Dentro l’America disincantata e devota all’ansia di Pure Comedy c’è spazio per la storia privata e travagliata di un uomo che trova rifugio nei paradisi artificiali (più alcool che religione). Vero artista è colui che riesce a fare del particolare l’universale, e non c’è dubbio che Father John Misty ci sia riuscito anche in questa occasione – perché la musica funziona, i testi funzionano, il disco è un signor album. In tempi di consumismo, God Favorite’s Customer è un album da consumare, un nuovo meraviglioso episodio di una saga che racconta la vita americana. Fatelo suonare a tarda sera con un bicchiere sempre pieno.

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