Dentro Serotonina | Il nuovo romanzo di Michel Houellebecq

Il nuovo romanzo di Michel Houellebecq, Serotonina (tradotto in Italia da La Nave di Teseo), era stato annunciato come un caso editoriale già prima della sua uscita. Non che sia una sorpresa: il controverso scrittore francese sa come accendere il dibattito pubblico (- e se siete in cerca di una prova in proposito, vi basti leggere il recente articolo pubblicato su Harper’s Magazine dal titolo Donald Trump is a Good President). Nel 2015 Sottomissione aveva fatto discutere, e del resto era difficile passasse inosservato un romanzo distopico sul tema della conversione religiosa con sparigliate critiche all’Islam. Il caso volle che la redazione di Charlie Hebdo fosse colpita da un attentato proprio nel giorno di uscita di Sottomissione – cosa che ha aiutato a donare allo scrittore francese quell’aura mitologica da profeta di cui si è iniziato a parlare anche nel caso di Serotonina. È anche per questo che si è detto che Houellebecq stavolta avesse anticipato la rivolta dei gilet gialli che da qualche settimana sta infiammando la Francia, e anche se si annusava a distanza l’ipotesi di una certa forzatura in salsa di pura promozione editoriale, insistere sulle virtù profetiche di Houellebecq sembrerebbe aver funzionato se nel weekend dell’uscita il libro è andato a ruba a Parigi. Ma si sa che la capitale francese è una città che legge, e pure tanto – figuriamoci quel “profeta in patria” che si diverte a dissacrare il mito della vita parigina sin dai tempi de Le particelle elementari. Eppure bisognerà subito spazzar via un equivoco: in Serotonina non troverete nessuna profezia, tuttavia riconoscerete una certa stanchezza dell’uomo contemporaneo a contatto con la sua epoca — ed è naturale che questo inaridimento, questa frustrazione portino a una qualche forma di rivolta. Houellebecq è – al solito – cupo ed estremo, stilista del romanzo che sa come usare le parole (persino le parentesi ci sospendono): l’avvertenza però è quella di manovrare le pagine con cura.

Il protagonista si chiama Florent-Claude Labrouste, un uomo che ha passato la quarantina e odia il suo nome: il romanzo si apre senza un apparente motivo sulle coste del Sud di Spagna. Dico senza un apparente motivo perché ha tanto l’aria di un pretesto letterario per dispensare qualche luogo comune: le belle e desiderabili spagnole hipster di contro un’ingombrante-troppo truccata-e-ninfomane fidanzata giapponese, un disperato risentimento per gli olandesi, senza dimenticare qualche battuta ironica inflitta agli inglesi o a piccole cittadine francesi (la città di Niort non l’ha presa bene). Il merito di Houellebecq resta certamente il ritmo narrativo con cui scrive di qualsiasi cosa, così anche l’ossessione di trovare un albergo per fumatori rischia di diventare esilarante: Florent-Claude riuscirà a trovare una camera dove fumare una sigaretta in pace? o dovrà smontare piuttosto tutti i rilevatori di fumo nelle stanze? (- bisogna dire che alla terza/quarta volta in cui Houellebecq fa ripetere questo pensiero al protagonista la nostra attenzione a questo genere di operazione inizia a calare, ci ritroviamo piuttosto spaesati a pensare se non sia solamente patetico che il protagonista non si arrenda semplicemente a fumare fuori dalla camera d’albergo; come senz’altro tutti ci siamo arresi a fare). Quel che voglio dire è che – in particolare agli inizi – sembra che il protagonista porti al parossismo alcune delle manie houellebecquiane, che la voglia di stupire il lettore con l’arte della provocazione finisca per diventare piuttosto artificiale o esasperata, risultando in certi tratti persino patetica – ma è probabilmente proprio il sentimento del patetico quel che vuole suscitare in noi Houellebecq con la storia di un uomo depresso che in preda un attacco voyeuristico scopre i video della compagna intenta a provocare piacere sessuale a uomini e cani (già!), decidendo di scomparire per salvarsi dalla propria disperazione privata e trovando una panacea in un farmaco della felicità.

Se è vero che con l’avanzare degli anni i nostri difetti si stereotipizzano e si ispessiscono, anche i personaggi di Houellebecq sembrano subire questo effetto, e per Florent-Claude a volte non potrete trattenere una specie di disgusto, e la sensazione di trovarvi di fronte alla lettura del diario segreto di un uomo di mezza età poco interessante e ossessionato dal proprio cazzo (anche lui depresso dal forte consumo di pillole di felicità). Eppure con l’avanzare della pagine scopriamo l’inedita tenerezza del personaggio. Già (ci avreste mai scommesso?), la tenerezza: Florent-Claude ricorderà le donne che ha (più o meno) amato, si perderà in qualche rimpianto per aver gettato al vento un paio di relazioni che avrebbero potuto salvarlo dall’infelicità, si scoprirà infinitamente debole, solo, quasi sul punto di morire e desiderare di morire, si aprirà in confessioni con il lettore che lasceranno intravedere sprazzi di umanità (- a meno che non vi soffermiate sul particolare che mentre fa tutto ciò, gli venga in mente di sparare a un bambino).

Michel Houellebecq e Iggy Pop

La mattina del 1° gennaio si levò, come tutte le mattine del mondo, sulle nostre esistenze problematiche.

Serotonina riesce ad amplificare alcune delle manie e delle caratterizzazioni più tipiche della nostra epoca: l’ansia del non stare soli la notte di Capodanno (soprattutto se siete reduci da un fervido periodo di meditazioni suicide – decisamente meglio far tutto pur di non star da soli, persino ascoltare ossessivamente Child In Time dei Deep Purple con vecchi amici di gioventù come Florent-Claude), l’impoverimento della classe media, l’erosione del potere d’acquisto degli allevatori dopo l’introduzione delle quote latte, la barbarie che si compiono in alcuni allevamenti animali, la gentrificazione bobò di alcuni quartieri urbani che inevitabilmente alza i prezzi d’acquisto e di affitto delle case, la solitudine umana, spettrale, che rende tutti indistintamente patetici alle prese con i propri problemi personali, morali, sociali. In mezzo a tutto questo la figura di Camille, e il ricordo di quell’amore giovane, sembrano salvifici per il protagonista tanto quanto gli antidepressivi da cui non riesce più a staccarsi. Tuttavia – e per quanto ci arrivi vicino – non gli riuscirà mai di ricontattare Camille, arreso ormai a un destino “filosofico”.

Ho la sensazione che anche quando si sprofonda nella vera notte, nella notte polare, quella che dura sei mesi di seguito, persista il concetto o il ricordo del sole.

Con il sole Houellebecq vuole significare tutti gli sprazzi di felicità che sono stati. Florent-Claude si arrende a questa notte senza fine, come affidato a un destino dal quale solamente un dio potrebbe intervenire per salvarlo; ovviamente non accadrà, ma esiste un’illusione superiore nel cuore umano – sembra dirci un inedito Houellebecq¹. Se la via filosofica sembra quella di una resa e di un abbandono alla notte, quella sociale è più accesa e controversa, sullo sfondo delle proteste degli allevatori in Normandia che tentano di bloccare l’arrivo delle cisterne di latte dall’estero. Allevatori che non sono animati da rigurgiti di natura nazionalista: si sentono semplicemente più poveri e perduti, stanno perdendo lavoro, potere d’acquisto, e questo comporta degli inevitabili squilibri famigliari, l’intero equilibrio delle loro relazioni subisce scompensi sotto la pressione irruenta della nuova era sfrenatamente liberista, delle regole della new economy. Sappiamo bene di cosa sta parlando Houellebecq: abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni il senso di spaesamento umano, l’impoverimento delle classi medie, e quel terrore e ansia che han fatto la fortuna dei partiti populisti, complice l’abbandono a se stessa di una fascia di persone che continua a impoverirsi, e a cui si chiede di essere più consumatore (preferibilmente low cost) che produttore. Naturalmente l’antieroe di Houellebecq non offre nessun tipo di soluzione a questa impasse sociale, semmai si piega al più generale senso di sconforto moderno: ma io che posso farci? Tuttavia riesce a toccare – e lo fa con la forza che solo la narrativa può avere – alcuni punti chiave del nostro tempo, come quel sentimento di protesta verso un’Europa percepita solo come lo spettro di una globalizzazione economica che si aggira di città in città.

Del resto Houellebecq ha avuto già occasione di mostrare il suo scetticismo nei confronti di un’Europa che non ha “una lingua comune, valori comuni e interessi comuni”, e – persino per noi anime non particolarmente anti-moderniste affezionate a una retorica di fiducia nel progresso – è difficile rispondere a questo genere di provocazione in un tempo letteralmente invaso dal sentimento del malcontento popolare esploso dalla congiuntura di sfrenato liberismo, crisi economica e rivoluzione digitale. Che siate reazionari, progressisti, o addirittura monarchici, tutto potrebbe portare a una sensazione di terribile sfiducia nei confronti della contemporaneità in cui siamo invischiati. Con i suoi paradossi, Serotonina prova a scavare in questa sensazione di smarrimento, nello smacco in cui ci troviamo. Tuttavia il protagonista di Houellebecq mantiene un’inedita tenerezza (un pessimismo che conserva sprazzi di ottimismo) che sarebbe più difficile rintracciare negli strabordanti personaggi di Céline o nei testi di Philippe Muray — oggi che siamo letteralmente invasi dal linguaggio politicamente scorretto niente fa più rumore, e quello che vogliamo leggere è qualcosa a proposito dell’iper-realtà che ci faccia tornare verso l’uomo e i suoi strazi umani. Solo la narrativa riesce a darci di queste illuminazioni, visionaria come “la piccola compressa bianca, ovale e divisibile”.

Le persone non ascoltano mai i consigli che diamo loro, e quando chiedono consigli lo fanno proprio e soltanto per non seguirli, per farsi confermare, da una voce esterna, che sono prese in una spirale di annientamento e di morte, per loro i nostri consigli hanno esattamente il ruolo del coro tragico, confermando al’eroe che ha imboccato la strada della distruzione e del caos.

 


¹H. era partito da un atteggiamento kantiano ne Le particelle elementari, si era riavvicinato a Nietzsche in Sottomissione (durante un’emergenza idraulica è sacrosanto), ma aveva lasciato intravedere spazi aperti a una possibilità divina facendo le pulci a Huysmans.
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