Dimartino ci racconta Afrodite | “Tenete d’occhio le parole”

Dopo la pubblicazione dei singoli Cuoreintero e Giorni buoni, esce oggi per 42 Records in collaborazione con Picicca Afrodite, il nuovo album del cantautore palermitano Dimartino. Lo abbiamo raggiunto al telefono per comprendere quale sia stata la genesi di questo disco profondo e intimo, dove le parole sono importanti e le storie legate alle canzoni mettono in risalto la bellezza della vita quotidiana.

Afrodite è il tuo quarto album di inediti e arriva a distanza di un anno da Un mondo raro, il disco che raccoglie alcuni brani del repertorio della cantante messicana Chavela Vargas, rivisitati da te e da Fabrizio Cammarata e a tre anni da Un paese ci vuole. Quali sono le novità che si possono trovare in Afrodite rispetto ai precedenti lavori e cosa, invece, rimane del Dimartino che abbiamo imparato a conoscere?

Questo disco è nuovo nei suoni, qualcosa che ancora non avevo sperimentato. Desideravo proprio che suonasse in un altro modo perché i contenuti sono molto intimi, legati alla nascita di mia figlia e a una serie di cambiamenti che hanno interessato la mia vita, perciò avevo bisogno che fossero veicolati da una musica diversa e che avvenisse una specie di cortocircuito. Afrodite è un album composto da storie di periferia, dove c’è molta più Palermo rispetto al passato e in cui si scorgono i quartieri popolari della mia città, ma ci sono anche canzoni intime come in Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile, in cui emergono i rapporti tra le persone e la quotidianità.

Nel frattempo sei diventato padre (auguri!), come cambia il modo di vedere il mondo e di conseguenza di raccontarlo quando una creatura appena nata diventa il centro dei propri pensieri? Lo dici in Feste comandate “tutto questo amore / sono sincero, no / io non l’avevo previsto”, qual è l’insegnamento più importante che ti ha trasmesso tua figlia?

Quando un essere umano entra nella tua vita in maniera così imponente faresti qualsiasi cosa per proteggerlo e pian piano ti accorgi di orrori del mondo che non pensavi esistessero fino a poco prima. Lo tieni al sicuro nel tuo nido, ma intanto inizi a guardare fuori dalla finestra di casa tutte le bruttezze che esistono ed è anche per questo motivo che ho scelto come titolo Afrodite: per cercare di erigere un tempio alla dea della bellezza in opposizione a tutto quello che c’è fuori. Nel booklet del disco c’è il racconto di una visione che ho avuto mentre ero all’ospedale di Trapani dove è nata mia figlia. Sul monte Erice adesso c’è il castello di Venere, ma prima c’era il tempio dedicato alla dea Afrodite. Ho immaginato che nelle periferie delle città sorgessero dei tempi al posto delle cupole in onore dei santi come Padre Pio e che i bambini fossero educati alla bellezza. Da un lato la nascita di mia figlia mi ha dato molto amore, bellezza e tranquillità, dall’altra ho iniziato a ragionare da padre pensando alle catastrofi e alle cose assurde che possono succedere: quello che è cambiato fondamentalmente è che non sono più solo, ma c’è un’altra persona da proteggere e su cui vegliare.

 

Rimanendo in tema di paternità, sei stato tra i primi cantautori indie insieme a Brunori Sas e a Colapesce a emergere, ti senti un apripista oppure no? Cosa credi sia cambiato della scena indipendente italiana nell’ultimo periodo e quali sono i pro e i contro di ieri e oggi?

Rispetto a dieci anni fa quando è uscito il mio primo disco sono cambiati i numeri. Noi ci rapportavamo a un pubblico di persone ristretto e quindi la scena era più preservata, oggi, invece, è completamente sotto i riflettori. Il dubbio che ho sulla scena indie di adesso è che tutto si stia appiattendo sul fronte dei contenuti, ma anche sulle sonorità. Io mi sento un outsider perché come hai detto tu l’ultimo disco che ho fatto è stato su una cantante messicana che non c’è più e che non credo interessasse molto al pubblico indie. Mi sento libero anche dal concetto di indie e non escludo di fare cose ancora diverse in futuro.

Qual è il consiglio che daresti agli emergenti che si affacciano a questo mondo?

L’unico consiglio che mi sento di dare è di fare sempre quello che ci si sente e di non cercare delle scorciatoie o di assecondare gli altri. Il talento personale di ognuno è declinabile rispetto alla propria provenienza geografica e culturale, quindi è più importante assecondare le proprie particolarità che appiattirsi verso il generico.

Prima, invece, raccontavi di come Palermo sia molto presente in Afrodite e pur rimanendo sullo sfondo il capoluogo siculo è a tutti gli effetti protagonista del disco. Viva più che mai in Ci diamo un bacio quando canti “ho perduto Palermo nel vento dei Tropici / ho trovato l’inferno nel bar sotto casa mia” o nella storia di Daniela balla la samba in cui una ragazza gode dell’oscurità della città che lentamente si sveglia. Quanto è stato importante per te essere nato e cresciuto a Palermo?

Palermo continua a darmi moltissimi stimoli. Daniela balla la samba è un pezzo che nasce da un’immagine di dieci anni fa. Una notte stavo tornando a casa e, fermandomi in un Autogrill a fare benzina, ho visto nel parcheggio una ragazza che ballava sul tetto di una macchina accerchiata da ragazzini con i motorini che la illuminavano, sembrava la scena di un film, in realtà era soltanto un episodio di vita quotidiana di un quartiere popolare di Palermo. Quella scena mi è rimasta molto impressa, l’ho tenuta per anni nella mia memoria fino a quando l’anno scorso ho deciso di scrivere questa canzone. Palermo è come tutte le città aperte che hanno accolto sempre popoli diversi, li hanno nutriti e hanno permesso la nascita di nuove commistioni. Negli ultimi dieci anni Palermo sta vivendo una specie di rinascita culturale, artistica e politica ed è quindi una fonte di ispirazione molto importante per me ora.

“Pesce d’aprile c’è un terrorista in cortile / un’autobomba alla scuola, entriamo in seconda ora o rischiamo di morire / un falso allarme allo stadio ho pensato di averti perduto per sempre in un giorno sbagliato”, Pesce d’aprile parla di quello che sempre più spesso negli ultimi anni ci siamo abituati a considerate la “normalità”, con le notizie che viaggiano veloci e fanno sobbalzare il cuore quando un attacco terroristico prende di mira i luoghi della nostra quotidianità, dove dovremmo sentirci al sicuro, come a scuola, in uno stadio o in un locale che ospita un concerto. Come può la musica affrontare ed esorcizzare queste paure?

La musica può aiutare ad avvicinare i popoli. Le persone si sono unite da sempre condividendo i propri gusti musicali e le scelte artistiche. La musica è l’ambiente in cui ci uniamo e in teoria grazie a essa possiamo superare le nostre paure. Come hai sottolineato, negli ultimi anni è successo l’inimmaginabile e Pesce d’Aprile nasce da un episodio a cui ho assistito. Una mattina ho visto un gruppo di ragazzi fuori dai cancelli della propria scuola discutere animatamente riguardo a un pacco bomba che era stato segnalato. Erano accorse anche la polizia e un’ambulanza e mi ha fatto impressione vedere questi adolescenti in preda al panico che pensavano di essere stati presi di mira da un terrorista. Accadeva anche quando andavo io alle scuole medie: alcuni ragazzi della scuola ogni tanto facevano segnalazioni anonime per saltare la prima ora. Le dinamiche sono le stesse, ma adesso la storia è cambiata. Terrorizzare i giovani fa perdere la speranza nella bellezza della vita e del vivere comune. Queste paure si legano anche a quello che esprimo in Cuoreintero in cui parlo del concetto di solitudine. L’idea è che prima di curare un’intera società bisognerebbe curare le solitudini di ogni persona. Se i ragazzi sono capaci a curare le proprie solitudini possiamo costruire una comunità, creando una somma di solitudini migliori. In Inghilterra era stato istituito il Ministero della Solitudine che aveva proprio l’obiettivo di preservare e di educare le persone alla solitudine. Tra l’altro sembra paradossale che in un periodo come questo dove siamo tutti iperconnessi non riusciamo a stare soli. In questo momento storico non siamo mai soli e non riusciamo mai a esserlo veramente.

 

Mentre in Un paese ci vuole erano presenti delle collaborazioni, quella con Francesco Bianconi in Una storia del mare e con Cristina Donà in I calendari, qui appari soltanto tu. Qual è stata la genesi di Afrodite e chi ti ha supportato artisticamente in questo nuovo progetto?

Una persona che mi ha supportato moltissimo e che ha curato con me gli arrangiamenti è Angelo Trabace che è il mio pianista da anni. Angelo mi ha aiutato non solo ad arrangiare le canzoni, ma mi ha supportato anche nei momenti di sconforto. Avevo già un disco scritto tre anni fa, poi l’ho abbandonato perché volevo altri suoni, altri stimoli e nuovi messaggi. E poi il produttore Matteo Cantaluppi è stato fondamentale per mettere insieme i pezzi e per darmi un’altra visione delle canzoni. Avrei potuto fare un altro disco con le stesse canzoni, ma non avrebbe avuto il senso che ha adesso. Mi serviva uscire dal mio recinto di amicizie e incontrare musicisti nuovi.

In un’intervista che ti abbiamo fatto nel 2012 in occasione dell’uscita di Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile dicevi che avresti voluto lavorare con Franco Califano per la Penultima cena. Ci sono altri artisti con cui vorresti collaborare oggi?

Per ora ho già collaborato con molti artisti con cui volevo lavorare. Con Cristina Donà è stato un atto d’amore e lo stesso vale per Brunori Sas che ha prodotto Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile e proprio in quel momento stava nascendo un’amicizia profonda tra me e Dario. In questo periodo non ho slanci d’amore nei confronti di nessuno.

“Lascia andare tutto come deve andare / tanto questa amicizia profumerà sempre di acqua e di mare / forse sono questi anni a farci sentire un po’ meno vivi all’ora degli aperitivi”, lo dici in Liberaci dal male. Qual è la grande piaga di quest’epoca storica? Perché sembra sempre che ogni momento venga vissuto con più superficialità?

La piaga della nostra società è la non voglia di approfondire. Nessuno si sofferma su qualcosa che esce dai propri binari e nessuno sente quello che gli altri sussurrano: abbiamo sempre bisogno di qualcuno che gridi. La generazione precedente alla mia non è stata abituata all’approfondimento ed è un problema che coinvolge ogni ramo dell’arte e che arriva fino alla politica. La politica del gridare fa più scalpore per prendere i consensi ed è diventato normale non andare fino in fondo alle questioni e soffermarsi soltanto sulle frasi a effetto, quelle più violente che attirano l’attenzione. La gente ha bisogno solo di slogan temporanei.

Quale messaggio ti piacerebbe che il tuo pubblico cogliesse da Afrodite?

Questo è uno dei pochi dischi che ho fatto che non ha un unico concetto, ma ne ha molti. Vorrei che magari venisse colta l’idea del preservare la bellezza come un tempio da venerare e che i testi venissero approfonditi. Le canzoni hanno delle storie quasi cinematografiche, per esempio La luna e il bingo è la storia di due ragazzi che si giocano tutto al bingo, sono storie di povertà, ma anche di riscatto. Ogni canzone ha un tema che mi piacerebbe potesse uscire, quindi mi auguro che chi ascolterà il disco possa leggere bene le parole e farle proprie, andando oltre le parole.


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