C’mon Tigre – Racines

Benvenuti nel mondo dei C’mon Tigre.

Immaginate di indossare uno scafandro alla 2001: Odissea nello spazio.

Immaginate di uscire dalla porta di casa vostra e di lanciarvi a capofitto, legati solo da una corda alla maniglia, nella variopinta e caotica infinità delle possibilità espressive.

Immaginate di ritrovarvi a precipitare tra generi musicali, matite, strumenti, artigianato, libri, mondi che vi passano davanti agli occhi proprio come succede all’astronauta inghiottito dal monolito di 2001.

Se vi è mai capitato di ascoltare la musica dei C’mon Tigre, probabilmente, vi sarete trovati a provare lo stesso livello di smarrimento di cui abbiamo parlato appena su.

I C’mon Tigre sono un duo italiano che nel 2014 ha esordito con un album omonimo che ha subito fatto rizzare le orecchie agli appassionati della contaminazione musicale, orfani di quella lunga striscia culturale che aveva visto gli Almamegretta tra i più prolifici ed efficaci interpreti (qui la nostra intervista)

La sperimentazione dei C’mon Tigre ha fatto sì che questi venissero visto come dei veri e proprio avanguardisti sia per la loro capacità di mescolare generi, strumenti e sonorità, sia per il piglio “intellettuale” della loro musica che rompeva i confini della forma espressiva.

 

Ricominciare dalle radici.

A ben cinque anni di distanza dal primo album, tornano a spiazzarci i C’mon Tigre con il loro Racines.

Il titolo è già manifesto per la band: le radici sono quelle della musica e della cultura a cui il duo cerca di risalire in una sorta di archeologia musicale che li porta a scontrarsi con generi, ritmi, strumenti diversi ma che i due fanno propri e che infilano nel loro zaino.

La musica dei C’mon Tigre è complessa e necessita di un ascolto attento. È una sorta di esperienza immersiva nelle possibilità e nel gioco della musica.

I brani di Racines ci fanno perdere all’interno di una serie di incursioni nella musica africana, nel rock, nel jazz e nel trip hop anche in un unico pezzo. L’ispirazione mediterranea è fortissima e palpabile. Fuoriesce dalle note ma soprattutto dallo spirito e dalle atmosfere da olive sulla terrazza affaccio mare e da spezie tra le vie delle città. È una musica ispirata à la Corto Maltese: colta, nostalgica e resa forte dei viaggi in mare e delle culture conosciute uscendo dalla propria terra.

Racines è un inno alla multiculturalità e alla molteplicità di generi e stili che vengono fusi e trasposti su pentagramma.

Non solo musica

Uno degli aspetti più belli è che il manifesto di Racines come collettore di arte, nel senso più ampio possibile, si esprime anche nelle collaborazioni con artisti di campi diversi da quello musicale.

Nell’edizione speciale del vinile, assieme al doppio disco troviamo anche un libro che abbina a ogni pezzo un’illustrazione per permettere un’esperienza artistica completa all’ascoltatore.

Grazie ai featuring con fotografi e illustratori italiani e internazionali (dal fotografo serbo Boogie a Sic Est), i C’mon Tigre cercano di creare un’esperienza artistica totale andando oltre la musica e le parole.

Una pregevole iniziativa che ricalca l’idea di musica “extra” che il duo ha issato a bandiera e stella polare della produzione.

 

Il mondo musicale dei C’mon Tigre in dieci tracce

Come detto, Racines è un viaggio musicale negli stili e nei generi, a cavallo tra l’analogico e il digitale.

L’album si apre con il rock in controtempo singhiozzante di Guide to Poison Tasting. Con sonorità che ricordano Summertime di Janis Joplin soprattutto in alcuni passaggi armonici alla sei corde. La voce ovattata del cantato contribuisce a creare un mondo lisergico e fumoso che ci introduce in un cammino extra-sensoriale. L’interessante cambio di sonorità finale che sembra volerci svegliare dal sogno negli ultimi secondi della traccia ci riporta all’elettronica moderna con un interessante e notevole salto temporale.

Lo strano incontro tra musica africana e voci alterate al vocoder dell’intro di Gran Torino ci fa sedere al tavolo su cui sono seduti Bombino e i Daft Punk e assistere alla curiosa conversazione tra i tre. Il sapiente utilizzo di tempi musicali complessi crea un effetto straniante in tutto l’album.

La capacità dei C’mon Tigre di gestire al meglio canzone e il brano strumentale (come nell’interessante 808) rende il disco stimolante e mai noioso.

 

Eterno ritorno

Il vero limite dell’album sta nel concept forse eccessivamente riproposto. Le sonorità da paradiso artificiale e la voce ovattata creano un’atmosfera che ci accompagna dal primo brano ma che sembra non volerci lasciare un po’ per tutto il disco, in maniera palese o accennata (come, ad esempio, in Behold The Man). Anche le scorrazzate nel mondo della musica extraeuropea sono sacrificate al dio dell’atmosfera. La title track Racines lascia le intuizioni derivanti dalla musica africana (date anche e soprattutto dalle marimbas) e del jazz (soprattutto dal sax che gioca un ruolo da protagonista nel brano) si perdano all’interno di uno stile imposto.

Questo è un vero peccato perché la fattura musicale innegabilmente alta e l’idea che c’è dietro il disco avrebbero permesso una maggiore esplorazione della materia che, invece, rischia di essere sacrificata nella ripetizione.


Exit mobile version