Compulsion: storia dell’omicidio che negli anni Venti ha scosso Chicago

Quando qualche anno fa ho letto A sangue freddo, mi consigliarono di leggere anche Compulsion – esempio di non fiction novel precedente anche al capolavoro di Capote – di Meyer Levin, giornalista e scrittore. Non ho seguito la dritta nell’immediato, finché ho ritrovato il titolo nella mappa testuale che Fuani Marino traccia nel suo memoir Svegliami a mezzanotte, Einaudi. Compulsion, scritto nel 1956 e tradotto da Gianni Pannofino per Adelphi, riaccende l’attenzione sull’omicidio che nel 1924 ha scosso Chicago e l’America. Racconta il processo contro Richard Loeb e Nathan Leopold, due ragazzi di neanche vent’anni, con un quoziente intellettivo sopra la media, colti e ricchi, che uccidono un minorenne, Robert Franks, per dimostrare a sé stessi di essere superiori allo stato di diritto e di poter sfuggire alla giustizia. Le perizie, i documenti processuali e le testimonianze degli amici e dei parenti sono impastate di finzione narrativa: il risultato è un noir attuale, che scandaglia l’essere umano e lo interroga nel profondo. La voce narrante è quella di Sid Silver, un aspirante giornalista, collaboratore del Globe, che si ritrova a seguire il caso di cronaca nera e ne diventa protagonista, concorrendo alla sua risoluzione. Sid è il personaggio dietro cui si cela l’autore: Meyer Levin ha vissuto questa esperienza ai tempi del college e la racconta dopo trent’anni, negli anni Cinquanta, quando viene chiamato ad esprimersi sulla possibilità di concedere la libertà condizionata a Nathan Leopold. Due anni dopo la pubblicazione del libro, Nathan Leopold lascia il carcere. Era stato condannato con l’amico, morto in galera, all’ergastolo e novantanove anni aggiuntivi: una vita ed oltre dietro le sbarre, senza soluzione.

Da sinistra: Nathan Leopold e Richard Loeb

 

Sulla copertina dell’edizione Adelphi del 2017 campeggia una foto di Richard e di Nathan: non si può fare a meno di guardarla, di scrutarla, man mano che si legge il libro. Interrogare la fotografia per interrogare i protagonisti. Meyer non usa i loro nomi nel testo, dissimula, mettendo in scena i personaggi di Artie Strauss e Judd Steiner, e tutti gli altri. La domanda che aleggia sulla trama è: perché due giovani – destinati al successo, protetti dal lusso e dalle conoscenze delle loro famiglie – decidono di compiere un gesto così turpe? Una risposta definitiva non esiste. Esiste, però, la tesi dell’avvocato difensore dei due ragazzi che li strappa per un pelo alla forca e alla foga sanguinaria della comunità di Chicago, spaventata ed indignata. L’avvocato, sulla base di quanto espresso dagli analisti, riesce a suffragare l’ipotesi che l’intelligenza emotiva dei due non corrisponda a quella intellettiva: le loro menti brillanti, impastate di filosofia nietzschiana e diritto romano, velano personalità compromesse, infantili e, quel che è peggio, interdipendenti. Dal momento in cui Artie e Judd (Richard e Nathan) si incontrano, si innesca un’alchimia funesta, che cresce e si alimenta dell’attrazione omosessuale, presto sottomissione, di Judd verso Artie. Non dà tregua a quanti li conoscono un cruccio: se Artie e Judd non fossero diventati amici, forse, non sarebbero diventati due assassini. O meglio: se la personalità infantile, presuntuosa, incapace di immedesimazione di Artie non avesse incrociato la fragilità, l’insicurezza, di Judd, la follia a due non sarebbe deflagrata. Quante volte abbiamo ipotizzato che se John Lennon non avesse incontrato Paul Mccartney i Beatles non sarebbero nati? Non sappiamo mai quali meccanismi attiva l’interazione tra due esseri umani. Le condizioni pregresse (infanzia, relazione con i genitori, eventi traumatici) delineano le individualità che nella connessione col prossimo mutano perennemente. Se non siamo isole nel mare ma anelli di una concatenazione di persone, di luoghi e di situazioni, bisogna accettare che chi doveva vegliare su due ragazzi che potevano aspirare alla gloria, non lo ha fatto. L’avvocato sostiene proprio questa linea e il processo sconfina in un atto di accusa verso la famiglia, la scuola, la collettività americana del secolo scorso.

Al processo è interamente dedicata l’ultima parte del libro. Qui comprendiamo l’interesse inesauribile verso questo caso, che tira in ballo soggetti insospettabili ed infrange il luogo comune, duro a morire, che certi lati oscuri, foschi e inesplorati, non possono fare di due rampolli due mostri. Le prime parti del libro, invece, ci permettono di conoscere Artie e Judd (Richard e Nathan) prima e dopo l’omicidio: un’immersione nel loro immaginario, nei loro gesti, nelle loro abitudini, nelle loro voragini. Compulsion inghiotte il lettore, lo tormenta, lo mette davanti a pensieri scuri, al suo peggiore incubo: la casualità della morte. Mimetizzare le persone dietro personaggi di finzione ha consentito all’autore di muoversi più liberamente, senza intaccare le ricostruzioni. I pensieri di Artie, di Judd, di Ruth e Myra (i personaggi femminili della storia) sono pura immaginazione ma sono la strada maestra per sfiorare l’emotività di due studenti che in preda ad una presunzione delirante, si macchiano di omicidio. Levin si serve dello sguardo di Myra su Artie e di quello di Ruth su Judd e riconosce alle due studentesse, diversissime, ma entrambe appassionate di poesia e letteratura, un super potere. Solo loro sono capaci di entrare in connessione con le contraddizioni dei protagonisti. La rappresentazione dell’omicidio e del processo ci folgorano: si resta increduli rispetto ai fatti e alla maestria dell’autore nel maneggiare il materiale a sua disposizione. Il delitto progettato da Richard Loeb e Nathan Leopold fu considerato una deviazione. Nessun atto politico, nessuna rivendicazione di classe sociale, solo (si fa per dire) l’aspirazione, condivisa, di poter essere al di sopra degli uomini e delle donne del proprio tempo. Una tracotanza incontenibile, prodotto di un’educazione superficiale e di relazioni compromesse. Levin fissa con Compulsion la fotografia di una società sognante, che danza a ritmo di charleston e fuma sigari ma si sente terribilmente perduta ed è disposta a tutto pur di non sentire il dolore.

 

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