Tyler, The Creator: uno, nessuno e centomila

Sesto album in studio per il talentuoso rapper e producer californiano Tyler Okonma aka Tyler,The Creator, uscito il 25 giugno sotto licenza della Columbia Records e degno successore del precedente “IGOR“, miglior album rap del 2020 ai Grammy Awards. Ci aveva lasciati, in quel caso, con un concept e una virata verso l’r&b e il soul, mentre stavolta torna indietro di qualche anno e mette sul piatto il suo rap primordiale, quello old school targato Odd Future, per intenderci.

Call Me If You Get Lost” è stato preceduto da diversi teaser e visual, oltre che da una serie di cartelloni pubblicitari apparsi in città come Los Angeles, Londra, Parigi, Berlino e tante altre. Con lo spoiler del titolo compariva anche un numero di hotline che portava a un misterioso messaggio preregistrato.
Insomma, una campagna pubblicitaria massiva e originale.

L’album diverte e non annoia, si snoda con indiscutibile maestria e originalità tra rap, nu jazz, r&b, funk e neo-soul. Black music fatta ad arte, tra contaminazioni e sperimentazioni curate in modo a dir poco maniacale. Skit, citazioni, storytelling, groove, beats, flow, e tanta raffinatezza nel gusto come negli arrangiamenti.

Tyler riprende il cinismo degli esordi e colpisce senza pietà sulle contraddizioni di oggi, ponendo l’accento su lusso, successo e cancel culture. Sullo sfondo la pandemia globale e la discriminazione razziale, senza dichiarati affondi politici ma con senso critico e sarcastico. Non manca l’intimismo, con le confessioni amorose condite come sempre da una certa dose di ambiguità e mistero.

 

Tyler è un personaggio controverso estroso, creativo e a dir poco imprevedibile, tanto da mettere in copertina la carta di identità del suo nuovo alter-ego (il terzo, dopo Wolf Haley e IGOR), il giramondo Tyler Baudelaire, ispirandosi al poeta maudit francese e ai suoi celebri Fleurs Du Mal. Un alter-ego che fa dell’ironia e del narcisismo le sue carte vincenti.

Tra i tanti ospiti, tra cui il suo ispiratore Pharrell Williams, spicca senz’altro Dj Drama, qui vera guida e spalla perfetta sia al microfono che alla produzione (il disco omaggia proprio i celebri mixtape del producer) presente fin dall’opening track “SIR BAUDELAURE”.

Tyler indossa tante maschere tra genio e provocazione, senza mai perdere la classe che lo contraddistingue.
Cervellotico, concettuale e autentico, si concede la massima libertà espressiva a discapito degli stereotipi pur essendo oggi un artisa mainstream. Come suggerito dal titolo del disco, in questi sedici brani ci si può perdere davvero, rappresentano un viaggio in un lungo flusso di coscienza ma anche nelle tante sfaccettature di un artista che gioca sempre a stupire.

Rilegge e stravolge la trap in “LEMONHEAD” come in “RUNITUP”, passa dal soul e dal synth pop al dub e al reggae nella lunga “SWEET / I THOUGHT YOU WANTED ME TO DANCE”, fa dell’hip hop un fiume in piena in “JUGGERNAUT”, crea scompiglio con un elegante r&b anni ottanta in “WUSYANAME”, crea suoni crepuscolari e ossessivi in “LUMBERJACK”, sfodera con classe boom-bap e piano jazzy in “CORSO”, genera il caos con drastici cambi di ritmo in “MANIFESTO”.

Alla produzione del disco hanno contribuito anche Jamie xx e Jay Versace, mentre a Dj Drama e a Pharrell Williams si aggiungono altri ospiti come 42 Dugg, YoungBoy Never Broke Again, Ty Dolla $ign, Lil Wayne, Teezo Touchdown, Domo Genesis, Brent Faiyaz, Dana Hues, Daisy World, Lil Uzy Vert. Che sia o meno dettata dal marketing, la scelta di ospitare proprio questi artisti (alcuni addirittura impensabili) si rivela un’altra mossa azzeccata quanto ad accessibilità per quella fetta di pubblico distante dal suo stile o che lo scopre solo oggi.

Chi sia davvero Tyler, slegato dai suoi personaggi iconici e dalle sue innumerevoli contraddizioni, non è dato saperlo, ma è pur vero che il suo valore artistico è talmente alto da essere sulla bocca di tutti, anche dei più intransigenti. Qui siamo dinanzi a un disco formidabile, colorato nella sua eterogeneità sonora, maturo nel suo perfezionamento stilistico. Se può sembrare azzardato ritenerlo migliore di “IGOR”, lo si può quanto meno posizionare a pari merito e oggi fare due dischi così belli in quattro anni è un’impresa ardua a meno che non si tratti di un genio. E Tyler lo è.


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