È sempre un buon momento per ascoltare i Parquet Courts

I Parquet Courts si sono sempre fatti amare per la loro vena da contestatori. Se ne stanno alla larga dai canali di promozione sui social, sanno come scrivere testi impegnati e poetici, e come far suonare rock alle chitarre. Stavolta con il nuovo album Sympathy for life i Parquet Courts arrivano quasi a mettere in discussione sé stessi. In un’intervista molto bella a Rolling Stone, la band americana racconta le pulsazioni che hanno guidato la scrittura del nuovo album e la voglia di virare verso sonorità più dance. Negli anni in cui si sono ritrovati a suonare nei festival indie, i Parquet Courts hanno scoperto che non gli piaceva la situazione di starsene su un palco con tutti gli occhi addosso del pubblico; non volevano diventare un “oggetto del desiderio” capitalista, avrebbero preferito un contesto dove la gente si metteva a ballare dimenticandosi di chi stava sopra al palco. Così Savage e Brown arrivano a immaginare un concerto rock con la gente che balla.

A tre anni dal più classico e rabbioso Wide Awake!, Sympathy for life si carica così di un’energia nuova che flirta con i Talking Heads, esplora l’elettronica, occhieggia a Screamadelica, e ci fa immaginare l’idea di club che hanno in mente i Parquet Courts. Una promessa di live che arriva pulsante sin dalla magnifica apertura del disco, Walking At A Downtown Pace. Forse i Parquet Courts sono meno sporchi di quando suonavano Human Performance e la loro ricerca era più orientata ai Velvet Underground, ma la loro idea di club resta quella di un sotterraneo di New York dove la gente si affolla per sentire musica e scordarsi di chi sta sopra al palco. Niente groupie, solo musica – sembra questo il messaggio spirituale che vuole passarci il gruppo newyorkese.

 

E anche stavolta la musica fa il suo effetto dirompente. Sympathy for life è davvero un bel disco, scortese a modo suo, che sa come dosare i suoi momenti di rabbia e festa, chitarra e groove. Un disco che aspira con tutte le forze a essere post-pandemico, con la sua energia luminosa di riemersione dalla desolazione anche nei momenti più inquieti come Application/ Apparatus, che nel rievocare il panorama digitale in cui siamo immersi (Bluetooth e 5g), diventa una ballata calda che catapulta nell’occidente in fiamme al ritmo di una bella mescolanza di elettronica e chitarre. È come se tutta la band stesse riemergendo nel mondo e tra la gente da una sbornia di noia: c’è una visione nuova di quello che il gruppo sta cercando, che non perde però l’esagitazione degli inizi e continua a passare in bella mostra gli scatti fotografici più ridicoli del nostro tempo. In questo senso la scrittura tagliente di Savage e Brown continua a lasciare graffi sulla pelle.

Così Pulcinella è la canzone d’amore scarnificata di un album di sbandamenti, Marathon of Anger un manifesto di beat alla città comunità, la title-track un’invocazione a David Byrne, Trullo una scrosciata di pioggia elettrica, mentre Homo Sapien ci dirotta agli Stooges di Iggy Pop. Potreste essere tentati di pensare che “Sympathy for life” sia un album confuso o disordinato, ma quello che tiene insieme il disco è la capacità dei Parquet Courts di improvvisare e legare la musica, le mani alla produzione di Rodaidh McDonald e John Parish, i testi che continuano a regalare momenti illuminanti, l’energia esplosiva che sempre sanno trasmettere. Uno dei migliori gruppi rock del nostro tempo vuole dare una scossa all’idea dei loro concerti rock, esagitarli – non ci resta che attendere il tour, e intanto ascoltarli mentre mettono il turbo con coraggio, allegria e disincanto.


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