Gli Arcade Fire e la fine dell’impero

Gli Arcade Fire non sono una band qualsiasi. Funeral, Neon Bible, The Suburbs, Reflektor – basta fare un vago elenco della produzione discografica degli Arcade Fire per osservare come i loro album siano entrati nella memoria popolare del mondo indie e non, ognuno con la propria singolarità. È naturale che un nuovo disco degli Arcade Fire si porti dietro una certa dose di eccitante attesa e curiosità, con il punto fermo dell’inclinazione alla coralità che li contraddistingue, ci si domanda cosa avranno tirato fuori dal cappello magico i musicisti canadesi a ogni nuovo inizio. Il sesto album degli Arcade Fire arriva poche settimane dopo l’annuncio con cui Will Butler ha dato il suo addio al gruppo. Commentando la decisione del fratello di prendere un’altra strada, Win Butler ha detto di capire la scelta, ma la grande famiglia degli Arcade Fire è sopravvissuta al colpo. Win e sua moglie, la polistrumentista Régine Chassagne, componenti storici come Richard Reed Parry, non hanno nessuna intenzione di smettere, vogliono continuare a fare musica insieme. Il loro sesto lavoro We vuole essere ambizioso sin dal titolo, ispirato al romanzo distopico dello scrittore russo Evgenij Zamjatin, Noi, titolo in cui si mescolano la passione per la letteratura russa di Win Butler e la vocazione dell’album a farsi racconto collettivo. Non c’è solo il riferimento al libro di Zamjatin, ma anche ai versi di Lawrence Ferlinghetti, agli immaginari di Alice nel paese delle meraviglie, e al crollo dell’impero americano; sembra quasi che gli Arcade Fire abbiano tentato di chiudere un cerchio cantando sulle rovine dell’impero il proprio personale concetto di Noi. Un “noi” che si è rafforzato nel primo periodo della pandemia, quando a inizio 2020 la band ha trascorso intere settimane a El Paso, in Texas, per lavorare al suono del nuovo album insieme al produttore Nigel Godrich. Gli Arcade Fire sembrano aver lavorato così tanto al suono, che forse è venuto a mancare un po’ di istinto – il graffio.

Nella grande epica di alcuni dei loro singoli di successo, gli Arcade Fire non mancavano di metterci un po’ di quella sana follia che è una spinta alla ricerca dell’originalità; pezzi come Rebellion (Lies), We Used To Wait o Afterlife, si agitano nella testa come bandiere trascendenti, diventano marchi del tempo, riconosci la tua epoca per certe canzoni che la distinguono, gli Arcade Fire hanno sempre saputo fare canzoni d’epoca. Stavolta forse l’ambizione di voler raccontare un noi troppo vasto e sfuggente, ha spinto la musica degli Arcade Fire a fare un passo un po’ lungo. We è un disco piacevole, che scorre senza grandi sussulti e strattoni, che nel suo tentativo di sintesi della discografia della band, non possiede però alcuni colpi di fantasia; si lascia ascoltare senza il fulgore di Funeral o The Suburbs, per certi tratti più che ispirato da Zamjatin sembra trarre ispirazione dagli entusiasmi visionari di Adam Neumann, un autentico epigono di fine impero. End of Empire I-IV pare fare il calco a John Lennon senza avere la semplicità diretta come un pugno di Lennon, il pezzo arriva all’orecchio come un pastiche, con un momento laterale che ricorda fin troppo Imagine, divagazioni alla Bowie, e un ultimo ballo da fine impero americano già cantato da troppi poeti. Frammenti di voci poetiche si sovrappongono anche nei due pezzi che aprono il disco nella serie Age of Anxiety, con quel riferimento alla poesia “I Am Waiting” di Lawrence Ferlinghetti, a quell’età dell’ansia cantata da W.H. Auden, e un’allusione al coniglio dal mondo di Alice in Wonderland. Age of Anxiety II (Rabbit Hole) è uno dei pezzi più belli del disco, con quella vena danzereccia che è una delle cifre della musica degli Arcade Fire; quando però si accende il ritmo di The Lightning II sembra di sentire un già sentito – resta un piacevole sentito, ma la sensazione è quella là. Dopo tanti anni è normale una perdita di brillantezza per gli Arcade Fire, ad addomesticare troppo un giardino si rischia di guastare un poco la sua natura selvaggia, ma per capire a che punto siamo del loro personale impero – in quale parte tra l’AnteWill e il DopoWill? – bisognerà aspettare di vederli suonare dal vivo.


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