Adriano Sofri torna in libertà dopo 22 anni di carcere

Cos’è un mandante morale? Lo chiamano anche ”cattivo maestro”, o ”traviatore di coscienze”, in fondo è soltanto qualcuno che esprime delle idee, balorde o meno che siano, e per quelle idee rischia la libertà, a volte – come nel caso di Adriano Sofri – finisce per scontare una pena di 22 anni in carcere senza nessuna precisa accusa di omicidio diretto. Il delitto contestato è quello di Luigi Calabresi, commissario di polizia che indagava sulla strage di Piazza Fontana. Ma andiamo con ordine.

È il 12 Dicembre 1969 quando scoppia una bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, a Milano, 17 morti avvolti ancora nel mistero di una strage che è stata archiviata come l’inizio della ”notte della Repubblica”: da allora in poi si conteranno 2.712 attentati terroristici, 351 morti, 768 feriti. Tra gli oltre ottanta sospettati della strage viene convocato in questura anche il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, la cui vicenda sarà emblematica: durante l’interrogatorio del 15 Dicembre con il commissario Calabresi, Pinelli precipita dalla finestra del quarto piano e muore in ospedale poche ore dopo. Ben presto il commissario e il questore Guida cominciano a parlare di suicidio, versione che sarà poi contestata sia dalla vedova Pinelli che da alcuni giornali [riportiamo come esempio una lettera pubblicata su L’espresso il 13 giugno 1971 che raccoglieva l’intervento di numerosi politici, giornalisti e intellettuali]. Tra i quotidiani in prima linea nello smentire l’ipotesi del suicidio figurò Lotta Continua, che pubblicò anche La ballata del Pinelli. La campagna di Lotta Contina si concentrò soprattutto nelle accuse al commisario Calabresi riguardo la morte dell’anarchico.

Nonostante Adriano Sofri fosse tra gli animatori della campagna di Lotta Continua, bisogna sapere che all’epoca non furono pochi i giornalisti a scrivere sullo scottante tema dell’omicidio-suicidio del Pinelli: ricordiamo per esempio la ricostruzione di Camilla Cederna in un libro che suonava come un j’accuse al commissario. E’ il 17 maggio del 1972 la giornata in cui viene ammazzato Luigi Calabresi: due sicari gli sparano alle spalle. Adriano Sofri verrà ”punito” come mandante morale: ”Personalmente non mi sento corresponsabile di alcun atto terroristico. Posso sentirmi tale invece, per quanto riguarda l’omicidio Calabresi, per aver detto o scritto, o per avere lasciato che si dicesse, che si scrivesse e che si facesse, con slogans del tipo ‘Calabresi attento: sarai suicidato” – è uno dei commenti di Sofri sulla vicenda. Aveva lasciato dire, aveva scritto qualcosa, insieme a tanti altri, probabilmente denunciando un sistema insieme a una società intera che si chiedeva la verità, che si chiedeva i perchè, che tentava di ricostruire, e in nome a questo peccato fu sbattuto in carcere come un pluri-omicida. La testimonianza chiave che incastrò Sofri fu quella di Leonardo Marino, anch’egli militante di LC, che lo cita come corresponsabile del delitto. Ma resta solo un’ipotesi mai confermata, come tutta la storia d’Italia dell’epoca.

L’arresto di Sofri scatta nel 1988, insieme a Bompressi e Pierostefani, entrambi compagni di LC. Nell’agosto ’88 Leonardo Sciascia commenta: ” Quando ho sentito dell’arresto di Adriano Sofri, ho subito pensato: se è davvero colpevole, appena davanti al giudice confesserà. E non che il fatto che non abbia confessato assuma per me piena convinzione di innocenza: ma è un elemento di intuizione, di impressione, cui altri più razionali, si aggiungono. ”, e ancora: ”Chi conosce Sofri e lo stima, si sente in diritto di avere l’opinione, fino a contraria e netta prova, che Marino sia un personaggio che ha trovato il suo autore nella legge sui pentiti.”.

Concludiamo con un pensiero di Giuseppe D’avanzo sul tema:

”In un sol punto le esistenze di Calabresi, Pinelli e Sofri possono concordare: nel fallimento della giustizia. Luigi Calabresi chiedeva in tribunale la difesa della sua onorabilità. Non la ebbe. Il giudice che doveva pronunciarsi anticipò le sue convinzioni in privato e il processo si spense nella legittima suspicione. Licia Pinelli chiedeva a un tribunale come il marito fosse morto. Ne ha ricavato soltanto una sentenza che spiega il «malore attivo» dell’anarchico Pinelli. Soluzione degna di una commedia buffa, non di una sentenza, tantomeno della verità. Adriano Sofri è in carcere a Pisa. Ci resterà fino al 2019. È, alla fine di questi tragici trent’anni, il solo destino che, invocando per se stesso ancora giustizia, chiede anche una verità per Luigi Calabresi.”

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